“Discusso, controverso, odiato e invidiato” : così veniva presentato Flavio Briatore su The Apprentice, un noto programma TV andato in onda qualche anno fa.
Perchè la vita del manager piemontese è di quelle da raccontare, contraddistinta da una serie infinita di alti (tanti) e bassi (qualcuno), sottolineando in particolar modo i numerosi successi che è riuscito a cogliere nel mondo della Formula Uno.
Il geometra Briatore
Flavio Briatore nasce nel 1950 nei pressi di Cuneo da figli di insegnanti elementari. In gioventù frequenta l’istituto per geometri, nel quale viene bocciato due volte prima di conseguire il diploma.
Terminati gli studi, capisce che è il settore imprenditoriale quello dove può ottenere qualcosa di buono, e accumula esperienze prima nella ristorazione, poi nell’edilizia. In seguito, il passo che gli cambierà la vita: decide di trasferirsi a Milano, città florida di opportunità, dove inizia a frequentare l’ambiente della Borsa e lì conosce Luciano Benetton.
Con l’industriale trevigiano Briatore stringe una forte amicizia, tanto che Benetton gli affida il compito di aprire negli Stati Uniti alcune filiali Benetton in franchising. Siamo alla fine degli anni Ottanta.
Il progetto funziona, ma l’avventura di Briatore negli anni successivi rischia di venire guastata addirittura da alcune inchieste giudiziarie, che però vengono in seguito amnistiate e gli consentono di tornare in Italia nel 1990.
È di quell’anno, sempre gomito a gomito con la famiglia Benetton, che Briatore inizia ad interessarsi di Formula Uno, dal momento che quattro anni prima la stessa azienda aveva fondato l’omonima scuderia. Gli viene chiesto prima di diventare direttore commerciale di quest’ultima, poi addirittura direttore generale.
Era l’inizio di una carriera sfolgorante nelle quattro ruote.
L’epopea in Benetton
Briatore, in Benetton, ha il merito di essere un vulcano di idee e di attorniarsi di persone competenti: prima fra tutte, fa arrivare alla scuderia trevigiana Tom Walkinshaw e di affidargli il ruolo di direttore tecnico; poco dopo, ingaggia gli ingegneri Ross Brawn e Rory Bryne, personaggi allora pressochè sconosciuti ma che scriveranno poi la storia di questo sport.
Ma la vera mossa che consacra Briatore è quella suggerita da Walkinshaw, ovvero l’ingaggio del giovanissimo e sconosciuto Micheal Schumacher come pilota. Decisione, questa, che farà le fortune della scuderia.
Nei primi anni ’90, Briatore infonde prima a Benetton poi alla Formula Uno nel suo insieme, quell’imprinting imprenditoriale da cui tutt’ora è caratterizzata, privilegiando gli aspetti legati a sponsor, TV e comunicazione.
Il risultato è che la Benetton riesce ad ampliare il proprio budget, e nel 1994 diviene competitiva addirittura per il Campionato del Mondo assoluto, in quegli anni prerogativa di McLaren, Ferrari e Williams.
Il titolo con Schumacher
Dopo due stagioni con Schumi, una vettura potenziata e una disponibilità economica crescente fanno sì che il 1994 sia l’anno giusto per provare l’assalto al titolo.
Schumacher, aiutato dal secondo pilota Jos Verstappen, coglie ben otto vittorie e nonostante un discusso incidente in Australia beffa Damon Hill e vince il Mondiale, consegnando a Benetton il primo trionfo iridato.
In quella stagione, alcune gare sono state oggetto di approfondite indagini da parte della FIA, che riscontra nelle Benetton una serie di aiuti elettronici: questi ultimi, pur molto discussi, non si sono rivelati strettamente irregolari, e anzi hanno il merito di far riconoscere a Briatore un grande intuito per l’interpretazione delle aree grigie dei regolamenti.
Da Benetton a Renault
La via è tracciata, e il modello vincente costruito da Briatore si conferma anche nel 1995, anno in cui Schumacher fa il bis, prima che quest’ultimo l’anno successivo si sposti in Ferrari, seguito dai suoi tecnici più fidati, con non poche polemiche da parte di Briatore, che amareggiato dice “Oramai è una moda per la Ferrari prendere i nostri ex dipendenti. Il Cavallino sta rifondando la squadra con i pensionati della Benetton. Noi, invece, ci prendiamo il rischio di affrontare il futuro con uno staff tutto giovane. Vedremo alla fine chi avrà avuto ragione“.
Briatore, in ogni caso, continua il suo lavoro in Benetton, anche dopo l’acquisizione nel 2001 da parte di Renault, di cui diviene direttore esecutivo.
Come era stato con Schumacher, anche per Renault Briatore trova il colpo di genio che cambia le sorti della scuderia: ingaggia il giovane spagnolo Fernando Alonso, parcheggiato inizialmente in Minardi e ora pronto per un sedile più prestigioso.
Tra il 2004 e il 2005 arrivano le soddisfazioni, con le vittorie del Campionato Piloti e quello Costruttori, a confermare che le vittorie in Benetton non erano state casuali.
Crashgate: un finale – shock
Nonostante le attività e le iniziative di Briatore, negli anni, aumentino considerevolmente, l’esperienza in Formula Uno termina nel modo più clamoroso: nel 2008, infatti, si corre il Gran Premio di Singapore.
Fernando Alonso, pilota di punta della scuderia, si qualifica in quindicesima posizione. Briatore, per agevolare la rimonta del pilota spagnolo, avalla la folle strategia pensata dall’ingegnere Pat Symonds , che ordina a Nelson Piquet Jr. (secondo pilota di Renault) di schiantarsi sul muro, di modo da obbligare l’intervento della safety car che ricompatterebbe il gruppo e renderebbe meno difficile la gara di Alonso.
Il piano va a buon fine, con Piquet che esegue il discutibile piano, safety car che entra e Alonso che recupera ed in effetti vince. Nei mesi successivi, grazie al reo confesso Piquet, la stampa rilancia la vicenda, apponendo al tutto la dicitura Crashgate.
Il risultato di tutto è che la FIA si vede costretta a radiare sia Symonds che Briatore. Nel tempo, poi, la squalifica viene annullata per procedimento irregolare, ma la Renault preferisce licenziarlo, chiudendo la sua esperienza nel mondo dei motori in modo drastico.
Oggi gli affari di Briatore sono ben lontani dalle piste di Formula Uno, ma è indiscutibile che – tra alti e bassi, tra polemiche e chiacchiere – il manager piemontese abbia scritto pagine di storia di un’industria, che se oggi naviga nella ricchezza deve molto anche a lui.