Ripercorriamo la storia di uno dei più forti e sfortunati giocatori europei di basket, il primo a sfondare anche in America.
Bastava guardare quello che faceva in campo per capire quale fosse la superiorità di Drazen Petrovic. Era una di quelle guardie tiratrici che vedevano il canestro da ovunque, sia in penetrazione che dalla lunga distanza. Soprattutto nei suoi anni slavi, il suo dominio era decisamente troppo per chiunque, compagni e avversari. Ha impressionato tutti anche dall’altra parte dell’oceano, quando di campioni come lui, nati fuori dagli States, ce n’erano ben pochi. Poi quel tragico incidente con cui ci ha lasciato. Ma partiamo dall’inizio a ricordare la storia di un grande campione, che oggi avrebbe compiuto 56 anni. Drazen nasce a Sebenico, una città collocata nella storica Dalmazia, con la costa del Mare Adriatico a lambirne i confini. In questa cittadina Petrovic crebbe con la passione del basket, in cui si cimentava anche il fratello maggiore Aleksandar. Non fu difficile per lui trovare una squadra e iniziare ad affermarsi sul campo, tanto che già a 20 anni approdò al Cibona Zagabria, squadra dell’attuale capitale croata e campione nazionale. Durante la sua permanenza dimostrò a tutti quanto i confini del basket jugoslavo gli stavano stretti: porta i suoi a trionfare nel campionato, nelle coppe nazionali ed europee, trascinando la sua patria ad ottimi piazzamente anche europei e mondiali, continuando a infilare canestri su canestri. Aveva una media irreale, superiore ai 40 punti a partita, e nel giugno dell’85 ne mette a segno addirittura 112, sbriciolando ogni sorta di record. Si spostò al prestigioso Real Madrid, uno dei migliori club d’Europa, e continuò a macinare punti e successi, come la Coppa delle Coppe e la Coppa del Re. Veniva pagato 4 milioni all’anno, un’enormità per il basket europeo dell’epoca, ma non gli bastava. Ormai nel continente aveva dimostrato tutto quello che doveva, era arrivata l’ora di imporsi dove nessun europeo era riuscito prima, ovvero nella NBA. Nel 1989 passò a Portland, nell’Oregon, con lui raggiunse il Paese a stelle e strisce anche l’amico e compagno di Nazionale Vlade Divac, diretto a Los Angeles, sponda Lakers. I due anni ai Trail Blazers non andarono alla grande: Petrovic non partì mai titolare, chiuso com’era da Drexler, e mantenne medie molto basse, tant’è che in molti iniziarono a dubitare delle sue capacità, nonostante la vittoria dei Mondiali ’90.
Il 1991 fu un punto di svolta: a seguita di una trade finì ai New Jersey Nets, una delle squadre meno quotate della lega, dove ricostruirà il proprio futuro, e diverrà un forte simbolo della nuova Croazia, quella che sotto le spinte nazionaliste del Presidente Tudman, entrerà in guerra con Jugoslavia per ottenere l’indipendenza. Petrovic vive questo momento con grande orgoglio per la sua nazionalità, croato e cattolico, iniziando a tagliare i ponti con l’amico Divac, serbo e ortodosso. La guerra, vinta dalla Croazia, separerà i due cestisti, tant’è che i biancorossi disputano per la prima volta le Olimpiadi nel 1992, superati in finale solo dal Dream Team americano dopo ottime prove che valgono l’argento. Ai Nets, come detto, Drazen risorge. In una squadra che gli dà fiducia torna a essere quello di prima. Nel 1992 gioca tutte le partite riportando New Jersey ai playoff dopo sei anni, e viaggiando a 20 punti di media a partita. L’anno dopo migliorerà ancora le sue statistiche, e nonostante l’uscita al primo turno dei playoff, sarà il primo europero ad essere inserito nei migliori quintetti NBA. Viaggia a più del 50% di punti dal campo, gioca 3/4 delle partite, ha solo 28 anni, sembra che nulla lo possa fermare. E invece il destino a volte è davvero beffardo. Il 7 giugno 1993, mentre tornava nella sua amata Croazia in macchina con la fidanzata alla guida, la vettura terminò la sua corsa schiantandosi contro un camion che aveva invaso la corsia. Per Drazen, che stava dormendo, non ci fu nulla da fare. Era finita così, in una strada nei pressi di uno sconosciuto comune tedesco, la vita di uno dei più grandi del gioco. Ma nonostante siano passati così tanti anni nessuno si è scordato del Mozart del basket. La sua canotta numero 3 giace ancora nel palazzetto dei Nets, in Croazia non sono pochi i monumenti a suo onore, giudicato un eroe e un simbolo della giovane nazione di cui ha visto la nascita. E alla fine, dopo che il tempo ha lavato le ferite di una terribile guerra, anche Divac renderà omaggio all’amico depositando una foto di loro due insieme sulla sua tomba.