Vent’anni fa ci lasciava uno dei più grandi interpreti del ciclismo. Alcuni suoi record ancora oggi sono imbattuti. In sella alla sua bici salvò la vita a numerosi ebrei
Il 5 maggio non è un giorno come gli altri per chi ha il ciclismo che corre nel sangue. Vent’anni fa, il mondo dello sport italiano e di quello della bicicletta in particolare, pianse la scomparsa di uno dei più grandi interpreti del Secondo Millennio: Gino Bartali, carattere forte come la tenacia grazie alla quale riuscì in epiche imprese tutt’oggi indimenticabili. Il suo infinito duello con Fausto Coppi divise ed appassionò l’Italia che grazie ai due prodi eroi, dominò per lunghi anni la scena mondiale. Gino Bartali è nato il 18 luglio 1914, a Ponte a Ema, in provincia di Firenze. Era il terzo di quattro figli, e suo padre, Torello Bartali, era un piccolo proprietario terriero.
A 13 anni iniziò a lavorare in un negozio di biciclette e, nei primi anni trenta esordì con la società “Aquila divertente” tra i dilettanti. Nel 1935, si sentì pronto, dopo alcune vittorie nelle categorie dilettantistiche, al passaggio al professionismo, e si iscrisse alla Milano-Sanremo come indipendente. Incredibilmente si trovò in testa dopo aver staccato i suoi avversari, ma a causa di fattori esterni, venne ripreso e arrivò quarto in volata. Venne ingaggiato dalla società Fréjus, con la quale corse il suo primo Giro d’Italia, finendo settimo con una vittoria di tappa. Nel 1936 passò alla Legnano, capitanata da Learco Guerra, che, capendo il talento del nuovo arrivo, si mise al suo servizio come gregario permettendogli di vincere il Giro in modo trionfale con tre vittorie di tappa. Poco dopo Bartali pensò seriamente di abbandonare la carriera in seguito alla morte del fratello minore Giulio, avvenuta a causa di un incidente in una gara di dilettanti. L’anno successivo, il numero uno del ciclismo italiano, vinse il secondo Giro e diventò capitano della Nazionale per tentare la conquista del Tour de France. Un’avventura che finì prematuramente a causa di una bronchite. Nel 1938 fu spinto dal regime fascista a saltare il Giro d’Italia per preparare il Tour de France, nel quale trionfò aggiudicandosi anche due vittorie di tappa e alla cui premiazione rifiutò di rispondere con il saluto romano. Agli inizi del 1940 nella squadra della Legnano era arrivato un promettente ragazzo alessandrino di nome Fausto Coppi, voluto da Bartali stesso come gregario. Durante la seconda tappa, Gino cadde e si fece male e Pavesi, direttore del team, decise allora di puntare sul giovane Coppi. Bartali si mise al suo servizio e il “Campionissimo” alla fine vinse il Giro grazie soprattutto al continuo appoggio del suo “gregario”. La corsa, già disertata dagli stranieri, si chiuse il giorno prima dell’entrata in guerra dell’Italia, che sancì per cinque anni l’interruzione della carriera per i due campioni.
Fondamentale fu l’aiuto di Bartali a favore degli ebrei durante la guerra. Nascosti nella sua bicicletta aveva spesso documenti falsi che recapitava agli stessi ebrei ad avere una nuova identità ed evitare il peggio. Alla ripresa delle competizioni nel 1946 “Ginettaccio” vinse il Giro d’Italia, mentre Coppi, passato alla Bianchi, terminò alle sue spalle a soli 47 secondi. Il 1948 vide Bartali in difficoltà per vari motivi nella parte iniziale della stagione. Arrivando solo ottavo al Giro d’Italia. Bartali fu comunque nominato capitano della nazionale per il Tour de France, in quanto Coppi (ritiratosi dal Giro per proteste) non si sentiva pronto a riprendere. Malgrado la non eccelsa squadra, l’astio dei francesi nei confronti degli italiani, e l’età (a 34 anni era uno dei più anziani corridori presenti), Bartali entrò nel mito del Tour, vincendo in modo trionfale. Secondo molti, l’impresa che compì, aiutò a distogliere l’attenzione dall’attentato di cui era stato vittima Palmiro Togliatti, avvenimento che aveva provocato una grande tensione politica e sociale in Italia. Vincendo stabilì due record tuttora ineguagliati: la distanza maggiore in anni fra il primo e ultimo Tour vinto, 10 anni, e il distacco maggiore fra il primo e secondo classificato. Negli anni successivi partecipò alle gare più importanti e aiutò Coppi a vincere. Vinse a trentotto anni il suo ultimo grande titolo, il campionato italiano. Nel 1953, dopo aver vinto a trentanove anni il Giro della Toscana, ebbe un incidente stradale che rischiò di fargli perdere la gamba destra. Dopo pochi mesi però rientrò in scena alla Milano-Sanremo. Anche se non colse un grande risultato, la folla fu tutta per lui. A Città di Castello, dove passò diversi mesi da sfollato protetto dalla popolazione, volle concludere la sua attività da professionista, correndo in un circuito creato apposta per l’occasione, nel 1954. Morì per un attacco di cuore il 5 maggio 2000, all’età di 85 anni, nella sua casa di piazza cardinale Elia Dalla Costa a Firenze. Nel maggio 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha consegnato alla moglie di Bartali, Adriana, la medaglia d’oro al valor civile (postuma) ed il 23 settembre 2013 è stato dichiarato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’olocausto.