PUBG, ovvero PlayerUnknown’s Battlegrounds, torna a far parlare di sé, e lo fa nuovamente a causa di un ban.
Più o meno quattro mesi fa, l’India aveva inserito il titolo sviluppato da Bluehole in una lista nera di giochi e app ritenute potenzialmente dannose. All’origine di quell’iscrizione c’era sia il contenuto violento del videogame (PUBG ha un PEGI 16+, cioè la percentuale di violenza presente nel gioco è medio-alta), sia un problema con l’azienda sviluppatrice. Tra i vari azionisti di Bluehole, al secondo posto per quote di possedute c’è infatti la corporation cinese Tencent, proprietaria della versione per mobile di PUBG e ritenuta dal governo di Nuova Delhi un soggetto potenzialmente in grado violare la privacy dei propri cittadini. In altre parole, quello mosso all’indirizzo di Tencent è un sospetto neanche troppo velato di spionaggio.
E così alla fine il ban è arrivato. Ma prima dell’India altri Paesi del continente asiatico si erano già mossi nella stessa direzione: Nepal, Iraq, Giordania e Pakistan. In tutte queste nazione il dito è puntato sul contenuto violento del videogioco che avrebbe un impatto negativo sui giovani e sulla società in generale. La Giordania, dove gli eSports sono piuttosto diffusi, ha detto che pUBG ha avuto “effetti negativi” sui giocatori, mentre l’Iraq lo ha definito “dannoso per la società”, affermando che rappresenta una “potenziale minaccia alla sicurezza nazionale”. In Pakistan, invece, la sospensione è stata solo temporanea e l’Alta Corte di Islamabad lo ha revocato pochi giorni dopo la sua entrata in vigore. (fonte esportsmag.it)
In ordine di tempo, l’ultima azione contro PUBG viene dall’Afghanistan. Il Paese mediorientale, martoriato dalla guerra civile tra esercito regolare e talebani iniziata nel 2001 e ancora in corso, ha annunciato il divieto temporaneo nei confronti del “gioco online PUBG” dopo una “valutazione completa”. Una valutazione arrivata attraverso incontri non solo con responsabili delle varie istituzioni ufficiali afghane, ma anche con genitori, psicologi, insegnanti, attivisti civili e giocatori. Secondo l’Afghanistan Telecom Regulatory Authority (ATRA), PlayerUnknown’s Battlegrounds in tutte le sue versioni avrebbe “impatti negativi” su bambini e giovani, con potenziali ricadute “a livello sociale e di sicurezza“. Infine, il governo di Kabul ha aggiunto di voler fornire supporto per lo sviluppo di giochi “conformi alla cultura afgana e ai suoi valori religiosi”.
Insomma, il famoso battle royale del genere survival game sta incontrando paletti in varie parti del mondo. Non va dimenticato che, prima di tutti questi Paesi, lo stesso governo cinese ha censurato la versione standard del gioco, sostituendola con una più ridimensionata sotto il profilo della violenza e anche nel nome, che è cambiato in Game for Peace.
Non sembra però che l’azienda produttrice del gioco sia disposta ad arrendersi di fronte a questa alzata di scudi contro il videogame. PUBG Corp ha deciso infatti di ricollocare diversi suoi server nel subcontinente indiano al fine di consentire il controllo da parte del governo di Nuova Dehli e allontanare le accuse di spionaggio da PUBG Mobile e dalla sua versione lite. D’altra parte in ballo c’è un titolo che fino a poco tempo fa era tra i più gettonati in un Paese che conta più di un miliardo di persone.
Immagine di testa by pubgmobile.com