Da giovedì 18 agosto su Netflix è disponibile Tekken: Bloodline, la nuova serie animata ispirata al famoso “picchiaduro” Tekken. Lo show racconta e approfondisce gli eventi di Tekken 3 e soprattutto quelli che lo precedono e ne innescano le vicende.
Katsuhiro Harada, director di alcuni capitoli della saga a partire proprio da Tekken 3, ha dichiarato che con la serie animata intende fare luce su alcuni punti poco chiari della trama dei videogiochi. Soprattutto riabilitare la figura di Jin, che nel picchiaduro ha sempre avuto storyline oscure e pesanti, dandogli il ruolo di assoluto protagonista.
PUNTI DI FORZA
Senza dubbio ci sono due elementi di Tekken: Bloodline che catturano subito l’attenzione per la fedeltà al prodotto di Bandai Namco. Da un lato c’è l’estetica dei personaggi: se non per qualche piccolo cambiamento, questi riprendono il design e i costumi del videogioco. Stessa cosa si può dire per lo stile dei vari lottatori che vediamo combattere durante i 6 episodi dello show.
Anche la trama è, in generale, fedele a quella del videogame. C’è tuttavia un interessante approfondimento sulle dinamiche familiari dei Mishima e gli eventi legati alla maledizione del loro sangue, che nei primi capitoli del gioco erano solo accennate. Zoppica un po’ giusto nelle battute finali, dove forse riprendere meno fedelmente la conclusione del gioco – anche se qualche cambiamento c’è stato – sarebbe stato più adatto ad un prodotto moderno e con molte più opportunità narrative di un picchiaduro.
DEBOLEZZE
I punti deboli di Tekken: Bloodline sono da attribuire principalmente alla sceneggiatura e in minima parte alla regia. Se infatti qualche cambio di inquadratura un po’ sgraziato o che rende una scena di combattimento meno chiara del previsto sono problemi su cui si può facilmente sorvolare, i difetti di sceneggiatura risultano sicuramente più gravosi ed evidenti.
Anche se può sembrare strano, i combattimenti legati al King of Iron Fist Tournament hanno davvero poco spazio. Senza contare che sono tutti uguali, indipendentemente dai lottatori coinvolti. Tutti si basano nel ribaltare l’iniziale difficoltà in un atto di rivincita personale che porterà alla vittoria. Questo schema, ripetuto più volte in situazioni di breve durata e in modo così evidente, invece di essere accattivante e coinvolgente risulta prevedibile e riduce il coinvolgimento dello spettatore.
Altro punto davvero dolente della sceneggiatura sono i flashback di Jin. I ricordi non solo sono ossessivamente ripetitivi ma mettono anche in scena eventi che lo spettatore ha già visto. Il risultato è così stucchevole che fa venire voglia di mandarli avanti a costo di non rivedere per l’ennesima volta quelle due o tre scene.
CONCLUSIONE
Considerata la scelta di rimanere fedeli al videogame, da Tekken: Bloodline non ci si poteva aspettare una serie TV d’innovazione e incredibile bellezza. Eppure, per noi si tratta di un’occasione sprecata.
Una sceneggiatura più accorta avrebbe offerto un prodotto più accattivante. Per le scene di lotta, si sarebbe potuto attingere dai vecchi film di arti marziali o perfino da uno qualsiasi dei più famosi anime d’azione. Anche i flashback potevano essere gestiti meglio, magari rendendoli dei voice over che raccontano i pensieri del protagonista durante le scene di lotta.
Purtroppo il risultato è un prodotto decisamente mediocre, che regalerà un po’ di effetto nostalgia a chi si è divertito con gli amici davanti a Tekken 3, ma nulla di più.
Si ringrazia Nicola Benetton per la collaborazione
Immagine di testa credits Bandai Namco/Netflix