Ci lasciava a soli 34 anni uno degli atleti più amati dello sport italiano, caduto in disgrazia dopo una serie di episodi controversi.
Sono passati 17 anni da quando Pantani ci ha lasciato, ma il suo ricordo e la sua storia sono ancora vivi in tutti gli amanti dello sport. Uno dei campioni italiani più splendenti, scomparso a soli 34 anni in circostanze che definire “misteriose” è un eufemismo. Era un uomo schietto, diretto, un combattente, uno scalatore puro che laddove le condizioni erano impervie, attaccava, lasciando in scia tutti gli altri. La bandana, il pizzetto, l’orecchino, tutti gli elementi da cui ha avuto origine il suo soprannome, “Il Pirata”, fanno di lui una delle icone del ciclismo, la cui carriera è stata stroncata, con molta probabilità, da fattori esterni alla sua volontà. Nato a Cesena il 13 gennaio 1970, Marco crebbe a Cesenatico, dove, dopo un’iniziale interessamento al calcio (rimarrà sempre un grande tifoso del Milan), passò alla bicicletta, regalatagli dal nonno. Iniziò con i dilettanti, ottenendo buoni risultati, fino ad arrivare ai professionisti nei primi anni ’90, in cui partecipò per la prima volta alle competizioni più importanti. Nel 1994 avvenne la sua esplosione: arrivò secondo al Giro, vincendo consecutivamente la tappa da Lienz a Merano e la successiva da Merano ad Aprica, chiudendo anche al terzo posto un tour de France in cui assunse i gradi da capitano del suo team, la Carrera Jeans, dopo il ritiro di Claudio Chiappucci, venendo nominato miglior giovane della competizione. L’anno successivo rivinse la classifica dei giovani del Tour, in cui arrivò primo in tre tappe, ma fu un anno decisamente sfortunato: uno scontro in automobile avvenuto in primavera gli rese impossibile la preparazione al Giro, mentre il 18 ottobre ’95 fu investito da un fuoristrada che viaggiava in senso opposto sul tragitto della Milano-Torino, procurandogli una frattura di tibia e perone che gli costò un lunghissimo stop per l’anno successivo. Tornò nel 1997 ai Grandi Giri con una nuova squadra, la Mercatone Uno, venendo fermato ancora una volta da fattori esterni: fu costretto infatti a ritirarsi dal Giro d’Italia a causa di una lacerazione delle fibre muscolari della coscia, dovuta all’impatto contro le rocce, dopo che un gatto aveva tagliato la strada ai corridori presso il valico di Chiunzi. Al Tour, cui riuscì a parteciparvi, terminò terzo.
Il 1998 fu l’anno dei successi che ne consacrarono il mito. Fu il secondo italiano, dopo Fausto Coppi, a compiere l’impresa di vincere Giro e Tour nello stesso anno. La vittoria della corsa rosa arrivò dopo aver distaccato il russo Tonkov nella tappa di Plan di Montecampione, mentre la Grande Boucle andò in cassaforte dopo uno straordinario attacco sul Galibier, a Les Deux Alpes, in cui Pantani partì a 50 km dal traguardo in condizioni di pioggia e gelo e vinse, recuperando tutto lo svantaggio accumulato e mandando a nove minuti di distanza il rivale Ullrich. Festeggiato in maglia gialla sugli Champs-Elysées, quella fu l’ultima grande vittoria del Pirata, che non partecipò al Tour nell’anno successivo. Il motivo per cui non lo fece, è nella mente di tutti: alla vigilia della penultima tappa del Giro 1999, un Giro che Pantani avrebbe sicuramente vinto, dato il momento di forma e il distacco sugli avversari, fu fermato il 5 giugno a Madonna di Campiglio ed escluso dalla corsa, per via della percentuale di ematocrito nel sangue, 51,8%, di poco superiore al massimo consentito. Il punto di non ritorno fu quel giorno: un’infamante accusa di doping, su cui pende il sospetto di un coinvolgimento della criminalità organizzata per manipolarne i risultati e incassare vincite milionarie dalle scommesse, che mandò in frantumi la carriera e la vita del Pirata. “Abbiamo toccato il fondo, rialzarsi sarà per me molto difficile”, così commentò Pantani la vicenda pochi giorni dopo, preannunciando ciò che avverrà. Il ciclista romagnolo non tornerà mai più quello di prima, venendo escluso dal Tour dal 2000 in poi e fornendo prove incolori al Giro, dove andrà incontro a due ritiri. Caduto nel vortice della depressione, acuita anche dalle accuse verso di lui e dall’apertura di un’indagine per frode sportiva per l’incidente del ’95, da cui fu assolto, nell’ultimo anno di vita iniziò a fare uso di cocaina, dovendo anche entrare in clinica per cercare di sfuggirne dalla dipendenza. Una spirale che si conclude il giorno di San Valentino del 2004, quando fu trovato senza vita in una stanza del residence “Le Rose” di Rimini, una morte causata da overdose di cocaina. L’inchiesta, derubricata come suicidio, presenta in realtà molti punti oscuri e discordanti, che fanno legittimamente pensare che il Pirata sia stato messo a tacere, come da sempre sostiene la madre, Tonina. In ogni caso, comunque sia stata la sua fine, nessuno sarà in grado di scordare la forza, la tenacia e le imprese che ci ha regalato uno dei più grandi campioni di sempre, che avrebbe sicuramente meritato un finale migliore di quello a cui è andato incontro.