La stragrande maggioranza degli sport agonistici, vive una differenziazione di genere molto netta (tanto che in certi casi la misura del testosterone è sine qua non per l’accesso alle gare, vedi l’atletica).
Ma nel caso della Formula 1, non ci sono preclusioni di regolamento che impediscano alle donne di partecipare allo stesso campionato degli uomini.
Ciò nonostante, le partecipanti al mondiale si possono (letteralmente) contare sulle dita di una mano e da quarantacinque anni non ne vediamo una al volante sulla griglia di partenza. Ripercorriamo la storia di queste cinque pilote, con ben tre italiane presenti (tra cui probabilmente la migliore di tutte).
La prima volta della De Filippis
Se oggi la tematica sulla parità di genere è (fortunatamente) di dominio pubblico, immaginate quanto doveva essere stato difficile per Maria Teresa De Filippis farsi accettare in un mondo fortemente misogino come quello di fine anni quaranta.
Lei, che già nel 1948 ad appena 22 anni si era già portata a casa la vittoria nella sua prima gara (su una FIAT 500 con un percorso fatto tra Salerno e Cava dei Tirreni). Perchè Maria al volante ci sapeva stare, tanto che dopo ripetuti piazzamenti in varie gare minori, riuscì finalmente a qualificarsi per una gara di Formula 1 nel 1958.
La macchina era una Maserati 250F (simile in tutto e per tutto a quella che soltanto qualche mese prima aveva dato la vittoria finale a Manuel Fangio), il circuito quello di SPA in Belgio. Il confronto era ovviamente impari per tanti motivi (si presentava da privata de resto), ma Maria fece il possibile per ben figurare. Vero è che arrivò ultima al traguardo (in decima posizione sui 19 in partenza), ma di fatto resta una prima gara storica per le donne pilota (per la verità l’esordio ufficiale fu a Monaco sempre nel 1958, ma in quell’occasione non riuscì a qualificarsi per la gara).
Nella stessa stagione prese parte ad altri due gran premi (in Portogallo e in Italia), ma in nessuno dei due riuscì a terminare la gara per colpa di problemi al motore. Ci riprovò anche l’anno successivo, questa volta come pilota nella scuderia della Porsche KG, ma solo nella prima gara di stagione in Polonia dove non riuscì nemmeno a qualificarsi.
Non avrà altre occasioni Maria per mettersi in mostra nel circo della Formula 1, ma di fatto pur senza ottenere alcun risultato, la sua sola presenza è stato qualcosa di fondamentale in quel frangente.
Lella Lombardi e il suo primo (mezzo) punto
Solo quindici anni più tardi un’altra ragazza italiana ha la possibilità di affacciarsi di nuovo nel mondo della Formula 1. Si chiama Maria Grazia Lombardi, ma tutti la conoscono semplicemente come “Lella”.
Lei la gavetta se l’era fatta guidando il furgone del padre macellaio, per poi sfogare la sua voglia di velocità sui Kart prima e nelle formule minore poi. Abbastanza però per mettersi in mostra, vincendo il titolo di campione italiano in Formula 850 e l’anno seguente (siamo nel 1971) quello della Formula Ford.
Nel 1974 il primo tentativo in Formula 1 su una Brabham BT42, senza grande successo visto che in Inghilterra sul circuito di Brands Hatch non riuscì a qualificarsi per la gara. L’anno successivo però, prese definitivamente la guida di una Williams partecipando a quasi tutti i GP della stagione.
Esordio con ritiro in Sud Africa, prima dello storico Gran Premio di Spagna. Una gara pazzesca dove purtroppo successe di tutto, compreso un incidente gravissimo con anche cinque morti tra il pubblico (la macchina di Rolf Stommelen uscita di strada li prese in pieno). Gara sospesa quindi, ma con Lella Lombardi in sesta posizione in quel momento (su otto soltanto rimasti in pista dai 25 in partenza). Questa la cronaca, perché agli annali quel che rimane è quel “Mezzo Punto” (i giudici decisero di dimezzare i punti raccolti) che rimane ancora il miglior risultato di una pilota nel circuito della Formula 1.
Alla fine in totale Lella disputò ben 12 gare (più altre cinque dove invece non si qualificò) di cui 7 passando sotto la bandiera a scacchi. L’ultima nell’agosto del 1976 in Austria, con un 12° posto finale. Purtroppo però, fu anche l’ultimo Gran Premio in assoluto disputato da una donna in Formula 1.
I tentativi (vani) delle altre
Dopo il risultato storico della Lombardi, qualcuno si sarebbe aspettato forse una qualche onda lunga con un movimento in continua crescita. Ma a conti fatti non fu così, anzi. Nello stesso periodo della Lella, anche Divina Mary Galica (inglese) cercò fortuna in Formula 1. Nel Gran Premio di Gran Bretagna del 1976, proprio insieme alla Lombardi gareggiò nelle qualifiche, senza riuscire però a passare alla gara. Fu in effetti il primo e unico tentativo (per ora) con ben due donne a provare la qualificazione.
Toccata e fuga anche per Desiré Wilson, che pur non riuscendo a partecipare in gare ufficiali di Formula 1 (anche per lei Inghilterra amara in qualifica nel 1980), riuscì a crearsi un certo spazio tra i piloti tanto da arrivare settimana alla prestigiosa 24 Ore di Le Mans e vincere altre gare singole (la 6 Ore di Monza e di Silverstone tra le altre).
Ultima, in ordine di apparizione, Giovanna Amati. Siamo nel 1992 quando alla guida di un Brabham BT60B, partecipa alle qualificazioni di tutte e tre le prime gare del mondiale: Sudafrica, Messico e Brasile. In nessuna però riesce a trovare il pass per la gara, finendo per essere messa da parte dalla scuderia che gli preferisce un allora giovanissimo Damon Hill (poi campione del mondo nel 1996).
Per la cronaca, anche il pilota inglese non è che riesca a fare molto meglio, non riuscendo a qualificarsi per i successivi sei Gran Premi e trovando appena un 11° e un 16° posto nelle uniche due gare in cui riesce a partecipare.
La Formula 1 al femminile: presente e futuro
Dopo la Amati, un lungo vuoto che perdura da circa trent’anni. Certo più recentemente ci sono state diverse apparizioni di pilote in orbita Formula 1. Da Sarah Fisher e Katherine Legge, che guidarono rispettivamente una McLaren e una Minardi ma solo in circuiti di prova (a Indianapolis e a Vallelulnga), passando invece per chi stava lavorando come “test driver”.
Maria de Villota stava proprio provando una Lotus GP sul circuito di Duxford, quando uno sfortunatissimo incidente le fece perdere un occhio (incredibile la dinamica con la macchina che a bassa velocità esce di pista sbattendo contro il portellone lasciato aperto di un camion che le distrugge il casco). La ragazza poi morirà per un’emoragia celebrale l’anno seguente, probabilmente per le conseguenza dello stesso incidente.
Ferma ai test anche Susie Wolff, che dopo aver corso dal 2006 al 2012 tra Formula 3 e altri circuiti minori, ha provato alcune monoposto di formula uno tra cui la Williams e la Mercedes. Sempre e solo in prova però.
Ultima in ordine di tempo è Tatiana Calderon, che dopo aver gareggiato a pieno regime in Formula 2 (prima donna a farlo nella storia), per ora è stata utilizzata in Formula uno solo come collaudatrice dall’Alfa Romeo, guidando una monoposto ufficiale Sauber sul circuito Rodriguez in Messico. Le speranze di vederla debuttare in Formula 1 sono però pian piano scemate.
Il gap da colmare
La mancata presenza femminile sulle piste di Formula 1 va ricercata in diversi fattori.
Intanto quello fisico, visto che soprattutto nei circuiti del Mondiale le sollecitazioni sono altissime e la componente muscolare maschile è comunque in vantaggio rispetto a quella femminile. La tecnica, i riflessi e le competenze invece possono essere uguali, tanto che non a caso nei circuiti molto meno tortuosi dei campionati americani, la percentuale di piloti donna (anche di buon successo) è decisamente maggiore.
C’è poi una statistica tipicamente numerica: i piloti maschi sono nettamente in numero maggiore in tutte le categorie, per cui una predominanza risulta naturale conseguenza. I motivi per cui sono pochissime le donne che si avvicinano alle monoposto però, sono probabilmente da ricercare anche da condizioni sociali avverse a questo tipo di percorsi.
Resta però che dal punto di vista squisitamente tecnico, la percentuale di presenza femminile nel mondo della Formula 1 è da tempo in grande crescita: sono tantissime infatti le ingegnere e i tecnici presenti nelle varie scuderie, anche di altissimo livello peraltro.
Il passo per vedere qualche donna di nuovo sulla griglia di partenza non è così vicino, ma se non altro molti degli stereotipi che hanno accompagnato questo tipo di associazione per tanti anni, speriamo siano finalmente passati di moda.