Compie oggi 39 anni uno dei talenti più fulgidi mai ammirati in Italia, durato, come tutte le cose belle, troppo poco tempo.
Il 16 maggio 2004, allo stadio Castellani di Empoli, i padroni di casa sfidavano l’Inter di Alberto Zaccheroni. Adriano segnò, e subito dopo si tolse la maglia, flettendo i muscoli e mettendo in posa un fisico pressoché statuario. Una posa, un’immagine che è rimasta nella memoria degli appassionati, perché rappresentava tutto ciò che era all’epoca l’Imperatore: un trascinatore, il nuovo fenomeno del calcio italiano, che avrebbe dovuto far scordare Ronaldo ai tifosi interisti e traghettarli verso tanti successi. Quel ragazzo, all’epoca ancora 22enne, rimase vittima della sua fragilità, trasformandosi in pochi anni in una versione completamente diversa da quella mostrata in quel di Empoli. Ma prima bisogna fare un passo indietro, e tornare in Brasile, dove Adriano nasce il 17 febbraio 1982. La sua favela si plasma a la Rocinha, una delle favelas più grandi dell’intero Stato sudamericano, e soprattutto dell’immensa Rio de Janeiro. Non è un quartiere facile, tra povertà e microcriminalità, ma Adriano può contare sul padre, Almir Leite Ribeiro, appena vent’anni più di lui, che cerca di tenerlo lontano dai guai e indirizzarlo verso il calcio. Una scelta saggia visto le condizioni difficili in cui il ragazzo cresce, culminate in un colpo di proiettile che colpisce la testa di Almir, durante una sparatoria in cui l’uomo si era ritrovato per caso. Adriano non scorderà mai quel momento, e decide di investire nel calcio tutto ciò che la natura gli ha dato: un fisico possente, un sinistro poderoso, una naturale predisposizione per giocare in attacco, dove viene giustamente spostato dopo i primi, infruttuosi, tentativi da terzino. Adriano si affina nel Flamengo, i rossoneri di Rio, ma a bussare alla porta della Società è invece una squadra nerazzurra, l’Inter, colpita dalle capacità del ragazzo, un altro brasiliano dopo il Fenomeno, quello con la F maiuscola, che sta ancora lottando con un infortunio che lo tiene fuori da più di un anno. Adriano arriva all’Inter nell’estate del 2001, ed è, a tutti gli effetti, un perfetto sconosciuto ai più. Un modo per farsi conoscere lo trova subito: è il giorno prima di Ferragosto, la cornice un’amichevole contro il Real Madrid, bloccata sull’1-1 quando ci si avvia al 90esimo. Una partita dimenticabile, se non fosse che Adriano batte una punizione talmente forte che la sua botta sembra sfondare la porta difesa da Casillas. Si inizia a parlare di lui, ma all’Inter è chiuso, nonostante un gol al Venezia nelle prime giornate, passa così in prestito alla Fiorentina. In viola l’attaccante ha sulle spalle il numero 90, come l’anno in cui quella pallottola maledetta ha colpito il padre. È un grande anno quello dell’attaccante in viola, ma Cecchi Gori ha da tempo chiuso i rubinetti, tant’è che la Fiorentina, retrocessa in B al termine di quell’annata, dovrà ripartire dalla C2 con nuovo nome.
L’Inter, nonostante il clamoroso abbandono di Ronaldo, decide di lasciarlo ancora in prestito, questa volta al Parma. Un’altra Società la cui proprietà andrà incontro a guai finanziari importanti, ma questo Adriano non lo sa, e nel primo anno segna 15 gol in 28 partite, facendo capire di che pasta è fatto. È talmente dominante che l’Inter lo richiama alla base nel gennaio 2004, prima dei due anni di prestito pattuiti, perché i suoi gol servono come il pane a una squadra in difficoltà, dopo la cacciata di Cuper. 9 gol in 16 partite nella prima mezza stagione, con quella posa da Hulk di cui avevamo parlato, poi la Copa America, vinta, in finale contro l’Argentina con una prestazione straordinaria. Il 4 agosto 2004, però, Almir non ce la fa. I postumi di quella sparatoria mettono fine alla sua vita troppo presto. Per Adriano è un colpo da cui non riuscirà a riprendersi, nonostante all’inizio non sembri sia così. L’anno calcistico continua in maniera impressionante, Adriano segna ovunque e in qualunque modo, come quando parte in progressione e dribbla tutto l’Udinese, prima di depositare in rete. È decisivo nella doppia finale di Coppa Italia, vinta contro la Roma, e nel terzo posto finale, 28 gol per lui in stagione. L’anno dopo, già la luce inizia ad affievolirsi. Dopo un ottimo inizio del girone di andata, Adriano nel ritorno non segna più. Nel 2006, con il ritorno in nerazzurro di Crespo, gli spazi si chiudono sempre più, tant’è che vince il suo primo Scudetto da assoluto comprimario, in una squadra dominata dal talento di Ibrahimovic. Nel gennaio del 2008 viene addirittura mandato via, in prestito, in Brasile, quasi come se non ci fosse più bisogno di lui. Mancini, il tecnico, le ha provate tutte, ma Adriano lotta contro dei demoni personali di cui non riesce a liberarsi. La morte del padre ha causato in lui una forte depressione, che cerca di curare bevendo alcool, in particolare birra, e dandosi al divertimento, per cercare di non pensare a ciò che lo tormenta. Spesso si presenta agli allenamenti in condizioni pietose, addormentandosi in infermeria invece di svolgere il suo dovere. L’Inter gli dà una seconda chance con Mourinho, ma è un fuoco di paglia, nonostante qualche gol lo segni, memorabile quello di braccio nel derby. La fiducia però finisce, e Adriano, dopo esser tornato al Flamengo, compare di nuovo in Italia nell’estate del 2010, apparendo quasi come una parodia di sé stesso. Acquistato dalla Roma, appare gonfio, imbolsito, decisamente fuori forma per la Serie A. E infatti viene rispedito al mittente dopo una manciata di partite. L’impero è finito, anche in Brasile, dove anche il Corinthians lo allontana dicendo che i suoi problemi personali sono troppo importanti per continuare a giocare a un certo livello. Oggi, Adriano ha smesso con il calcio, è tornato a casa sua, nelle favelas di Rio, circondato dalla sua gente nel posto in cui è cresciuto. L’augurio è che possa finalmente affrontare i demoni che gli hanno minato la carriera.