Compie oggi 54 anni uno dei giocatori più amati, ma anche discussi, del nostro calcio: Roberto Baggio, un assoluto fuoriclasse.
Parlare di Baggio non è facile, perché non è facile raccontare nel dettaglio un personaggio che è conosciuto da chiunque, anche chi poco si intende di calcio. Il Divin Codino è stato più che un calciatore, è stato un icona pop del suo tempo, un simbolo a cui oggi si guarda come la rappresentazione di un passato che fu, come volto di un’epoca. “Da quando Baggio non gioca più, non è più domenica” cantava Cesare Cremonini, una citazione spesso abusata, ma che fa capire quanto questo giocatore ha catturato l’attenzione dei tifosi e non. Anzitutto perché possedeva una tecnica, una visione di gioco, un controllo di palla straordinario, ed è difficile non innamorarsi dei calciatori che fanno magie con un pallone tra i piedi. Poi perché è stato dovunque, ha cambiato sette maglie durante la sua carriera, ma ha sempre raccolto un consenso trasversale, pur avendo giocato in tutte le big del calcio italiano, ovvero Juventus, Milan e Inter. E infine perché a lui sono legati tre Mondiali in cui l’Italia è stata beffata sul filo del traguardo, dal destino crudele. Ma cerchiamo di fare un po’ di ordine, partendo dal 18 febbraio 1967, il giorno in cui Roby nasce a Caldogno, in provincia di Vicenza. È una famiglia numerosa la sua: è il sesto di otto figli, e il padre Florindo, appassionato di calcio e ciclismo, lo chiama Roberto in onore di Boninsegna, così come chiama il fratello Eddy come tributo al Cannibale Eddy Merckx. Si avvicinò al calcio da giovanissimo, entrando nelle giovanili vicentine del Lanerossi a 13 anni, per mezzo milione di lire. I biancorossi lo iniziarono al calcio dei grandi, ormai divenuta la prospettiva di Baggio, che rinuncia anche a conseguire il diploma di studi pur di seguire la sua squadra. Dopo un periodo sfolgorante nella Primavera, debutta in prima squadra il 5 giugno 1983, entrando stabilmente nei titolari solo l’anno dopo, in una stagione in cui realizza 12 gol in 29 presenze, riportando i suoi in Serie B. Una B che non riuscirà a giocare, primo perché la Fiorentina investe quasi 3 miliardi di lire su di lui, secondo perché subisce un gravissimo infortunio al crociato e al menisco poco prima di firmare con i viola, un infortunio che lo terrà fuori dai campi per più di un anno, e che richiederà l’utilizzo di 220 punti di sutura per curare le ferite. Un periodo difficile per un giocatore da poco maggiorenne, in cui inizia ad avvicinarsi alla fede tramite il buddhismo, religione di cui diventerà uno dei maggiori esponenti italiani. Quando torna, un nuovo infortunio lo costringe a stare fermo di nuovo, dieci presenze in due anni. Ma poi esplode, mostrando a tutti la sua classe, con tre stagioni di grande livello, tra gol e assist, che gli valgono anche la convocazione a Italia ’90. Baggio, partito da riserva, assurgerà a ruolo di titolare insieme al compagno Schillaci dopo la partita con la Cecoslovacchia, portando i suoi sino in semifinali, dove i rigori ci mettono per la prima volta lo zampino, favorendo l’Argentina.
È un’estate particolare per lui: il Presidente Pontello lo aveva venduto alla Juventus per fare cassa, e i tifosi della Fiorentina erano insorti contro la dirigenza, determinati a far saltare il tutto. Baggio non mancò di sottolineare come la sua volontà contò poco, e dimostrò sempre stima per Firenze, celebre l’episodio in cui raccolse una sciarpa viola durante un incontro tra i toscani e i bianconeri. Forse è per questo che con l’ambiente juventino non riuscì mai a legare del tutto. Eppure fece cose straordinarie, 115 gol in 200 partite, lo Scudetto del ’95, la Coppa Uefa del 1993, con tanto di Pallone d’oro e Fifa World Player. A questo periodo è legata la sua iconica immagine del codino, e la sua partecipazione ai Mondiali del ’94, in cui, seppur acciaccato, trascinò letteralmente l’Italia di Sacchi sino in finale, segnando 5 gol nella fase a eliminazione diretta. La finale contro il Brasile, purtroppo, andò così: quel giorno a Pasadena Baggio sbagliò il rigore che consegnò la coppa ai brasiliani, una ferita e un rimpianto che il giocatore tuttora vive con tristezza. Lasciata la Juve dopo l’esplosione di Del Piero, Roby rimane ad alti livelli accasandosi al Milan. Due anni non esaltanti tuttavia: nel primo vince di nuovo lo Scudetto, ma da comprimario, nel secondo, prima Sacchi e poi Capello non mostrano particolare attenzione nei suoi confronti, e così, dopo incomprensioni palesi, Baggio passa al Bologna, dopo essere stato rifiutato dal Parma di Ancelotti per motivi tattici. Rinasce nella città delle due torri: 22 gol in 30 partite, leader tecnico dei rossoblu, anche se non sempre supportato da Ulivieri, reo, secondo Baggio, di non voler essere oscurato dal fantasista. Il Mondiale ’98 termina con un’altra eliminazione ai rigori, la terza degli anni Novanta, questa volta contro la Francia campione. L’ultima esperienza di Baggio con una big è nell’Inter di Moratti, in cui capita in un periodo difficile. Il primo anno è disastroso per l’intera squadra, con quattro cambi di allenatore e una continuità inesistente, nel secondo Marcello Lippi, nuovo tecnico nerazzurro, mostra una certa insofferenza per l’asso di Caldogno. Le accuse tra i due sono state pesanti, si è parlato di denunce, per far capire quanto i rapporti fossero tesi. Baggio accusa Lippi di tenerlo fuori per motivi personali, tant’è che gioca solo quando non è possibile fare altrimenti. Memorabile, tuttavia, la doppietta con cui stende il Parma nello spareggio per la Champions League: con quella vittoria, il tecnico viareggino salva la panchina, e Baggio, dopo aver fatto il suo dovere, si trasferisce al Brescia, neo-promosso in Serie A. Con le rondinelle di Mazzone vive quattro anni splendidi, in cui salva i suoi mostrando ancora classe e talento che altri, a 35 anni, non si immaginano neanche. Trapattoni non lo convoca per i Mondiali 2002, ma il 28 aprile 2004 l’Italia gioca solo per lui, per celebrare il suo addio alla Nazionale e al calcio. Diciotto giorni dopo, in un San Siro che lo ricopre di applausi, saluta definitivamente il calcio, dopo 19 stagioni in Serie A, 452 presenze e 205 gol, settimo realizzatore di sempre del campionato italiano. Roberto Baggio, un campione, una leggenda che è stata di tutti.