È il 1997 quando nelle sale giochi, che ancora resistevano alla concorrenza delle home console e ad un’industria videoludica in forte mutamento, spopola il genere dei “picchiaduro“.
I capisaldi del genere sono Street Fighter, Mortal Kombat, Killer Instinct e Tekken. Fra questi giganti, però, si ricava un posticino Beastorizer che oggi i più ricorderanno come Bloody Roar.
COS’E’ BLOODY ROAR?
Bloody Roar, sviluppato da Hudson Soft (già noti per Super Bomberman) e pubblicato da SCEA in America e Virgin Interactive in Europa, altro non è che il porting di Beastorizer da cabinato arcade alla prima PlayStation.
Avendo la fortuna di essere pubblicato su console (in Giappone e Nord America) prima di Tekken 3 – titolo che ha sconvolto e rivoluzionato il mondo dei picchiaduro – Bloody Roar si è conquistato un posticino nel cuore degli appassionati per una semplice ma innovativa caratteristica: la capacità dei combattenti di trasformarsi in esseri zoo-antropomorfi!
In Bloody Roar la trama è praticamente assente. Una brevissima sinossi nel manuale di istruzioni spiega ai videogiocatori che alle porte del nuovo millennio, in un periodo oscuro dominato dalla paura, otto guerrieri si sarebbero apprestati a salvare il mondo. Il background dei singoli personaggi verrà poi approfondito sui siti ufficiali, come risposta alle critiche ricevute dal parte dei giocatori.
Per quanto riguarda il gameplay, Bloody Roar è semplice solo in apparenza. Il gioco utilizza infatti due soli tasti per gli attacchi e uno per la trasformazione, quest’ultima possibile solo una volta riempita l’apposita barra. La semplicità nasconde tuttavia un profondo sistema di combo e soprattutto di concatenazione degli attacchi. Senza dimenticare che che il moveset dei personaggi cambia completamente durante la trasformazione.
Nonostante le rimostranze per la trama molto tenue e il design dei personaggi che, in forma umana, risulta davvero poco ispirato, Bloody Roar ha ricevuto valutazioni positive dalla critica. Le lodi riguardano non solo la peculiare meccanica della trasformazione ma anche l’eccellente qualità del porting che, anche su console, non perde framerate risultando decisamente fluido e responsivo.
SEQUEL
Il successo del primo capitolo ha poi spinto i produttori a realizzare un sequel. L’anno successivo il publisher ha rilasciato in Giappone e in Europa il videogioco arcade Bloody Roar 2: Bringer of the New Age, ribattezzato Bloody Roar 2: The New Breed negli Stati Uniti. Nel 1999 il publisher ha portato questi titoli su PlayStation.
L’operazione sequel, però, si è rivelata un “more of the same” realizzato solo per calcare il più velocemente possibile il successo del primo capitolo e accolto negativamente dalla critica.
In seguito sono usciti Bloody Roar 3 (nel 2000 in arcade e nel 2001 su PlayStation 2), Bloody Roar: Primal Fury nel 2002 (su Nintendo GameCube con porting su Xbox l’anno successivo cambiando il titolo in Bloody Roar: Extreme) e infine Bloody Roar 4 pubblicato nel 2003 su PlayStation 3.
La qualità quantomeno altalenante di questi sequel, tra l’altro intrappolati nella meccanica della trasformazione che aveva reso il primo capitolo un successo, hanno portato Bloody Roar a spegnersi non proprio con un ruggito.
FUORI DAL MEDIUM VIDEOLUDICO
Oltre ai due deliranti spot di Bloody Roar e Bloody Roar 2 per il mercato americano, il videogioco ha anche avuto una trasposizione in manga con il titolo Bloody Roar: The Fang. Il fumetto è stato pubblicato prima sulla rivista Shōnen Jump in 13 capitoli e 2 volumi nel 2001 e ha poi avuto una riedizione nel 2008. L’autore dei testi è Maruyama Tomowo.
L’adattamento recupera solo alcuni dei temi presenti nei videogiochi. I protagonisti sono Fang, un solitario capace di trasformarsi in lupo, e Mashiro, giovane ragazza capace di mutare in coniglio. I due sono impegnati a fronteggiare altri zootropi fuori controllo per renderli mansueti e impedire che una creatura malvagia si liberi dai talismani che la imprigionano.
Immagine di testa credits suaramerdeka.com