Le imprese che maggiormente restano impresse nella memoria degli appassionati di ciclismo sono le grandi salite affrontate nelle tappe di montagna.
Nei grandi giri il momento in cui i grandi scalatori si alzano sui pedali e affrontano le pendenze montane è quello in cui i tifosi si fanno trasportare maggiormente dalla passione, in cui la faccia trasfigurata dalla fatica del corridore che stacca gli altri diventa un’icona che in molti casi si scolpisce nella storia di questo sport.
Di seguito vediamo quali sono i grimpeur che hanno scritto le pagine più memorabili di questa disciplina, focalizzandoci esclusivamente sugli specialisti della scalata.
10 – Imerio Massignan
Il Giro d’Italia del 1960 vede per la prima volta i corridori affrontare il Passo Gavia. In quella che diventerà una delle tre grandi scalate classiche del Giro, insieme allo Stelvio e al Mortirolo, sorse la stella di un ciclista vicentino, dal nome ricercato e soprannominato “gamba storta” a causa di una gamba più lunga dell’altra: Imerio Massignan.
La scalata al Gavia si rivelò un’impresa impervia: un sentiero per capre appena sgomberato dalla neve fresca si trasformò in un’infida trappola per i ciclisti, rallentati dal fango e dalla fatica.
Alla sua seconda partecipazione al Giro d’Italia questo ventitreenne staccò tutto il gruppo, passando la vetta in solitaria e involandosi verso una maglia rosa che solo la sorte meschina poté togliergli: scendendo verso Bormio, sulla strada sterrata, è vittima di una foratura, ma non una, non due, non tre bensì quattro volte.
L’ammiraglia non poté aiutarlo, dato che è rimase impantanata nel fango, e Imerio vide sfilargli davanti Charly Gaul. Arrivò secondo, con il tubolare a terra, gli occhi ricolmi di lacrime e quel soprannome, “Angelo del Gavia“, che l’avrebbe accompagnato per il resto della carriera, in cui si distinse come uno dei migliori scalatori in circolazione.
9 – Luis Herrera
El Jardinerito, come era soprannominato questo ciclista figlio di due giardinieri colombiani, divenne uno scalatore per necessità: l’unico mezzo disponibile per andare a scuola, in quel di Fusagasuga, cittadina di quel dipartimento nel cuore delle Ande chiamato Cundinamarca, “Nido del Condor”, era proprio la bicicletta.
Nel 1987 Luis “Lucho” Herrera vince la Vuelta di Spagna con una serie di attacchi inattesi e apparentemente fuori da ogni strategia, mettendo nei pedali non solo i muscoli e la resistenza, ma anche quella vena folle, istintiva e irrazionale tipica del Sudamerica. Tanto esplosivo sulla bicicletta, quanto timido e riservato come persona.
8 – Vicente Trueba
Vicente Trueba, detto la “Pulce dei Pirenei” per il suo fisico minuto, si può forse definire il primo scalatore della storia del ciclismo. Questo perché è stato il primo corridore a vincere la classifica degli scalatori, istituita nel Tour de France del 1933.
In quel ciclismo di altri tempi la Pulce era una figura quasi mitologica: gareggiava in qualità di cicloturista, quindi pagandosi vitto e alloggio e non avendo diritto ad assistenza tecnica e rifornimenti. Mai vincitore di una tappa, si esaltava nelle tappe di montagna, agganciava ad ogni salita il gruppo di testa, ma crollava miseramente ad ogni discesa.
7 – Lucien van Impe
Belga, nato a Erpe-Mere nelle Fiandre ma con sole due partecipazioni in carriera al Giro delle Fiandre, Lucien van Impe ha preferito concentrare la sua carriera nei grandi giri, come il Tour de France a cui partecipò 15 volte, vincendolo nel 1976.
Il suo habitat naturale erano le grandi salite dei Pirenei: raggiunge il record di sei maglie a pois fissato dal suo mentore Federico Bahamontes, record che sarà battuto in seguito solo da Richard Virenque.
6 – José Manuel Fuente
José Manuel Fuente Lavendera, detto El Tarangu, fu l’uomo che riuscì a mettere paura al Cannibale Eddy Merckx. Nel Giro d’Italia del 1972 questo spagnolo di Oviedo ingaggiò un duello epico con il fuoriclasse belga, contendendogli la maglia rosa fino all’ultimo.
Alla fine sarà come sempre Merckx a vincere, bruciando El Tarangu proprio negli ultimi secondi della tappa del Sestriere: crollato nell’ultimo chilometro, Fuente si deve accontentare della seconda piazza, suo miglior risultato in un grande giro. Ma può comunque vantare quattro successi consecutivi nella classifica scalatori del Giro d’Italia.
Con un pizzico di strategia in più, probabilmente, il suo palmares sarebbe stato più ricco.
5 – Gino Bartali
Icona del ciclismo italiano, Gino Bartali incarna tante di quelle storie legate alla memoria collettiva di questo sport che è impossibile riassumere in poche parole.
Dalla rivalità con Fausto Coppi (che sarebbe riduttivo inserire in questa classifica riservata agli scalatori, ma potrebbe tranquillamente farne parte), che lui stesso volle nella sua squadra inizialmente, fino alle corse effettuate in bicicletta durante la guerra non per sport, ma per contrabbandare documenti per mettere in salvo famiglie ebree dall’oppressione nazi-fascista, fino al ritorno all’attività nel dopoguerra e la vittoria del suo secondo Tour de France, a dieci anni di distanza dal primo (record ancora oggi ineguagliato).
Vinse la sua prima classifica scalatori del Giro d’Italia a vent’anni, nel 1935, e l’ultima, la settima, dodici anni dopo, nel 1947: ovvero sempre, a parte gli anni in cui non si è corso a causa della guerra.
4 – Alberto Contador
La carriera di Alberto Contador Velasco ha rischiato di concludersi tragicamente praticamente agli esordi: nel 2004, dopo poco più di un anno dal suo passaggio al professionismo, rischia di morire per un aneurisma cerebrale durante la Vuelta a Asturias.
Scampato il pericolo, ritorna a gareggiare dopo un anno e inizia a macinare successi, grazie alla sua straordinaria capacità di dominare le salite come non si vedeva fare a nessuno da Pantani in poi.
Capace di attacchi spregiudicati e inaspettati, in salita recupera secondi su secondi a chiunque. Unico corridore, insieme a Bernard Hinault, capace di vincere per due volte Tour, Giro e Vuelta, El Pistolero, come è stato soprannominato in patria, è stato protagonista delle scalate più memorabili del ciclismo negli ultimi anni.
3 – Federico Bahamontes
Il destino di Federico Bahamontes, il cui vero nome è Alejandro Martin Bahamontes, era scritto nel cognome ereditato dal padre cubano: Bahamontes, ovvero “scavalcamontagne”.
Questo ragazzino cresciuto consegnando frutta per le case di Santo Domingo-Caudilla sarebbe diventato noto come l’Aquila di Toledo, vincendo subito la maglia a pois riservata al miglior scalatore al Tour de France del 1958, suo primo anno da professionista.
L’anno successivo, ingaggiato nientemeno che da Fausto Coppi per la sua scuderia, diventa il primo spagnolo a vincere il Tour, grazie ad un’impressionante fuga sui Pirenei e alla vittoria sul Puy-de-Dôme. In carriera ha conquistato anche la maglia a pois del Tour ben sei volte.
2 – Marco Pantani
Il Pirata è stato il simbolo del ciclismo italiano a cavallo del nuovo millennio, con la sua storia fatta di trionfi e disgrazie, fino alla sua morte che ancora oggi fa discutere, caduto preda della depressione a soli 34 anni.
Ma per gli amanti del ciclismo la sua immagine sarà sempre legata a quei trionfi immortali come la doppietta Giro d’Italia e Tour De France centrata nel 1998.
Scalatore eccezionale, capace di affrontare qualsiasi salita alzandosi sui pedali e staccando qualsiasi avversario, Pantani ha costruito i suoi trionfi grazie ai vantaggi accumulati proprio sulle tappe montane, che dominava l’una dopo l’altra.
Il suo segreto? Gli allenamenti continui sempre sulla stessa salita, quella del Monte Carpegna, al confine tra Emilia Romagna, Marche e Toscana.
1 – Charly Gaul
Charly Gaul ha legato il suo nome alle tappe di montagna a metà degli anni ‘50 tanto da guadagnarsi il soprannome di ”Angelo della Montagna”.
Epica la sua vittoria all’arrivo sul Monte Bondone al Giro d’Italia del 1956, quando al termine della giornata, durante la quale vento, neve e gelo l’avevano fatto da padroni, dovettero immergerlo in una vasca d’acqua calda visto lo stato di semi assideramento in cui versava.
Vinse quell’edizione del Giro, così come quella del 1958 e il Tour de France 1958, ma perse il Giro del 1960, quello della beffa a Massignan sul Gavia. Prima di affrontare Monte Bondone, tutti gli uomini di classifica viaggiavano appaiati, per non correre rischi. Bobet, Geminiani, Nencini e Baldini, si fermarono tutti insieme per una sosta fisiologica, ma Gaul, con la maglia rosa sulle spalle, volse uno sguardo sprezzante al gruppo e ne approfittò per prendersi un vantaggio.
Vantaggio che però sfumò quando fu Gaul a fermarsi a sua volta per espletare i propri fisiologici e gli altri quattro, guidati da un Bobet che mostrò il dito medio al lussemburghese, partirono all’attacco. Gaul dovette rincorrere e arrivò sul Bondone stanco per l’inseguimento, accumulando dieci minuti di distacco e cedendo la maglia rosa a Nencini, che vincerà il giro.