Una dimostrazione del tempo che passa inesorabile sotto i nostri occhi, è la velocità con cui la storia dello sport si sia evoluta in un modo talmente rapido che certi episodi di un passato remoto, sembrano capitati poco tempo fa.
L’enunciato che avete appena letto trova riscontro in tutta una serie di aneddoti che sono rimasti negli occhi di tutti soprattutto se parliamo di calcio e, nel dettaglio, di quello africano.
Strategia e fisicità
Se vogliamo trovare un momento storico del calcio mondiale in cui l’Africa ha bussato con veemenza alle porte dei Signori del Football, probabilmente il Mondiale disputatosi in Spagna nel 1982, è quello che fa da spartiacque tra le due ere sportive del Continente Nero.
Prima di quella edizione era netta la distinzione tra un calcio che calcava da anni terreni in cui la strategia aveva il suo ruolo e uno prettamente fisico, che non badava a spese, che se c’era da tirare si tirava, che se c’era da correre si correva e basta.
Tale distinzione non faceva capo tanto ad una esclusiva questione di conoscenza e/o, se volete, di interpretazione calcistica, quanto ad una vera diversità di zone geografiche.
Nord VS Centro Sud
La zona del Maghreb, quella che abbraccia la parte dell’Africa Nord Occidentale e che si affaccia sia sul mar Mediterraneo che sull’Oceano Atlantico, era quella che portava con sè i crismi di un Continente meno arretrato sotto il punto di vista economico, sociale e culturale.
Ciò si rifletteva anche sulle scelte destinate al Dio pallone, le quali influenzavano i posizionamenti tattici di una buona schiera di giocatori e la disciplina tattica in campo dettata dagli allenatori.
Disciplina tattica e allenatori non esattamente numerosi in tutto il resto dell’Africa, dove si è giocato per decenni senza pensare nemmeno lontanamente a sfidare il calcio europeo o quello sudamericano.
Squadre come Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto erano già abituate ad un certo tipo di scenario che cominciava a vederle affacciarsi ad un altro calcio, a differenza di un’altra parte di Africa, quella centro-meridionale che non pensava affatto ai tatticismi.
Le Africane dopo Spagna ’82
Lo spartiacque, dicevamo.
Un mondiale di calcio che ha profondamente segnato le abitudini di noi italiani e che ha dato il via ad una stagione florida, ricca e felice, è stato quello giocato in Spagna nel 1982 dal quale uscimmo vittoriosi.
Ma se allarghiamo un pochino la visione e torniamo a quello di cui ci stavamo occupando in questo articolo, il “Mundial” diede inizio a quella inarrestabile ascesa che ci ha portato, oggi come oggi, all’ammirazione di talenti cristallini che uniscono grazia e potenza: i calciatori africani.
Anche le squadre nazionali, fin da quel momento, cominciarono a dire la loro e quello fu il mondiale grazie al quale facemmo la conoscenza dei camerunesi Roger Milla, allora trentenne, ma con innumerevoli chiacchiere sulla sua età e N’Kono, portiere dalle braccia infinite che ci mise in difficoltà nella fase a gironi dove ottenemmo tre deludenti pareggi contro gli stessi “leoni indomabili”, Polonia e Perù.
Insieme al Camerun fece presenza a quel mondiale l’Algeria, segno che la contrapposizione tra il calcio moderno maghrebino e quello tutto fisico e muscoli delle parti più povere del Continente, cominciava a portare risultati in entrambi in sensi.
Non solo. Alle finali continentali per le qualificazioni a quel mondiale, le due avversarie delle vincitrici furono, in una sorta di curioso incrocio di dinastie, Nigeria e Marocco!
I mondiali del 1974 in Germania
Due mondiali prima, disputati nel 1974 in Germania Ovest, il regolamento prevedeva la partecipazione di una sola squadra del continente africano, ma non andate a cercare chissà quale motivazione, poche erano le squadre a cui, complessivamente, veniva dato il benestare alla partecipazione, solo 16.
Per capire il motivo che permise allo Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, di essere QUELLA squadra, bisogna risalire al suo re incontrastato dell’epoca, Joseph-Désiré Mobutu, il quale prese il potere grazie ad un colpo di stato nel 1971.
Super appassionato di calcio e della bella vita, si stimò un suo patrimonio di circa 9 miliardi di dollari, utilizzò il calcio a fini propagandistici e costruì una nazionale piuttosto forte nel suo Continente, tanto da convincere, attraverso sonante pecunia, un buon numero di giovani giocatori promettenti che giocavano in Belgio.
Il Belgio, Paese che fino al 1960 aveva colonizzato quel territorio, aveva ovviamente un rapporto privilegiato per lo scambio di merci e persone con lo Zaire e questo permetteva a Mobutu di poter usufruire anche di una certa tipologia di calciatori in erba cresciuti in Europa.
Fu così che lo Zaire si qualificò ai mondiali, eliminando realtà calcistiche africane ben più nobili, come Togo, Camerun, Ghana, Zambia e Marocco.
L’arrivo di Mobutu
Dopo una tutto sommato dignitosa sconfitta per 2-0 nella partita inaugurale contro la Scozia, lo Zaire si apprestava a disputare il suo secondo match contro la Jugoslavia che, purtroppo per lui, rappresentava proprio la patria natia dell’allenatore dello Zaire, Blagoje Vidinic.
La partita fu un’orrenda disfatta per gli africani, i quali, pronti-via, presero tre gol in circa 10 minuti, originando le furie del dittatore che ordinò telefonicamente allo staff tecnico, di sostituire immediatamente il portiere titolare.
Muamba Kazadi, peraltro uno dei leader carismatici dello spogliatoio, uscì in lacrime, sostituito dal meno esperto Dimbi Tubilandu, che di gol ne prese altri 6 per un emblematico 9-0.
Subito dopo quell’onta subita dai suoi giocatori, Mobutu prese uno dei suoi Jet privati, si diresse verso la Germania e, con tanto di colbacco tigrato, fece capolino presso l’hotel dove stazionava la squadra.
Fu una riunione piuttosto chiarificatrice e il dittatore diede ordini precisi sullo schieramento da adottare per la successiva e ormai pleonastica partita, quella “facilissima” contro un Brasile ancora non qualificato, a cui serviva una vittoria con almeno 3 gol di scarto.
Intorno al 70° minuto, con il Brasile in vantaggio per 3-0, fu assegnato ai verde-oro un calcio di punizione poco dopo la trequarti, il portiere dello Zaire mise in ordine la barriera e, poco dopo il fischio dell’arbitro, ben prima che Rivelino si apprestasse a battere di sinistro, il difensore centrale dello Zaire, l’ottimo Mwepu Ilunga, uscì in avanscoperta abbandonando i compagni di barriera e si scagliò contro il pallone, sparando una cannonata che sfiorò il viso dello stesso Rivelino.
L’arbitro della partita, il romeno Nicolae Rainea, estrasse il cartellino giallo creando sorpresa e incredulità in Ilunga.
Il retroscena
Solo parecchi anni dopo si scoprì che quel gesto: la visita dei funzionari africani comandati da Mutobo, non fu per nulla pacifica, anzi.
Essi minacciarono gravi ritorsioni verso familiari e giocatori stessi nel caso in cui il Brasile avesse segnato più dei tre gol che servivano per qualificarsi.
Nonostante l’obiettivo fosse stato raggiunto, i giocatori rientrati in patria ottennero un trattamento non esattamente da grandi star: tutti finirono senza un soldo di premio e alcuni di loro vissero in povertà trattati per tutta la vita da traditori.
Fu lo stesso Mwepu Ilunga, parecchi anni dopo, a raccontare tutti i retroscena, tanto che disse anche che tutti loro pensavano di tornare in Africa dopo quel Mondiale per trascorrere una vita agiata e accolti come degli eroi per una partecipazione storica.
Ma già dopo la prima partita persa contro la Scozia, seppero che nessuno di loro avrebbe riscosso i premi per la partecipazione ai mondiali.
Da lì tutta la trasferta spagnola fu un completo calvario, ma quella libera uscita prima della punizione brasiliana rappresenta ancora oggi un calcio a tutte le ingiustizie e alle repressioni.