Guardare le macchine di Formula Uno sfrecciare oltre ai trecento all’ora è uno spettacolo sempre impressionante, a prescindere da quale sia il nostro pilota o scuderia preferita. Ma pochi si rendono davvero conto di quanto per arrivare a quel limite di prestazioni ci siano da tenere in considerazioni diverse leggi della fisica che incidono pesantemente sulla velocità e l’assetto delle monoposto.
A qualche appassionato di quattro ruote, sarà così sicuramente capitato di sentire parlare di “effetto suolo“, un termine tanto in voga sul finire degli anni settanta e ora tornato alla ribalta grazie ai nuovi regolamenti del Mondiale.
Cerchiamo allora di capirne di più su questo principio e su come sfruttarlo per migliorare le vetture di Formula Uno (e aumentare la spettacolarità).
Cosa si intende per effetto suolo
Spiegare nel dettaglio tutte le dinamiche dell’effetto suolo, rischia forse di creare ancora più confusione in chi si vuole semplicemente avvicinare alla comprensione di questo termine e del suo significato. Conviene quindi concentrarsi più su quelli che sono i suoi effetti pratici, che in qualche modo aiutano a capirne anche il modo in cui funziona (e quindi come sfruttarlo per le vetture).
Siamo nel campo delle leggi della fluodinamica, un mondo in cui le forze in gioco sono diverse e legate a specifiche caratteristiche che coinvolgono elementi che potrebbero in questo caso essere sintetizzati in pressione e velocità dell’aria.
Banalmente è la parola stessa a introdurci il luogo in cui questo principio fisico avviene, ovvero quello spazio tra il fondo della vettura e il suolo stesso. Uno spazio in cui entrano in scena le forze di cui sopra, tra i due corpi solidi in movimento relativo tra loro (la macchina e l’asfalto) e l’aria (il fluido) che entra a una certa velocità creando una sorta di depressione proprio sotto la vettura.
Maggiore è l’effetto suolo (quindi la velocità dell’aria che passa e la conseguente diminuzione di pressione), più la vettura avrà quello che viene chiamato “carico” (ovvero più aderenza).
Meno pressione sotto la macchina, uguale a più pressione sopra la macchina (il contrario appunto di quanto capita per un’ala di aereo, che sfrutta invece proprio il fattore opposto).
C’era una volta: l’effetto suolo negli anni settanta e ottanta
Per ottenere un maggior carico aereodinamico, le monoposto di formula uno si sono sempre dotate di dispositivi atti proprio a fare in modo di ottenere il miglior effetto suolo possibile. Nel corso del tempo sono nate ala posteriori di vario genere, alettoni anteriori di diverse misure, così come diffusori posteriori in grado di di aiutare l’uscita del flusso d’aria.
Altrettando, modificando il fondo della vettura rendendolo più convesso, si poteva sfruttare l’effetto Venturi (un principio fisico secondo cui la pressione di un fluido, dell’aria in questo caso, aumenta se diminuisce la velocità), ottenendo ulteriori vantaggi di carico e di migliore gestione delle turbolenze in entrata (quindi più velocità quando si aveva davanti una vettura facilitandone il sorpasso).
I progettisti hanno quindi da sempre cercato di sviluppare soluzioni che permettessero di sfruttare al meglio queste possibilità, soprattutto dagli anni settanta in poi dove di volta in volta nascevano escamotage dati da un regolamento in perenne ritardo rispetto alle innovazioni tecniche.
Prova ne è, per esempio, la Lotus78 uscita nel campionato 1976, denominata proprio “Wing Car” tanto era costruita per sembrare una lunga ala e offrire quanto più carico aerodinamico possibile. Le pance laterali in cui erano posizionati i radiatori, contribuivano a dare ulteriore resa al fondo. Ancora di più fu la modifica della Lotus nel 1979, quando proprio per ottenere il massimo dall’effetto Venturi, scavarono il fondo della vettura che insieme alla “minigonne” laterali davano ancora più deportanza.
In quegli stessi anni anche altre scuderie portarono avanti sviluppi diversi, ma tutti atti ad aumentare l’effetto suolo delle loro monoposto. La Brabham per esempio, nel suo modello BT46B del 1978, si inventò un’enorme ventola posteriore che aspirando aria dal fondo della vettura, ricreava una bassa pressione per dare più aderenza al suolo.
I vantaggi di queste soluzioni erano enormi, ma si portavano dietro anche qualche problema di sicurezza per i piloti (troppa accelerazione in curva che creava malesseri) e per tutto il pubblico (le minigonne potevano staccarsi facilmente e creare pericoli). La decisione fu quindi di metterle al bando per sempre tramite una modifica di regolamento, con buona pace dell’effetto suolo che sarebbe stato ricercato in altra maniera.
Il riscatto dell’effetto suolo: i nuovi regolamenti
Negli ultimi anni di Formula Uno per fortuna, le monoposto sono diventate sempre più affidabili in termini di sicurezza, tanto che i nuovi regolamenti possono ora spingersi nella direzione di concedere alle scuderie maggiore efficacia rispetto all’uso dell’effetto suolo.
Questo anche per consentire una maggiore spettacolarità, permettendo a chi segue di gestire al meglio le turbolenze di chi è davanti.
Via libera quindi alle modifiche del fondo delle monoposto, con scanalature evidenti che lo rendono sempre più simile a un tubo di Venturi (utili proprio a diminuire la turbolenza aerodinamica derivata dall’auto davanti).
Parimenti (e con lo stesso obiettivo), il regolamento ha imposto di ridisegnare la zona posteriore della vettura, in modo da alzare il flusso d’aria in uscita che non finirà quindi direttamente nell’anteriore di chi segue, attenuando anche in questo caso le turbolenze (e migliorando così la pulizia del flusso in entrata sotto la vettura che segue).
Tutto insomma per agevolare proprio la deportanza data dall’effetto suolo, che dovrebbe non solo agevolare i sorpassi (leggasi, lo spettacolo), ma sulla carta anche migliorare i tempi sul giro di qualcosa intorno ai 3 secondi circa.