Compie oggi 66 anni uno dei nomi più importanti della storia giallorossa e della Nazionale italiana, il sindaco di Roma Bruno Conti.
“Di Bruno ce n’è uno e viene da Nettuno”. Questo era il coro che veniva scandito dai tifosi della Lupa dedicato al loro beniamino, Bruno Conti. Sono passati molti anni da allora, ma non c’è tifoso giallorosso che non abbia nel cuore l’immagine di quel ragazzo che faceva su e giù per la fascia, usando il suo mancino per mandare a rete i compagni e trascinarli alla vittoria, con quel senso della maglia che deficita nel calcio di oggi. Una storia di un uomo semplice, umile, che ha sempre voluto giocare a calcio, difendendo i colori della sua città rendendola grande. Bruno ci è riuscito, anzi, ha fatto anche di più: campione del mondo nel magico Mundial dell’82, è tuttora ambasciatore dei capitolini nel mondo. Nato il 13 marzo del 1955 nella già citata Nettuno, città del litorale laziale, Bruno fa parte di una famiglia numerosa: sette figli, il padre, muratore, e la madre si sacrificano per non far mancare nulla alla loro prole. Bruno inizialmente tenta la carriera del baseball, lo sport tradizionale di Nettuno, portato dagli americani negli anni bellici. Era uno dei più promettenti, nel suo ruolo di lanciatore viene notato anche da alcuni osservatori dell’Università di Santa Monica, che a 15 anni gli offrono una borsa di studio per portarlo in California, ma la famiglia si oppone e Bruno resta in Italia, dove nel giro di pochi anni sfonderà come calciatore. In realtà gli inizi non saranno facilissimi: il ragazzo arriva a stento al metro e settanta, e questo gli costa l’esclusione in diversi provini che svolge, celebre quello svolto proprio con la Roma nel ’69, dove il Mago, Helenio Herrera, lo scarta senza troppe remore. Bruno avrà la sua rivincita nel 1973, quando finalmente entra a far parte prima del vivaio giallorosso e poi della prima squadra. Se si escludono due parentesi in Serie B con la maglia del Genoa, in cui viene mandato a farsi le ossa, per circa vent’anni l’unica maglia che indossa è quella della Lupa.
Dal 1979 Liedholm crede definitivamente in lui e Bruno affronterà gli anni migliori della sua carriera. Nell’82 gioca tutte le partite della spedizione Mondiale, segnando nel pareggio contro il Perù e offrendo una prestazione straordinaria nella temutissima doppia sfida con Argentina e Brasile, tanto da meritarsi l’appellativo di “Marazico”. Nella finale con la Germania Ovest si procura il rigore che Cabrini fallisce, ma dopo entra nelle reti di Tardelli e Altobelli che valgono il terzo titolo mondiale per gli Azzurri. Passa solo una stagione e arriva anche lo Scudetto con la Roma, il secondo storico tricolore, insieme a campioni come Falcao, Ancelotti, Vierchowod e Di Bartolomei. Il grande rimpianto è la finale di Coppa dei Campioni dell’84, in cui i giallorossi perdono ai tiri di rigore contro il Liverpool, Conti, distratto da Grobbelaar, calcerà alto il secondo penalty. Arriveranno anche cinque Coppe Italia ad arricchire il palmares dell’esterno di Nettuno, 402 presenze e 47 gol complessivi con la Roma in carriera. Il 23 maggio 1991 gioca la sua ultima partita prima del ritiro davanti a un Olimpico gremito da 80.000 persone, nonostante solo il giorno prima la Roma avesse perso la finale di Coppa Uefa contro l’Inter. Da lì Conti è sempre rimasto in Società ad occuparsi di scoprire e reclutare i migliori giovani di Roma, scoprendo gioielli come De Rossi, Aquilani, Florenzi e Romagnoli. Tra il marzo e il giugno del 2005 è anche allenatore della squadra in una stagione disgraziata, in cui riesce comunque ad ottenere l’accesso alla finale di Coppa Italia, poi persa, e a portare la Roma in Coppa Uefa, nonostante i 7 punti conquistati in 10 partite. Dalla moglie Laura ha avuto due figli anch’essi calciatori: Andrea, che si è affermato in diverse squadre di Serie C, e Daniele, sedici anni con la maglia del Cagliari, di cui ora è responsabile della Primavera, dopo gli inizi nella Capitale. “Un Bruno Conti, c’è solo un Bruno Conti”, così cantava la curva della Roma negli anni Ottanta come adesso, in onore di un uomo che ha sempre dato tutto per la propria fede.