Lo chiamavano “Lo Sceriffo”, Francesco Moser, perché in corsa aveva un bisogno quasi fisico di prevalere, di essere sempre davanti, che fosse una classica o una gara a tappe.
Un soprannome forse ingeneroso e troppo duro verso uno dei migliori corridori nella storia del ciclismo di casa nostra, polivalente e modernissimo, perché oggi uno come lui sarebbe una minaccia in qualsiasi tipo di competizione.
Con la chicca, per Francesco Moser, di aver riscritto le regole del gioco per quanto riguarda il Record dell’Ora, la storica sfida tra l’uomo/ciclista e il tempo, o la natura.
Francesco Moser, l’uomo delle classiche
Nato e cresciuto in una famiglia dove il ciclismo si è sempre respirato come se fosse l’ossigeno per vivere, con altri tre fratelli passati professionisti (e un nipote pure che gareggerà, Moreno), Francesco Moser più ancora che al Giro o al Tour è stato formidabile nelle corse di un giorno.
Fisico robusto e performante, solido come la pietra, il nativo di Palù di Giovo, luogo mitico per il ciclismo visto che lì è venuto al mondo anche Gilberto Simoni, altro grandissimo del pedale, fin da giovane negli anni Settanta dimostra le sue qualità.
Il periodo è quello dell’ultimo Merckx, di un Gimondi pure in fase calante e della progressiva crescita di Bernard Hinault, il francese che cannibalizzerà a modo suo Giro d’Italia e Tour de France.
Eccellente a cronometro, attaccante nato ma non scriteriato, Francesco Moser a nemmeno 23 anni nel 1974 è già secondo alla Parigi-Roubaix vinta da De Vlaeminck.
Ha anche rotto il ghiaccio al Giro d’Italia vincendo una tappa nel 1973 dimostrando che il motore c’è, è ben presente.
Nel 1975 il primo Giro di Lombardia, nel 1978 la prima di tre Parigi-Roubaix consecutive, impresa riuscita in precedenza solo a Octave Lapize tra il 1909 e il 1911.
La rivalità con Saronni
La grandezza di un corridore si misura anche da quella dei suoi rivali: e se nello sport italiano tra Coppi è Bartali è stata una storia assoluta, quasi a livello di costume e società, una sua riproposizione tutto sommato solamente ciclistica gli appassionati l’hanno vissuta con gli scontri Francesco Moser-Beppe Saronni.
Non potevano andare d’accordo il trentino e il novarese, il “vecchio” per l’epoca Moser e il più giovane e rampante Saronni, corridori in realtà molto simili e che quindi finivano per beccarsi di continuo.
Ancora adesso tra i due non c’è amicizia, rispetto senza dubbio, ma niente di più. Troppo diversi, e forse è anche giusto non nascondersi dietro un dito.
Anni Settanta e soprattutto Ottanta, Saronni più giovane di sei anni, non pochi nel ciclismo, e un Francesco Moser punto sul vivo da questo corridore completo e spavaldo, poco incline ad accettare le direttive dello Sceriffo di Palù di Giovo.
Una rivalità nata sostanzialmente nel 1979 quando Saronni vinse il suo primo Giro d’Italia proprio davanti a Moser, diventando all’epoca il più giovane trionfatore nella Corsa Rosa.
Alla fine saranno due Giri a uno per Saronni su Francesco Moser, vincitore nel 1984 all’ultima tappa, la cronometro di Verona, su Laurent Fignon. Il francese accusò gli elicotteri di aver volato troppo vicino al trentino dandogli una specie di spinta.
Il record dell’ora di Francesco Moser
Campione del mondo nel 1977, Lo Sceriffo avrà nel 1984 il suo anno migliore, quantomeno come risultati e come impatto mediatico: il Giro d’Italia in cassaforte, la Milano-Sanremo ma soprattutto il Record dell’Ora.
Velodromo Olimpico di Città del Messico, mesi e mesi di preparazione, l’alimentazione curata nei dettagli, idem il lavoro sulla bicicletta (le famose ruote lenticolari), su come rendere aerodinamico il mezzo.
Si stava entrando nel futuro del ciclismo, con nulla lasciato al caso, e Francesco Moser era in prima linea.
Il 19 gennaio del 1984 semplicemente pedalò per un’ora a tutta con una bici tre chili più pesante del normale, per 50,808 chilometri, più del precedente record di Eddy Merckx: era il nuovo Record dell’Ora.
Finita? Macché. Quattro giorni dopo nuovo tentativo, per migliorare se stesso. Risultato? 51,151 chilometri, primato ritoccato. E quel numero è diventato uno dei vini prodotti dalle vigne dello Sceriffo, lassù sulle montagne trentine.
Anche per questo Francesco Moser è entrato nella storia del ciclismo, per aver spostato il limite più in là. Molti corridori sono stati influenzati dalla sua maniacalità e dal suo perfezionismo, con la nuova era che si stava aprendo.