Oggi compie 56 anni l’uomo simbolo dell’ultimo Mondiale nostrano, cui ha legato la sua immagine nella nostra memoria grazie ai suoi gol.
“Notti magiche, inseguendo un gol…”, così iniziava la celeberrima canzone di Gianna Nannini e Edoardo Bennato, che l’8 giugno 1990 fu suonata nella cornice dello Stadio Giuseppe Meazza di Milano, durante la cerimonia di apertura dei Mondiali di calcio. Sono passati più di trent’anni da allora e l’Italia non ha ancora avuto l’onore di ospitare di nuovo la massima competizione globale a livello calcistico, sarà per questo che i ricordi di quel torneo sono ancora cristallizzati nella mente di tutti, anche di chi non l’ha vissuto direttamente. Appena ci si ricorda di quel Mondiale il nome e il cognome che viene in mente per primo è sempre lo stesso: Totò Schillaci. In quel Mondiale l’attaccante siciliano raggiunse il picco della sua carriera, che oggi ripercorreremo dall’inizio. Nato a Palermo nel 1964, Schillaci inizia a sviluppare subito la passione per il calcio, diventando in età giovanile un discreto attaccante. Un fatto curioso, soprattutto perché nell’epoca dei grandi centravanti, Totò non brillava certo per statura, essendo alto 1 metro e settantacinque. Eppure la sua velocità e la sua fame di gol lo fecero andare avanti, compensando questo fondamentale. Schillaci fece le fortune non del Palermo, in cui mai giocò, ma di un’altra squadra siciliana, il Messina, che credette in lui appena maggiorenne. Con la squadra dello Stretto Schillaci passò ottimi anni nelle serie minori, guidato da ottimi allenatori quali Scoglio e Zeman, fondamentali per la sua crescita. Nel 1989 segnò 23 gol in Serie B, affermandosi come capocannoniere della manifestazione, e attirando le attenzioni della Juventus, che per 6 miliardi di Lire lo portò in Serie A. Affacciatosi alla massima serie a 24 anni, Schillaci non si fece intimorire, e firmò una stagione memorabile per lui e per la Vecchia Signora: segnando 21 gol in 50 presenze complessive diede un contributo decisivo a un’annata in cui i bianconeri vinsero Coppa Italia e Coppa Uefa, convincendo conseguentemente il CT della Nazionale Azeglio Vicini a convocarlo per il Mondiale tricolore.
Schillaci sarebbe dovuto essere una semplice riserva in quel Mondiale, e invece è stato molto di più. Al debutto degli Azzurri nella manifestazione, contro l’Austria, entrò a un quarto d’ora dalla fine al posto di Carnevale, per poi segnare, subito dopo, un gol di testa in mezzo ai giganti austriaci che decise la manifestazione. Entrò dalla panchina anche contro gli USA, mentre nell’ultimo incontro del girone contro i Cecoslovacchi, lui e Baggio, un gol a testa, scalzarono definitvamente Carnevale e Vialli dal ruolo di titolari. Totò non si fermava più, andando in gol contro l’Uruguay agli ottavi, l’Irlanda ai quarti e l’Argentina in semifinale, dove purtroppo lo stillicidio dei calci di rigore, che Totò non tirò, determinò l’eliminazione dell’Italia a un passo dal traguardo nonostante un solo gol subito fino ad allora. Segnò anche nella vittoriosa finalina per il terzo posto contro l’Inghilterra, venendo nominato, con 6 gol, capocannoniere e miglior giocatore della manifestazione, tanto che a fine anno arrivò dietro solo a Matthaus nelle votazioni per il Pallone d’Oro. Da lì in poi però, la carriera di Schillaci iniziò ad andare in discesa. I due anni successivi con la Juve furono piuttosto miseri in termini di gol, e l’austera dirigenza bianconera decise di privarsene, puntando sul doriano Vialli. Già fuori dal giro della Nazionale, cercò di riconquistarla con l’Inter di Ernesto Pellegrini, nei cui due anni giocò poco e segnò ancora meno, fermato dagli infortuni e dalla mancanza di continuità. Vinse comunque una Coppa Uefa nel 1994, per poi stupire tutti e accettare, a neanche trent’anni, un trasferimento in Giappone, nel Jubilo Iwata. Nella terra del Sol Levante venne trattato come una star di Hollywood e segnò ben 68 reti in 4 anni, conquistando anche il campionato. Dopodiché, ulteriori noie fisiche lo fecerò ritirare nel 1999. Nonostante la sua carriera non sia decollata dopo quel Mondiale, Schillaci è riuscito, grazie alla sua forza e tenacia, di fare qualcosa di veramente difficile: rimanere per sempre nella memoria collettiva, grazie alle sue esultanze caratterizzate da una corsa sfrenata e dagli occhi spiritati.