Esiste una particolare categoria di attaccanti, in particolare nel calcio italiano, di difficile categorizzazione. Troppo bravi e adatti a palcoscenici importanti per rientrare nella categoria dei “bomber di provincia”, ma non così raffinati da essere considerati campioni. Si tratta di quei centravanti utili, non troppo belli da vedere ma efficaci e prolifici.
Andrea Belotti: il centravanti granata per definizione
L’esempio più calzante in questo periodo è Andrea Belotti: il capitano del Torino non è, e non sarà mai, un giocatore che cattura l’attenzione degli esteti del calcio, con quella sua figura ingobbita, con il suo modo di giocare fatto di strappi improvvisi e di sportellate in area di rigore. Non a caso il Gallo ha trovato la sua dimensione ideale in quel Toro che fa del tremendismo granata il suo manifesto storico: intensità, grinta e fisicità sono da anni le qualità essenziali per avere successo sotto la curva Maratona.
Il Gallo Belotti non spicca certo per qualità tecnica, non ha un grandissimo controllo di palla, sia negli stop che nella corsa, e quando segna lo fa più grazie al tempismo e all’intuito, piuttosto che per la precisione del tiro. Non eccelle nel dialogo con i compagni e spesso sbaglia appoggi anche banali. Eppure, in mezzo all’area è un pericolo costante per qualsiasi difesa, ed i suoi numeri, anche nelle stagioni peggiori, rendono giustizia alla sua statura di bomber. Per queste sue caratteristiche Belotti ricorda moltissimo un altro centravanti, che però è diventato famoso indossando la casacca dell’altra metà di Torino, quella bianconera: Pierluigi Casiraghi.
Pierluigi Casiraghi: mai protagonista, sempre sulla scena
Pierluigi Casiraghi nasce a Monza il 4 marzo 1969, e con la maglia della città brianzola compie tutta la trafila dalle squadre giovanili alla prima squadra, esordendo a 16 anni in Coppa Italia. Tra il 1985 e il 1989 colleziona 109 presenze tra Serie B, Serie C e Coppa Italia, mettendo a segno 31 gol che attirano l’attenzione della Juventus, che lo preleva nell’estate 1989
La prima stagione del giovane Casiraghi alla Juve, con Dino Zoff in panchina è più che positiva, dal momento che segna, oltre a 4 reti in campionato, gol importanti per le vittorie della Coppa Italia (doppietta in semifinale contro il Torino) e della Coppa UEFA (in gol nella finale vinta per 3-1 contro la Fiorentina). Nella stagione successiva arriva sulla panchina bianconera Gigi Maifredi, con la sua idea di calcio champagne che dovrebbe esaltare la manovra offensiva e le doti di ariete di Casiraghi. Il centravanti mette a segno 14 reti nella stagione, ma per la Juve è un’annata fallimentare a cui segue il ritorno di un allenatore pragmatico e concreto come Giovanni Trapattoni, reduce dai trionfi interisti.
Con il Trap la Juve torna la squadra solida e cinica che è sempre stata, ma dopo la prima stagione gli spazi per Pierluigi si riducono, con l’arrivo di giocatori come Vialli e Ravanelli. Dopo la vittoria della seconda Coppa Uefa, si trasferisce alla Lazio di Dino Zoff, chiudendo la sua esperienza bianconera con 37 reti in 146 partite.
Durante la prima stagione biancoceleste, nonostante i pochi gol segnati, è il perfetto compagno di attacco di una punta mobile e veloce come Beppe Signori, che grazie agli spazi aperti dall’armadio brianzolo vince nuovamente la classifica cannonieri. L’intesa della coppia è tale che Arrigo Sacchi chiama entrambi nella spedizione azzurra che arriverà alla finale dei Mondiali USA 94, persa ai rigori contro il Brasile. Negli anni successivi, con Zeman, nuovamente Zoff ed Eriksson in panchina, il suo bottino di gol si fa sempre più consistente: alla fine saranno 56 i gol messi a segno in 188 partite spalmate su 5 stagioni, che valgono una Coppa Italia ed una finale di Coppa UEFA persa contro l’Inter di Ronaldo. Anche in Nazionale si fa spazio, giocando gli Europei inglesi del 1996 e segnando una doppietta all’esordio contro la Russia.
Dopo la mancata partecipazione al Mondiale di Francia 98 (nonostante il gol decisivo nello spareggio contro la Russia), Casiraghi decide di intraprendere un’esperienza all’estero e approda al Chelsea “italianizzato” di Vialli (allenatore-giocatore), Zola e Di Matteo. All’esordio Casiraghi può subito alzare la Supercoppa Europea, vinta ai danni del Real Madrid, ma pochi mesi dopo capita l’incidente che stronca prematuramente la sua carriera: l’8 novembre 1998, dopo soli 24 minuti della partita West Ham-Chelsea, Pierluigi cerca di intervenire su un pallone vagante in area, ma viene travolto dal portiere Hislop in uscita. La violenza dell’impatto è devastante: il ginocchio di Casiraghi è fratturato in più punti e nei due anni successivi si sottoporrà a vari interventi chirurgici, ma purtroppo la diagnosi sarà sempre negativa, fino a quando nel 2000, a soli 31 anni, deve definitivamente dire addio al calcio giocato.
Belotti e Casiraghi: arrivare sulla palla, a qualsiasi costo
Il tremendo infortunio che ha chiuso la carriera di Casiraghi nasce da una caratteristica che ha contraddistinto la sua carriera e che condivide con Belotti: la voglia incontenibile di arrivare su ogni pallone, anche se significa mettere a rischio la propria incolumità fisica. Anche i problemi fisici che hanno contraddistinto le ultime stagioni di Belotti sono sempre stati causati dalla troppa foga che l’attaccante ha messo in campo, al punto da ignorare i segnali provenienti dal proprio fisico.
Effettivamente, a vedere la struttura fisica di Belotti, con questo petto prominente, la schiena curva e la vita stretta, sembra un po’ di rivedere quel fisico massiccio ma non imponente di Casiraghi, con quella faccia da pugile che rivelava il contesto in cui si esaltava di più: la lotta uno contro uno, in mezzo all’area, dove riusciva a prendere il tempo al marcatore per andare ad impattare per primo la palla.
Per quanto Belotti sia leggermente più completo fisicamente, potendo contare su una velocità ed una progressione che lo rendono più pericoloso anche fuori dall’area e che gli permettono di rappresentare un pericolo costante per le difese anche in qualità di unica punta, nei suoi gol rivediamo quella sorta di brutale essenzialità che si riconosceva nei gol di Casiraghi: non importa tanto il tocco vellutato, il dribbling o il piazzare la palla in quel punto preciso, ma serve arrivare prima degli altri, calciare con potenza, sorprendere l’avversario con il movimento. Quando il difensore si sta ancora chiedendo dov’è finito il tir che l’ha travolto, il portiere sta già raccogliendo la palla dal fondo della rete.