Compie 65 anni oggi Hector Raul Cuper, allenatore argentino giramondo che ha lasciato il segno anche in Italia con l’Inter.
L’immagine più vivida di Cuper è il suo rituale pre-partita. Un rituale in cui si vedeva subito quanto ci tenesse a motivare i suoi ragazzi, infondendo loro la grinta necessaria prima della partita. Si posizionava nel tunnel dello spogliatoio e batteva la mano sul petto a ogni suo giocatore, un gesto rimasto nella memoria collettiva. Cuper è stato un grande allenatore sul finire degli anni ’90 e l’inizio del decennio successivo, ma, per colpe sue e non sue, non è mai riuscito a ottenere i successi che meritava, guadagnandosi l’appellativo di perdente di successo. Nato come arcigno difensore, Cuper spende tutta la sua vita calcistica in Argentina, vestendo quasi sempre la maglia del Ferro Carril Oeste, squadra del Caballito, storico barrio di Buenos Aires. La sua carriera da allenatore parte nel 1992 con l’Huracàn, squadra in cui per la prima volta arriva a un pelo dalla vittoria senza riuscire a ottenerla. Viene sconfitto, infatti, dall’Independiente nell’ultima giornata del torneo Clausura ’94, in una gara sarebbe bastato un pari per consegnare ai biancorossi un titolo. Il suo lavoro in Sudamerica non passa comunque inosservato, e nel 1997 viene chiamato al grande salto in Spagna, sulla panchina del Real Mallorca. Con la squadra delle Baleari perse di nuovo in finale, sia in Coppa del Re sia contro la Lazio nell’ultima Coppa delle Coppe assegnata prima della sua destituzione, quella del ’99, aggiudicatasi dai biancocelesti grazie a Vieri e Nedved. Tuttavia c’era davvero poco da criticare a Cuper, dato che il secondo anno portò i maiorchini al terzo posto in classifica, risultato straordinario per una squadra non abituata a questi successi, tuttora miglior piazzamento nella storia degli isolani. L’anno successivo passa al Valencia, dove cementa ancora di più la sua immagine di allenatore tutto d’un pezzo, “hombre vertical”, per l’appunto il significato del suo soprannome.
Non gioca un calcio spettacolare, anzi, il suo calcio è tutto basato sulla solidità difensiva e fulminee ripartenze, con poco spazio alla fantasia, ma è tremendamente efficace. Sia nel 2000 che nel 2001 arriva in finale di Champions League, ma perde in entrambi i casi: prima 3-0 contro il Real Madrid, poi ai rigori, di un soffio, contro il Bayern Monaco. Insomma, non ha vinto, ma ci è arrivato davvero vicino. E questo basta per convincere Massimo Moratti a portarlo a Milano nell’estate 2001, in una Inter che aveva tremendamente bisogno di un allenatore tosto per lanciare l’assalto a uno Scudetto che mancava da 13 anni. Come detto, il gioco di Cuper funzionava. Per quanto fosse sacrificato un campione come Seedorf a favore di un centrocampo muscolare e per quanto non riuscisse proprio a pigliarsi con Ronaldo, allora al rientro dopo due anni di stop, l’Inter andava e vinceva, grazie soprattutto alle reti di Bobo Vieri. I nerazzurri sembravano davvero lanciati alla vittoria del titolo, ma ancora una volta il destino ci mise lo zampino. Il 5 maggio 2002 l’Inter si squagliò come neve al sole contro la Lazio, consentendo alla Juventus di festeggiare una vittoria inaspettata. Moratti diede comunque fiducia all’argentino, preferendolo addirittura al Fenomeno Ronaldo, che di sottostare ai suoi rigidissimi metodi proprio non ne voleva sapere. Partito il brasiliano, l’Inter fece comunque una stagione memorabile nel 2003, arrivando al secondo posto e fallendo la finale di Champions League solo per un doppio pareggio subito dal Milan in semifinale. Nonostante la grossa delusione, Moratti confermò di nuovo la fiducia al tecnico ma senza grande convinzione, e difatti lo mandò via dopo soli due mesi nella stagione successiva, avversato anche da una parte dei giocatori. Ancora una volta a grandi imprese non sono stati associati grandi successi, e si può dire de facto che la carriera ad alti livelli di Cuper finì qui. Tornò al Maiorca, andò al Betis, ebbe una parentesi al Parma, finanche a guidare l’Egitto a una storica, seppur poi poco convincente, qualificazione ai Mondiali 2018. Ora è fermo, e in molti sembrano essersi scordati di lui. Hector Cuper, quando la sottile linea tra vincere e perdere fa tutta la differenza del mondo.