La stagione 19/20 sarà sicuramente ricordata come una stagione travagliata per gli appassionati di calcio di tutto il mondo, ma per i tifosi del Napoli aveva preso una brutta piega ben prima dello stop dovuto alla pandemia del Covid-19.
In una stagione segnata dal naufragio del progetto tecnico di Carlo Ancelotti, dal suo avvicendamento con l’allievo Gennaro Gattuso, dalle tensioni di capitan Lorenzo Insigne con la tifoseria e dall’ammutinamento di buona parte dello spogliatoio verso il presidente De Laurentis, con strascichi legali ancora in corso, l’unica nota lieta per i tifosi partenopei sono stati i gol di Dries Mertens, che nell’arco delle partite giocate finora ha raggiunto e superato Diego Armando Maradona come gol segnati con la maglia azzurra, arrivando ad affiancare il primatista della classifica, Marek Hamsik, poco prima dello stop alle competizioni.
Gli basterà una sola rete, alla ripresa dell’attività, per fregiarsi del titolo di miglior marcatore del Napoli di tutti i tempi. Per un giocatore che all’arrivo alle pendici del Vesuvio giocava defilato sull’out sinistro, si tratta di un traguardo davvero sorprendente. Ma da quando Maurizio Sarri in piena emergenza dovette reinventarlo come punta centrale, il belga si è trasformato in un attaccante completo e imprevedibile, capace di segnare da ogni posizione e dalle movenze che ricordano uno dei più grandi realizzatori della storia del calcio, come lui piccolo di statura ma assolutamente letale in area: Romário.
Romário, il piccoletto che arrivò in cima al mondo
Romário de Souza Faria è nato il 29 gennaio 1966 nel Barrio di Jacarezinho, una delle peggiori favelas di Rio. Inizia a giocare a calcio a 10 anni, nella squadra del padre, l’Estrelinha di Vila de Penha, per poi passare a 13 anni nelle fila dell’Olaria. L’esordio con i professionisti avviene con la maglia del Vasco de Gama, nel 1985, con cui vince due campionati statali e vince altrettante volte la classifica cannonieri. Il baixinho (“piccoletto” partecipa quindi alle Olimpiadi di Seul 88 mettendo a segno 7 reti, vincendo la medaglia d’argento e mettendosi in mostra sul palcoscenico mondiale.
Approda quindi al PSV Eindhoven, dove in 5 anni si consacra come uno degli attaccanti più letali mai visti su un campo da calcio: sono più i gol, 174 che le partite giocate, 168, che valgono la vittoria di 3 scudetti, 2 Coppe nazionali e una Supercoppa olandese, oltre che il titolo di capocannoniere del campionato in 2 occasioni.
Nel 1993 passa al Barcellona, e nel Dream Team allenato da Johan Cruijff mette a segno 30 gol in 33 partite, laureandosi ancora una volta capocannoniere. Dopo la vittoria dei Mondiali di USA 94, dove è ancora una volta miglior marcatore con 5 reti, però la sua indole egoistica e ribelle provoca una spaccatura con il Barça, e a gennaio 1995 torna in Brasile, al Flamengo.
Con i rubionegro Romário gioca per 5 stagioni, inframezzate da due brevi parentesi al Valencia, prima di tornare al Vasco de Gama, per iniziare quindi una carriera da nomade del pallone che l’ha visto protagonista anche con le maglie del Fluminense, dell’Al-Sadd in Qatar, del Miami FC negli Stati Uniti e dell’Adelaide in Australia, fino a chiudere la carriera nuovamente al Vasco de Gama nel 2007, a parte una breve parentesi di 22 minuti con l’America di Rio De Janeiro, squadra di cui era dirigente, nel 2009, in occasione della promozione dalla serie B brasiliana.
Tutti questi cambiamenti di maglia sono sempre stati finalizzati principalmente ad un obiettivo: realizzare più gol possibili. Romário afferma di aver sfondato il muro dei 1000 gol in carriera, anche se la FIFA gliene riconosce “solo” 929.
Dries Mertens, il piccolo belga diventato grande a Napoli
Cosa ha in comune Dries Mertens, attaccante belga nato a Lovanio il 6 maggio 1987, con il Baixinho, uno dei più prolifici attaccanti della storia del calcio? A parte la maglia del PSV Eindhoven, che Mertens ha indossato per 2 stagioni prima di approdare al Napoli, le movenze palla al piede e le capacità di dribbling ricordano sicuramente Romário.
Ma da quanto Maurizio Sarri l’ha reinventato punta centrale, a causa degli infortuni di Arkadiusz Milik, Mertens si è riscoperto un finalizzatore che ricorda molto il campione brasiliano.
Bravissimo a dettare i passaggi e ad inserirsi negli spazi in mezzo agli avversari, Mertens ha quella stessa tendenza di Romário a cercare l’ingresso in area di rigore prima di cercare la conclusione, facendo inesorabilmente crescere la tensione nei difensori e nei portieri, che conoscono perfettamente l’abilità del loro avversario nelle finte di corpo.
A differenza di Romário, Mertens è molto meno egoista, e spesso i suoi tocchi sono finalizzati anche al dialogo dei compagni, laddove il baixinho non vedeva nient’altro che sé stesso e la porta, negli ultimi 16 metri di campo.
In particolare con Ancelotti, il belga ha aumentato il numero di palle giocate indietro e gli inserimenti effettuati per creare spazi ai compagni, ma con la palla tra i piedi, in area di rigore, resta un finalizzatore implacabile.
Due piccoli attaccanti letali in area
La pulizia e la precisione di tutti i movimenti del corpo di Romário si rivede in Mertens, sempre elegante nei controlli e nelle finte, e potente nelle conclusioni. I movimenti nei due giocatori sono sempre fluidi e continui, con accelerazioni e cambiamenti di direzione totalmente istintivi ed irregolari, che rendono le loro azioni indecifrabili dagli avversari.
Cercare di anticipare una finta di Romário era fatica sprecata per ogni difensore, e alla stessa maniera su Mertens gli avversari devono sempre cercare di giocare sull’anticipo, dato che è molto difficile riuscire a fermarne l’avanzata quando è in possesso di palla.
I 1000 gol di Romário sono sicuramente un traguardo impossibile da raggiungere per Mertens, ma già i 121 messi a segno con il Napoli lo hanno fatto entrare nella storia, anche se solo di quella partenopea, finora.
Ma a 33 anni, con un contratto in scadenza e con molte grandi squadre che guardano a lui con interesse, Dries ha la possibilità di togliersi qualche altra soddisfazione nel finale di carriera, senza dover andare in Qatar o in Australia per incrementare il bottino di gol.