Il tema della sostenibilità è diventato, almeno nell’ultimo decennio, il paradigma interpretativo non soltanto per analizzare il presente, ma soprattutto per immaginare il futuro. Al centro del dibattito c’è la sostenibilità economica rapportata a quella ecologica, che si traduce nel più generale concetto di sviluppo sostenibile. Massimi sistemi, certo, ma che in forme diverse riguardano la maggior parte delle attività economiche umane, compresa quella del gioco.
Proprio di questo abbiamo parlato qualche giorno fa con il professionista di poker Pier Paolo Fabretti che ci ha spiegato come, negli ultimi 5/6 anni, la sostenibilità sia diventata il problema principale per questo settore. Il concetto è più semplice di quanto si possa immaginare e può essere sintetizzato così: se spingi troppo sull’acceleratore, il carburante si consuma più in fretta.
Neppure gli eSports sono immuni a questa legge. Nonostante la pandemia di COVID-19 abbia acceso la passione per le competizioni di videogame mai come prima, il dato economico non è del tutto favorevole. Per essere più precisi, non lo è per tutti gli operatori. Se da un lato le vendite di videogiochi hanno battuto ogni record, dall’altro la pandemia ha cancellato del tutto gli eventi dal vivo impattando pesantemente su organizzatori e team che dipendono dalle sponsorizzazioni. Si parla di una perdita di fatturato valutata intorno ai 150 milioni di dollari in un anno. L’impatto è stato più pesante in alcune zone del mondo e meno in altre, ma ha colpito soprattutto chi ha iniziato ad investire negli eSports in tempi recenti, da quando la competizione per una fetta di visibilità – cioè di mercato – si è fatta molto serrata.
Il caso più recente e sicuramente più vicino a noi è quello dei Tempra Esports. Nonostante una partenza sprint che ha portato l’organizzazione di proprietà italiana – ma con staff francese – a competere ai massimi livelli in Europa, oggi Tempra Esports è costretta a rinunciare al suo fiore all’occhiello: il team competitivo di Rainbow Six Siege. Parliamo di un roster che ha centrato il terzo posto nella European League, il quarto nel Major Europeo e la finale del torneo di qualificazione per il Six Invitational, poi persa contro il team italiano dei Mkers, e che ora non è più economicamente sostenibile.
A spiegare la situazione sono proprio Massimiliano Rossi e Francesco Caforio, soci fondatori – insieme ad altri – della società italo-francese: “Tempra è nata con un obiettivo ben preciso: diventare il catalizzatore per il talento e le ambizioni dei player italiani, promuovendo l’esport italiano e i suoi valori nel mondo tramite la partecipazione a tornei internazionali di massimo livello. Ciò, purtroppo, non è stato possibile a causa della pandemia che stiamo ancora oggi vivendo e di quello che ha comportato, e questa situazione di incertezza e difficoltà logistiche ci ha portati alla scelta sofferta di rinunciare al posto nella prossima European League e nella lega nazionale francese di Rainbow 6 Siege”. In mezzo a tanta delusione, un briciolo di speranza però rimane: “Rimane il rammarico per aver dovuto compiere questo passo perché costretti… da cause di forza maggiore ma vogliamo essere ottimisti e credere che questa rinuncia ci permetterà di dedicare ulteriori attenzioni ai progetti futuri e pensare che tutto quello che abbiamo affrontato negli ultimi mesi abbia contribuito ad arricchire il bagaglio di conoscenze di quanti hanno vissuto questa esperienza, strumenti utili per affrontare le sfide che vivremo”. (fonte esportsmag.it)
Dietro a queste parole, che senza dubbio puntano il dito sulla pandemia, c’è la consapevolezza che investire su un team di eSports costa soldi, molti, e non sempre i ritorni sono garantiti.
Per le grandi organizzazioni (Cloud9, Fnatic, Team Liquid e via dicendo) c’è il vantaggio di essere partiti per primi e di aver così beneficiato della visibilità offerta dai primi, grandi eventi dal vivo. Oggi quegli stessi team “giocano” in una lega a sé stante, possono pagare franchigie costosissime che attirano sponsor milionari, possono permettersi giocatori che costano un occhio della testa ma i cui cartellini spesso ne valgono due, possono essere quotati in borsa o raccogliere senza troppa difficoltà fondi attraverso il crowdfunding. Per tutti gli altri c’è una strada molto più in salita e che, per diventare sostenibile, deve necessariamente passare attraverso canali di monetizzazione diversi.
A dirlo non siamo noi, ma chi dedica buona parte della proprie giornate alla gestione di una società esportiva.
Il riferimento è alla 26enne LaPointe Jameson, CEO dell’organizzazione eSport Evil Geniuses. Gli Evil Geniuses sono tra le più “antiche” società che gestiscono team di eSports. Fondata nel 1999 a Washington, l’organizzazione ha messo in campo giocatori/team competitivi a livello internazionale su titoli quali Call of Duty, Counter-Strike: Global Offensive, Dota 2, Fortnite Battle Royale, Halo, League of Legends, StarCraft II, Rocket League, Tom Clancy’s Rainbow Six Siege e World of Warcraft. Il team EG di DOTA 2 si è aggiudicato The International 2015, quello che ha messo in palio 18,4 milioni di dollari (record assoluto per quel periodo). Nel 2019 la società è stata acquisita da PEAK6 Investments LLC, una società d’investimento di Chicago, ma tra gli stakeholder di eSport Evil Geniuses c’è anche Twitch.
Nonostante questa loro anzianità di settore, e quindi l’appartenenza a quell’elite di team al quale abbiamo accennato, la giovane CEO di EV sta cambiando radicalmente il business societario. Lo ha detto qualche giorno fa in una video conferenza riportata poi dal sito esportsmag.it, i cui punti fondamentali sono questi.
“I videogiochi competitivi ruotano intorno a due modelli di business diversi che a volte si intersecano e a volte no. Uno di questi è lo sport tradizionale… Ma essendo gli eSports una piattaforma digitale c’è anche l’universo dell’intrattenimento, quello dei creatori di contenuti, gli influencer digitali e tutti quei modelli di generazione di flussi di entrate che ruotano intorno a loro. Noi siamo un misto del vecchio e del nuovo. Quando sono entrata in EG, eravamo solo i primi. Eravamo solo il modello legato agli sport tradizionali, il che è fantastico. Quella è la filosofia che ci guida e noi siamo qui per essere competitivi, ma non è stato redditizio… Per questo ci siamo concentrati sull’introduzione di flussi di entrate periferici nel nostro business e il modo in cui tutto questo si concretizza è, ovviamente, l’aspetto dell’intrattenimento targato Evil Geniuses“.
Secondo LaPointe Jameson, la chiave sono piattaforme di gioco dedicate ai diversi tipi di pubblico (scuole/università), aree educational e creazione di contenuti in grado di attirare “sponsorizzazioni efficaci”. E’ solo con questi rami d’azienda che “…è possibile tenere in vita il lato competitivo degli eSport. Il nostro team è il gioiello della corona. Non avremmo una proposta di valore senza il lato atletico… ma oggi, sarei un cattivo leader per i miei investitori se dicessi: sì, andiamo solo con le competizioni dure e pure, funzionerà. Perché non sarà così, sfortunatamente”.
L’analisi del CEO è chiara: gli eSports sono prima di tutto uno svago e quindi, per la maggior parte delle società più giovani, è indispensabile guardare a come si guadagna fornendo intrattenimento, soprattutto in tempi di limitazione alle attività sociali come quelli che stiamo vivendo. Nonostante il perdurare della pandemia, la conclusione è qundi ottimistica: “C’è anche un lato positivo: a differenza degli sport tradizionali, la bellezza degli eSport – l’ho constato durante il Covid – è che siamo inarrestabili. I campionati sportivi professionisti si sono fermati, noi no. Essendo digitali, abbiamo un prodotto flessibile e modulare, siamo più flessibili nel coinvolgere fan e consumatori e poi monetizzare… Siamo un’industria in formazione ma andiamo avanti tutta”.