Spegne oggi 69 candeline uno dei mister più amati dal mondo del calcio, capace di arrivare in cima grazie alla sua semplicità.
È difficile trovare una persona che non provi simpatia per Claudio Ranieri. Il tecnico, romano di Roma, incarna alla perfezione lo spirito della città, combattivo ma anche guascone quando serve. È riuscito a diventare un simbolo della romanità pur avendo legato per pochi anni la propria figura professionale a quella dei giallorossi, ma soprattutto è stato in grado di levarsi di dosso l’etichetta che lo ha perseguitato per anni di perdente di lusso, di eterno secondo, compiendo un’impresa sportiva talmente grande da essersi meritato addirittura un encomio dal Presidente della Repubblica, per aver portato alto il nome dell’Italia all’estero. La sua carriera da allenatore, dopo una decina d’anni da terzino legata principalmente al Catanzaro, inizia nel 1986, più di trent’anni fa. Dopo le prime esperienze, balza agli onori del grande pubblico per il doppio salto effettuato sulla panchina del Cagliari. Con i sardi riesce a passare in due anni dalla Serie C1 alla A, mantenendo la categoria e candidandosi per un posto tra le big del nostro campionato. Dopo due anni discreti a Napoli, guida la Fiorentina all’immediato ritorno in massima serie, e si stabilisce a Firenze in una squadra caratterizzata da campioni come Toldo e Batistuta. È suo il merito del trionfo in Coppa Italia del 1996, con otto vittorie in altrettante partite, seguito dalla vittoria in Supercoppa Italiana contro il fortissimo Milan, decisivo ancora una volta Batistuta. A metà anni novanta però, sembra non ci sia più posto per lui in Italia. Difatti inizia ad allenare all’estero, e per due lustri non siederà più sulla panchina di un club nostrano, come se i più si fossero dimenticati di lui. Ottiene comunque risultati di rilievo, visto che nel biennio a Valencia vince la Coppa del Re, mentre nelle quattro stagioni al Chelsea fa sempre meglio, arrivando al secondo posto nel 2004, dietro solo all’Arsenal degli invincibili. I blues erano un club dov’era forte la tradizione italiana, dato che vi erano già passati Zola, Vialli e Di Matteo, ma questa tradizione viene spazzata via dall’arrivo di Abramovich, che quando arriva lo caccia preferendogli Mourinho.
La sua carriera sembra a un punto morto, fino a quando nel febbraio 2007 un derelitto Parma gli dà fiducia. Ranieri dimostra di essere ancora un signor allenatore, salvando gli emiliani grazie a 27 punti ottenuti in 16 partite, una marcia impressionante. La Juve se ne accorge e gli affida la panchina dei bianconeri neopromossi in A, squadra ancora lontana dalla dominatrice degli ultimi anni, ma con ottimi elementi quali Buffon, Nedved, Del Piero e Trezeguet. Ottiene un terzo e un secondo posto, ma alla Juve si sa, vincere è l’unica cosa che conta. Nel 2009, dopo le dimissioni di Spalletti a seguito di due sconfitte nelle prime due gare, arriva l’occasione della vita: allenare la Roma, la squadra della sua città. Il campionato dei giallorossi è strabiliante, ma la favola del Triplete dell’Inter esclude quella dell’allenatore romano che riporta il titolo nella capitale nove anni dopo. Rimarrà il cruccio a Ranieri di aver saltato le prime due giornate, poiché i nerazzurri staccano la Roma all’ultima giornata di soli due punti. Dopo una mezza annata fallimentare proprio all’Inter, in molto danno il tecnico sul viale del tramonto. E invece succede il miracolo. Nel 15-16 guida il Leicester, squadra di medio-bassa classifica, alla vittoria della Premier. Un’impresa talmente enorme che è difficile spiegarla. In un campionato di squadre fortissime, Liverpool, City, United, Chelsea, il Leicester non solo vince il primo trofeo della sua storia, ma domina anche, chiudendo con sole tre sconfitte e dieci punti di vantaggio sulle seconde. La vita gli ha finalmente restituito tutte le amarezze che gli erano state date: è commovente vederlo alzare quel trofeo insieme ai suoi ragazzi. Iniziano a piovere premi: Hall of Fame del calcio italiano, onorificenze, miglior allenatore dell’anno per la Fifa… ma Ranieri rimane con il sorriso sornione di sempre, e riprende ad allenare con la forza di chi ama il proprio lavoro. Tornerà ancora una volta a Roma, dalla sua gente. E ora guida la Sampdoria, con cui recentemente ha rifilato una sonora sconfitta alla Lazio. La storia di Ranieri ci insegna che si può arrivare in alto, dove nessuno era mai arrivato, anche rimanendo sempre persone umili e a modo. Per questo, buon compleanno Claudio.