Nella miriade di colori che caratterizzano le divise del gruppo dei partecipanti alle grandi corse a tappe del ciclismo, ci sono però alcuni punti fermi che riescono a identificare un preciso atleta anche nel caleidoscopio visivo di quel mare su due ruote. Non a caso il Giro d’Italia è da sempre conosciuto come la gara della maglia Rosa, così come il Tour de France per la maglia Gialla del vincitore e la Vuelta con la classica maglia Rossa del primo della classe.
Ma non è tutto, ci sono infatti altre maglie caratteristiche di un particolare prestigio in qualche graduatoria delle competizioni, associate a uno specifico colore che ne esalta il valore sportivo. Proviamo a vedere quali sono in particolare, nel nostro Giro d’Italia.
La maglia Rosa
Simbolo per antonomasia del nostro Giro d’Italia, la maglia Rosa non è però stata sempre associata al vincitore della competizione. Soltanto a partite dal 1931 infatti, si decise di seguire la linea francese (che già dal 1919 aveva ideato la maglia Gialla come simbolo del leader della classifica) dando al “rosa” il simbolico valore di primo della classe del Giro.
Come per il Tour (dove il giallo derivava dal colore delle pagine del giornale “L’Auto”, organizzatore della manifestazione transalpina), anche in Italia la scelta ricadde sul colore delle pagine di quello che era per antonomasia il giornale dello sport, La Gazzetta dello Sport appunto. Fu proprio il suo direttore Armando Cougnet a proporre l’introduzione di quella che sarebbe, da allora in avanti, diventata l’effige più importante del ciclismo nostrano.
Il primo in assoluto a indossarla fu Learco Guerra, in quella prima tappa del Giro del 1931 sul podio di Mantova (vinto poi da Camusso), ma nella storia del ciclismo nessuno l’ha indossata più volte di Eddy “il Cannibale” Merckx, che se l’è messa addosso ben 78 volte in carriera.
La maglia azzurra
Tra le maglie più recenti introdotte al Giro, spicca per importanza quella di colore Azzurro, che caratterizza il leader della classifica per i Gran Premi della Montagna. Questa identificazione viene inserita soltanto nel 1974, pur questa particolare graduatoria era nata invece già dal 1933 e ha visto ovviamente molti dei più grandi ciclisti di tutti i tempi cucirsela addosso, come per esempio uno dei più grandi scalatori della storia, Gino Bartali, che la vinse per ben 7 edizioni diverse.
Se qualcuno si ricorda di aver visto i migliori scalatori indossare una maglia verde, non state impazzendo. Fino al 2012 infatti il colore di riferimento per questa tipologia era proprio il verde, poi trasformato in un azzurro intenso in onore del colore del cielo che si può scorgere dalle vette delle montagne scalate. Meno romanticamente, il motivo principale fu lo sponsor, Mediolanum, che aveva proprio l’azzurro come colore di riferimento.
La maglia Bianca
Il bianco è per definizione il colore che racchiude tutti i colori, ed è per questo che è stato scelto come riferimento per il vincitore della classifica dedicata ai Giovani partecipanti del Giro d’Italia (ovvero i ciclisti con meno di 25 anni di età), come speranza per il futuro.
Creata nel 1979 in condivisione anche con l’altra grande competizione a tappe del Tour de France, il primo a portarsela a casa fu Alfio Vandi. Per tutto il periodo dal 1995 al 2006, la maglia invece non venne assegnata, mentre dalla sua ripresa, soltanto due italiani sono riusciti a indossarla a fine del Giro: Riccardo Riccò e Fabio Aru.
Una curiosità, negli ultimi dieci anni per ben sei volte a vincerla è stato un ciclista colombiano, mentre in tutti gli ultimi due anni chi ha vinto la maglia Bianca ha anche vinto la maglia Rosa della classifica generale (cosa che invece in precedenza era accaduta soltanto altre due volte, con Berzin nel 1994 e con Quintana nel 2014).
La maglia Ciclamino
Altro riferimento importante per il Giro d’Italia, è il color “Ciclamino”. Ovvero la maglia dedicata ai grandi velocisti, quelli che forse non vedremo spesso davanti alla fine della competizione ma che sono pronti a sfruttare ogni sprint per aggiudicarsi la tappa e i punti in palio (e relativa classifica).
Ci sono in verità state anche delle eccezioni, come nei casi per esempio di Mercks (nel 68 e nel 73), di Saronni (nel 79 e nel 83) o quelli di Bugno nel 1990 o l’ultimo di Scarponi nel 2011, dove alla fine della competizione la maglia ciclamino e quella rosa della classifica generale combaciavano. Ma non è impresa facile (non a caso riuscita solo a nove corridori in tutta la storia del Giro d’Italia).
La maglia fu introdotta ufficialmente a partire dal 1966 (anche se per la verità c’è stato anche un primo esperimento nel ’58), con Gianni Motta come primo vincitore, e nel corso del tempo ha spesso cambiato colore. Se il ciclamino vuole richiamare il classico fiore d’autunno, simbolo di perseveranza (quella che occorre ai grandi spinter per farsi sempre trovare pronti), anche in questo caso sono stati spesso gli sponsor a imporre variazioni sul tema.
Fino al 1970 la maglia per chi è al comando della classifica a punti è stata Rossa (con la Dreher come sponsor), poi a passata al Ciclamino fino al 2010 (quando lo sponsor è diventato Termozeta), salvo poi tornare al Rosso fino al 2017 e infine di nuovo al Ciclamino grazie al nuovo sponsor della Zanetti.
La maglia Nera (che non c’è più)
A onor del vero tra i colori delle maglie che hanno fatto parte della storia del Giro d’Italia, dovremmo menzionare anche quella “Nera”.
Se da una parte la sua reale presenza è limitata a solo un paio di edizioni (dal 1946 al 1951), il suo valore simbolico è stato talmente incisivo da entrare in qualche modo nel parlare comune.
Con la “Maglia Nera” infatti, si evidenziava quello che era l’ultimo corridore della classifica, non tanto per deriderlo quanto invece proprio per spronarlo e identificare in lui tutti i valori e la fatica proprio di ogni partecipante, dal primo all’ultimo parimenti.
Paradossalmente, proprio questa incredibile visibilità costrinse poi a togliere la maglia dal conto, visto che erano in molti ad “ambire” a quell’ultima posizione (tanto da realizzare ritardi imbarazzanti per un briciolo di visibilità in più). Quello che rimane però, è proprio questa catalogazione nell’immaginario popolare.