Sette anni fuori dal suo giardino naturale.
Il Milan ritrova la Champions League dopo 7 anni dall’ultima presenza. In una sera di quasi primavera nel marzo 2014, l’Atletico Madrid prende il diavolo per le corna sbattendolo fuori, da quella Coppa vinta ben 7 volte dai rossoneri.
84 mesi dopo la truppa di Pioli riabbraccia la Coppa dei Campioni, con l’urna che ha inserito il Milan nello stesso raggruppamento degli spagnoli, come a sentenziare una chiusura del cerchio.
Sembra passata una vita, da quella squadra ormai smembrata e con Berlusconi deciso a vendere il club, rispetto ad un Diavolo che seppur senza grande budget sta gettando le basi per una sorta di rinascita.
Il battesimo, per il ritorno in Champions League, è di quelli pesanti e spettacolari, con il Liverpool che attende i rossoneri nella sua tana ad Anfield Road. Quel Liverpool battuto nell’ultima finale giocata dal Milan nel 2007, con Paolo Maldini che alza la coppa al cielo di Atene e adesso guida il mercato dei meneghini verso la risalita.
Vediamo allora, come era quell’ultimo Milan di Champions nel 2014.
Un Diavolo dismesso
La stagione 2013-2014 è quella che fa capire a tutti che Berlusconi ha chiuso definitivamente i rubinetti, dopo quasi 30 anni di presidenza tambureggiante con grandi acquisti, super campioni e una rivoluzione totale nel gioco del calcio. Uno smantellamento iniziato nell’estate del 2012, dove la Vecchia Guardia abdica per motivi anagrafici e si aggiungono le inaspettate cessioni al PSG di Ibra e Thiago Silva.
La campagna acquisti del 2013 vede Galliani arrangiarsi con pochi denari da investire, ma la presenza in panchina di Allegri infonde ottimismo all’ambiente, grazie alla rimonta pazzesca nel girone di ritorno della stagione precedente che permette ai rossoneri di acciuffare un posto in Champions.
Kaka è l’ultimo colpo del mercato estivo, arrivato sul suono del gong e che riporta il brasiliano a Milanello, quattro anni dopo la sua cessione al Real Madrid. L’ambiente si rianima con il suo numero 22, autore di magie straordinarie in maglia rossonera nella sua prima folgorante esperienza. Ma pur regalando sprazzi di classe, il bis di Kaka all’ombra di San Siro non è di quelli memorabili nel corso della stagione.
Balotelli è il secondo nome di grande spessore presente nella rosa, orfana di Ambrosini che dopo 17 anni ha salutato nell’estate del 2013. I gradi di capitano si alternano tra Kaka e Montolivo, con l’eterno Abbiati a guardia dei pali. A loro, si aggiungono i prodotti del vivaio rossonero e ormai in pianta stabile da tempo in prima squadra, come Abate e De Sciglio.
Il resto sono solo scommesse su giovani e qualche giocatore ormai maturo che appare in grado di reggere l’importanza di una maglia come quella del Milan.
Da Bonera a De Jong, passando per Rami, Poli, Pazzini, Robinho, Muntari, Mexes, Taarabt, oltre ai campioni del mondo 2006 Amelia e Zaccardo. Un mix molto strano e che come vedremo non produrrà l’esito sperato.
Berardi promuove Seedorf
Il Milan stenta e non poco in campionato. Allegri cerca sempre formule nuove per risollevare il diavolo, ma tranne quando si illuminano Kaka o Balotelli, la squadra fatica tantissimo. Buone prestazioni che si alternano a pessime figure, con Galliani che prova a scuotere l’ambiente con l’innesto di Honda.
Il giapponese porta sicuramente freschezza, ma da solo non basta per cambiare la rotta e in una notte di gennaio c’è il punto di rottura tra il Milan e Allegri. Nel posticipo di Reggio Emilia, la nuova casa del Sassuolo, ecco che il diavolo conosce per la prima volta le giocate di un giovanissimo Berardi.
Domenico segna una tripletta al Milan, ma soprattutto stende i rossoneri al 90′ di una folle partita, vinta dal piccolo Sassuolo per 4-3, contro una squadra ormai allo sbando.
La notte che segue costringe Galliani, su imput di Berlusconi, ad esonerare Max Allegri. La scelta ricade su Clarence Seedorf che da un anno e mezzo ha appeso le scarpe al chiodo e si diletta come allenatore in Brasile. L’ex stella rossonera torna immediatamente alla base, seppur con la diffidenza di molti per la sua quasi totale inesperienza nel ruolo di tecnico.
In realtà i 4 mesi di Seedorf alla guida del Milan non sono stati poi peggiori dei primi sei di Allegri, ma la macchia dell’eliminazione resta, anche se con pochissime colpe dello stesso olandese. Gli ottavi di finale di Champions si avvicinano a grandi passi e il diavolo deve vedersela con una squadra in grande ascesa.
Per molti sarà come una sorta di passaggio del testimone, con il Milan ormai in caduta libera e l’Atletico Madrid che sta creando le fondamenta di un lunghissimo periodo di vittorie, con Diego Pablo Simeone alla guida del timone. Il “Cholismo” è iniziato da poco, ma piano piano inizieranno a conoscerlo tutti: non a caso in quella stagione i materassi di Madrid vinceranno la Liga, perdendo la finale di Champions a Lisbona contro l’odiato Real Madrid.
La fine di un’era
Il Milan sembra in qualche modo rinato sotto la cura di Seedorf, ma molti giocatori non appaiono all’altezza della situazione. Soprattutto non sembrano pronti per affrontare la grinta degli spagnoli, oltre al gioco fisico.
Sospinto dai 70 mila di San Siro, il Diavolo nella gara di andata gioca una bella partita per quasi un’ora: attacca, crea, colpisce un palo con Kaka e impegna più volte la porta iberica.
Dall’altra parte il Cholo sta guidando la squadra come da copione: attendere, difendere, soffrire anche e infine affondare con velocissime ripartenze. Su una di queste l’Atletico trova il gol della vittoria con Diego Costa. Finisce 1-0 a Milano per i Colchoneros, con la qualificazione che appare in qualche modo già in tasca.
Il Milan però, al netto di una rosa non all’altezza, è sempre il Milan con il tecnico argentino che predica calma e attenzione massima per la partita di ritorno. Seedorf studia le possibili mosse per ribaltare la situazione, ma il “convento” non offre mille opzioni. Con grande coraggio l’olandese si affida ad un 4-2-3-1, che in realtà è un 4-2-4 vero e proprio. Allin per cercare di compiere l’impresa nel vecchio e sempre ruggente “Vincente Calderon”.
In porta ci va Abbiati, con Abate, Rami, Bonera e Emanuelson in difesa. E già questa linea non sembra il massimo per contenere le giocate di Diego Costa. Le vesti di doppi mediani vanno a De Jong e Essien: cuore, grinta, corsa, ma poca qualità. Balotelli è l’unico terminale offensivo, almeno sulla carta, con un tridente particolare alle sue spalle, composto da Taarabt, Poli e Kakà. A dire il vero Poli è un mediano, ma che con Seedorf si è abituato a giocare molto alto.
L’avvio conferma le paure della vigilia. L’Atletico spinge, il Milan sbanda e alla prima occasione Diego Costa fa 1-0. Sussulto d’orgoglio dei rossoneri, grazie ad una giocata di Kaka che fa 1-1. Ci pensa allo scadere della prima frazione Arda Turan a riportare in vantaggio gli spagnoli.
Nella ripresa Seedorf lancia nella mischia, Pazzini, Muntari e Robinho, ma senza riuscire a venire a capo dell’Atletico che invece dilaga con le reti di Raul Garcia e ancora Diego Costa. Finisce 4-1 per gli iberici, ma solo grazie ad uno strepitoso Abbiati che evita un passivo ben peggiore, in quell’ultima notte di Champions League per il diavolo.
Dall’11 marzo 2014, l’attesa sta per finire. Un ritorno non facile, considerando la difficoltà del girone, ma che appare come una passeggiata rispetto a quella squadra costruita male sette anni fa. Una chiusura del cerchio che a Milanello si augurano speciale come non mai.