Nonostante il calcio si stia sempre più globalizzando e parlare di “scuole” nazionali sia sempre più difficile, l’aggettivo “brasiliano”, nel mondo del pallone, è sempre associato alla tecnica, al dribbling, al controllo di palla spettacolare. Tutto quello che fa innamorare del calcio, che trasforma lo sport in gioco e il gioco in show, si può riassumere con l’aggettivo “brasiliano”. E se questo fattore in teoria non ha prezzo, in realtà non a caso il trasferimento più ingente della storia del calcio ha avuto come protagonista l’ultimo dei grandi “giocolieri”: Neymar Jr, passato dal Barcellona al Paris Saint Germain per la cifra astronomica di 222 milioni di euro. Ma se torniamo indietro nel tempo, a fine anni ‘90 un altro trasferimento record per l’epoca vide protagonista un brasiliano in grado di incantare le platee grazie al suo doppio passo e alle sue serpentine: Denilson de Oliveira Araújo, noto semplicemente come Denílson.
Denilson, il simbolo del joga bonito
Nato a Diadema, nel comune di San Paolo del Brasile, il 24 agosto 1977, Denílson de Oliveira Araújo si impone con la maglia del San Paolo, mettendo in mostra delle qualità tecniche impressionanti. Si guadagna la chiamata in nazionale e dopo tre amichevoli in Sudamerica, nel giugno del 1997 parte con la Seleçao per l’Europa dove partecipa al Torneo di Francia, quadrangolare amichevole che vede la partecipazione, oltre che dei verdeoro, dell’Inghilterra, dell’Italia e dei padroni di casa, che l’estate successiva avrebbero ospitato il Mondiale. Denilson scende in campo da titolare nel match contro gli azzurri e stupisce il mondo con i suoi dribbling ubriacanti.
In poco tempo diventa una star, secondo solo a Romario e Ronaldo come popolarità in Brasile, e con la casacca verdeoro si aggiudica in rapida successione Coppa America (andando a segno in semifinale e finale) e Confederation Cup. Tutte le squadre europee lo vogliono, ma decide di rimanere in patria ancora un anno, laureandosi campione paulista con il San Paolo e dando vita ad un’asta che tocca rialzi clamorosi.
Nell’estate del 1998 il Brasile di Romario, Cafu, Roberto Carlos e soprattutto del Fenomeno Ronaldo sbarca in Francia con l’obiettivo di alzare la Coppa. Denilson non è titolare, ma Zagallo lo inserisce spesso a gara in corso per sparigliare le carte, e quello che fa vedere sul campo da gioco è fantascientifico. Il marchio di fabbrica di Denilson è il doppio passo, ma dire così non rende l’idea: rotea le gambe anche 4-5 volte sopra il pallone, ad una velocità impressionante, con quell’ondeggiamento del corpo e quell’espressione quasi sbeffeggiante tipiche di quei brasiliani che sembrano avere un elastico che connette lo scarpino al pallone.
In un mondo in cui i video di tricks su YouTube sono ancora fantascienza, Denilson è protagonista, con Romario, Roberto Carlos e Cafù, di uno storico spot televisivo della Nike in cui i fenomeni brasiliani palleggiano e danno spettacolo all’interno di un aeroporto, in attesa di imbarcarsi per la Francia. Quello spot, in cui Denilson compie serpentine palla al piede tra i passeggeri sul tapis roulant, resta però l’apice della carriera del funambolico attaccante paulista: il Brasile perde 3-0 la finale contro la Francia, e si apre l’asta per assicurarsi le prestazioni del talento di Diadema. Quando la Lazio di Cragnotti sembra aver concluso l’affare, sbuca il Betis Siviglia con un’offerta mostruosa e tutta in contanti: 21,5 milioni di sterline, circa 60 milioni d’euro, con un contratto praticamente a vita (pare di 12 anni). Mai nessun giocatore era stato valutato tanto nella storia del calcio.
I dribbling da sogno e il duro scontro con la realtà europea
In Europa però il mito di Denilson va in frantumi: le giocate sono spettacolari, ma sempre fini a sé stesse, l’apporto alla squadra in fase difensivo è inesistente e la concretezza in area è ridicola: 2 reti in 35 presenze alla prima stagione in Liga. Il Betis non è certo squadra di fenomeni e da solo Denilson non basta ad elevare una squadra che chiude la prima stagione all’11° posto e che in quella successiva addirittura retrocede. Denilson prima torna in prestito in Brasile, al Flamengo, per 6 mesi, poi torna al Betis, riportandolo nella massima divisione.
Ma ormai non è più quella star mondiale che aveva fatto innamorare il mondo con i suoi dribbling, e ormai fuori dal giro della Seleçao anche la spettacolarità delle sue giocate diminuisce sempre di più, insieme ad una forma fisica che non è esattamente quella dell’atleta modello. Nella sua ultima stagione spagnola, vissuta ormai da comprimario, aggiunge al suo palmares la Copa del Rey. Nel 2006 si trasferisce al Bordeaux per una buona stagione che però non basta a farlo entrare nella rosa dei convocati per il Mondiale tedesco. A nemmeno 30 anni, Denilson si trasferisce quindi nel campionato saudita, all’Al Nasr, ma nonostante la classe e la tecnica siano sempre di un’altra categoria, la forma fisica e lo spirito di sacrificio sono ancora deficitari. Dopo una sola stagione in Medio Oriente, tenta la carta degli Stati Uniti, tesserato dal Dallas FC, ma delude ancora.
Nel 2008 torna in Brasile, dove firma per il Palmeiras, dove ritrova la condizione e vince nuovamente il campionato paulista, anche se non giocando da titolare. A fine anno, alla scadenza del contratto, scende in terza divisione, all’Itumbiara, per poi tentare la fortuna nel campionato vietnamita, firmando per l’Hai Phong. La sua esperienza asiatica però si risolve in una sola presenza di 30 minuti, in cui mette anche a segno una rete, prima di rescindere il contratto. Sarà l’ultima partita ufficiale per il fantasista, che firmerà un contratto con la squadra greca del Kavala ma non riuscirà mai a scendere in campo prima di ritirarsi definitivamente nell’aprile 2010.
Neymar Jr, l’ultimo grande giocoliere verdeoro
Neymar da Silva Santos Junior è, per capacità tecniche e per ciò che concede al lato spettacolare del calcio, il degno erede di Denilson. Nato a Mogi Da Cruzes il 5 febbraio del 1992, già a 15 anni era indicato come il fenomeno delle giovanili del Santos. Dopo 4 anni nella prima squadra del Peixe, nel 2013 viene acquistato dal Barcellona che lo affianca all’argentino Messi e all’uruguaiano Suarez per un tridente stellare che abbraccia tutte le maggiori scuole calcistiche sudamericane. Dopo aver conquistato l’unico titolo che mancava al Brasile, l’oro olimpico, è il simbolo del Brasile che ospita i Mondiali del 2014, ma il suo infortunio mette a nudo i limiti di una squadra che poi subirà l’onta del 7-1 subito per mano della Germania in semifinale.
Con il Barcellona Neymar si consacra come giocatore di livello superiore, uno dei migliori al mondo. Ma è in quel “uno dei” che risiede il grande cruccio: uno come O’Ney non può essere secondo a nessuno al mondo, figurarsi nella stessa squadra. Nonostante i rapporti siano ottimi, nell’ottica della sua immagine internazionale dividere il palcoscenico con Leo Messi non può essere accettabile. Nell’estate 2017 il Paris Saint Germain versa la cifra folle di 222 milioni di euro, l’ammontare della clausola di rescissione, sul conto dei blaugrana, portando il funambolico brasiliano sotto la Torre Eiffel, con lo scopo di elevare il livello della squadra parigina, assoluta dominatrice in patria, sul palcoscenico europeo e allo stesso tempo rendere il giocatore il testimonial perfetto per i Mondiali del Qatar del 2022, dal momento che la proprietà del club è del fondo sovrano qatariota.
Quello che per Neymar sembra l’inizio della sua consacrazione diventa invece il primo passo del suo declino: il campionato francese non ha lo stesso appeal di quello spagnolo, il PSG non riesce a migliorare le prestazioni in Champions League e in Nazionale non riesce ad imporsi, sia per gli infortuni che per la nomea di simulatore che si è guadagnato e che ha reso la sua partecipazione ai Mondiali di Russia del 2018 quasi grottesca. Inoltre, da stella assoluta si è trovato a condividere il palcoscenico con un’altra stella, che lo sta progressivamente oscurando: Kylian Mbappé.
Neymar e Denilson, quando il singolo prevale sulla squadra
Neymar è quindi un nuovo Denilson? Sicuramente possiamo vedere tante somiglianze tra i due, a partire dalla posizione in campo e da quel gusto per la giocata spettacolare, nel saltare l’uomo con dribbling che irridono l’avversario sfociando quasi nell’umiliazione. Neymar però non è così individualista come Denilson, anche se questo può essere dovuto al fatto che l’abbiamo visto giocare in squadre come il Barcellona o il PSG insieme a giocatori all’altezza del suo talento, a differenza di un Denilson che, in particolare all’inizio della sua esperienza spagnola, giocava in un collettivo come quello del Betis Siviglia di livello decisamente inferiore. Ma di sicuro Neymar è sicuramente un giocatore più concreto e utile alla squadra di Denilson, prova ne è il numero di reti messe a segno. Al di là delle giocate spettacolari, non si ricordano partite in cui Denilson è risultato decisivo, mentre Neymar è stato il fattore principale di molte vittorie del Barça e del PSG.
Ma nel disastroso Mondiale russo si è vista la peggior versione di Neymar, isolato sulla fascia sinistra, prodigo di dribbling e accelerazioni fini a sé stesse, più utili ad umiliare gli avversari che a creare occasioni da gol. Sembrava di rivedere Denilson, ma da solo, senza compagni di enorme talento come Romario e Rivaldo a finalizzare. Quello che sembra accumunare i due è il totale disinteresse verso la dimensione competitiva del calcio: in un’estremizzazione dell’approccio brasiliano a questo sport, per Denilson e per Neymar il calcio è diventato un gioco individuale, dove il duello contro l’avversario diretto è diventato più importante del risultato finale della partita. Dopo le ultime delusioni, il Brasile ha vinto la Coppa America proprio quando Neymar ha dovuto rinunciare alla competizione per infortunio, e in molti pensano che non sia un caso.
Ma la grande differenza è che Denilson è stata una splendida illusione, un amore nato in quelle serate mondiali che non ha mantenuto le promesse estive, mentre Neymar, anche nelle sue stagioni peggiori, ha già dimostrato di essere un giocatore decisivo e dai numeri importanti. La spirale che ha imboccato e che lo accomuna a Denilson rischia di spegnere e trascinare nella polvere uno dei più grandi talenti degli ultimi anni.