Il Bell’Antonio è stato un’icona della Nazionale Italiana e della Juventus, rivoluzionando l’interpretazione del ruolo da terzino e non solo.
Sessantuno. Questo è il numero di gol realizzati in carriera da Antonio Cabrini, con la maglia azzurra dell’Italia e con quella bianconera della Vecchia Signora. Eppure non parliamo di un attaccante, parliamo di un difensore, un difensore che ha avuto il picco della sua carriera tra gli anni 70 e gli anni 80, non certo uno dei laterali di adesso, per cui è perfettamente normale coprire a attaccare, difendere e inserirsi, non disdegnando i calci piazzati. Quello che ha portato Cabrini nel mondo del calcio è stata l’innovazione, l’innovazione della sua interpretazione del ruolo, talmente influente da farne uno dei migliori difensori della storia italiana, l’innovazione della frequenza con cui andava a rete, nessun difensore ha segnato tanto quanto lui in Nazionale, l’innovazione di andare ad allenare una squadra femminile nel momento in cui ancora nomi di spicco che aiutassero il movimento a migliorare non ce n’erano. Insomma, una storia interessante. Una storia che nasce a Cremona, dove Cabrini nasce l’8 ottobre 1957 e dove muove i primi passi proprio nella Cremonese, adattandosi in difesa dopo un inizio come ala grazie ai suggerimenti del tecnico delle giovanili Nolli. Dopo qualche anno coi grigiorossi e un anno all’Atalanta in Serie B, la Juventus decide di puntare su di lui quando ha solo diciotto anni, prendendosi un rischio che poi ha decisamente pagato. È nel 1976 che nasce la prima vita di Cabrini, quella legata alla maglia bianconera della Juventus, con la quale verrà legato in modo imprescindibile da lì in poi. Rimane tredici anni nella squadra torinese, vincendo qualsiasi cosa da gran protagonista, ed entrando nella storia del club. Anzitutto sono ben sei gli scudetti vinti, oltre a due Coppe Italia, che lo portano molto in alto nella classifica dei pluriscudettati della Serie A. Ma soprattutto è stato il primo giocatore a vincere tutte le competizioni UEFA per club: la Coppa Uefa nel ’77, al primo anno, la Coppa Coppe e la Supercoppa Europea nell’84, La Coppa dei Campioni, prima per la Juve, e l’intercontinentale nell’85, segnando anche nella serie dei rigori contro l’Argentinos Juniors. Dopo un anno da capitano, lascia nell’89 dopo 442 presenze, per andare a chiudere la carriera al Bologna.
La seconda vita di Cabrini è legata alla Nazionale Italiana, con la quale esordisce direttamente al Mondiale 1978, appena ventenne, e viene eletto miglior giovane della competizione. Ne diventa in breve tempo titolare fisso respingendo la concorrenza, e ha il grande onore di poter giocare tutte le partite del Mundial 1982, senza mai essere sostituito, divenendo un eroe in patria per il terzo titolo mondiale che gli azzurri riescono a conquistare in Spagna. Da ricordare il suo gol, decisivo, all’Argentina, e anche il rigore sbagliato sullo 0-0 in finale, con i tedeschi ugualmente sconfitti per 3-1 dopo. È sicuramente stato il suo punto più alto, dato che dopo partecipa alla fallimentare spedizione del ’76 e infine annuncia il suo ritiro dalle convocazioni in maglia Azzurra dopo 73 presenze, dando stupore visto che all’epoca nessuno di fatto si ritirava da esse. Innovativo, come dicevamo. La terza vita è quella da allenatore: non esaltanti a dir la verità le prime esperienze, abbastanza anonimi i campionati con Arezzo, Crotone, Pisa e Novara spalmati negli anni. Prova l’avventura nel 2007 con la Nazionale siriana, ma lascia dopo sei mesi. Nel 2012 invece decide di allenare la Nazionale Italiana femminile, attirando le luci su un movimento ancora molto distante dalla popolarità che ha raggiunto ora. Rimane cinque anni facendo del suo meglio: porta le sue ragazze ai quarti di Euro 2013, sfiora di un soffio la qualificazione al Mondiale 2015 dopo sedici anni di assenza, si toglie la soddisfazione di battere la fortissima Svezia a Euro 2017, dopodiché lascia, dando alla nuova allenatrice Milena Bertolini un terreno fertile su cui lavorare. Una delle caratteristiche più associate a Cabrini è stata la bellezza, da cui il soprannome di inizio articolo, ma se la bellezza è e sarà sempre effimera, non è effimera l’innovazione e l’impronta che una grande persona e un grande calciatore lasciano sul loro mondo.