Vicini rumorosi. E talentuosi. I francesi in Italia hanno saputo creare pian piano un mito a parte, costruito non tanto dai gol o dai numeri difensivi (di per sé mostruosi, dato il talento di chi li ha generati), ma dai tocchi. Dal gioco. Dalla leggiadria con cui hanno saputo banalmente intraprendere il mestiere del calciatore. Banale fino a un certo punto se portiamo esempi come Platini, Zidane, Vieira: capolavori tecnici e pure tattici, in un paese in cui hanno sempre saputo come valorizzare il talento. Del resto, la Francia è anche patria di artisti. E più degli italiani, i transalpini hanno intrapreso la strada dell’applicazione: mai fine a se stessa, sempre e solo funzionale.
La top 11 dei giocatori francesi in Serie A è dunque un omaggio al talento tout court e alla storie d’amore che hanno uguale inizio e uguale fine: partono da timidezza e scetticismo, poi si tramutano in affetto quasi folle. Come sempre, va chiarita la regola base delle nostre formazioni: teniamo conto solo dei giocatori ufficialmente ritirati. Ecco perché non troverete il Pogba o il Ribery di turno.
Intanto, voilà: pronti a stupirvi.
Portiere: Frey
Parte da Cannes per conquistare l’Italia, un po’ come fece Annibale nel 216 a.C. Di battaglie, comunque, ne ha fatte pure lui, certamente meno sanguinose: da giovane promessa dell’Inter è diventato parte fondamentale di ogni squadra in cui ha giocato. Parma e Fiorentina (rispettivamente 4 e 6 stagioni) sono state tappe incredibili della sua vita. Con 446 gettoni è diventato il quarto tra i giocatori stranieri più presenti in Serie A.
Terzino destro: Thuram
Quattordici anni nella nazionale francese, nessuno ha più presenze di lui: con les Bleu ha vinto tutto quello che poteva vincere. Ma in Italia non è stato da meno. Dopo 5 anni al Monaco, il Parma dei miracoli s’invaghisce di lui e lo porta in Italia: altre cinque stagioni di livello assoluto, poi la chiamata della Juventus (che con lui comprerà anche Buffon per una cifra record). Rimarrà a Torino fino al 2006, dopo lo scoppio di Calciopoli decide di andare in Spagna: c’è il Barcellona.
Difensore centrale: Mexes
Dodici anni in Italia. Era solo un ragazzo quando la Roma lo andò a pescare all’Auxerre, e subito divenne tutto ciò che i giallorossi avevano sempre voluto. Un difensore di forte personalità, bravo in marcatura ma dai piedi ottimi per l’impostazione da dietro. Non una cima fisicamente, però arcigno. Duro da affrontare. Nel 2011, la proposta del Milan: vi rimarrà fino al 2016.
Difensore centrale: Desailly
Tra i più forti di tutti. E tra i più intelligenti, soprattutto. Cinque anni al Milan, dal 1993 al 1998: 137 presenze e pure cinque reti. Un giocatore diverso, in una squadra formidabile. Riuscì a ritagliarsi spazio tra Eranio, Baresi, Savicevic. Riuscì soprattutto a rubare il cuore di Fabio Capello: con Tassotti-Baresi-Costacurta-Maldini c’era da sudare per un posto in difesa, quindi il tecnico lo posizionò più avanti, a supporto della storia. Vinse tutto, ovviamente.
Terzino sinistro: Candela
Il baffo da sparviero e tanta garra, che da un francese difficilmente te l’aspetti. Dopo Tolosa e Guingamp, è la Roma a notarlo nel 1997: rimase fino al 2005, con uno scudetto di mezzo. Breve esperienza al Bolton, quindi il giro di provincia: Udinese, Siena e Messina nel 2007, anno praticamente del suo ritiro. Terzino atipico: destro di piede, ma amava giocare a sinistra. Bravissimo nei piazzati. Oggi? E’ rimasto nelle campagne romane, produce vino. Ed è sempre all’Olimpico…
Centrocampista centrale: Vieira
Fisico, tenuta, tecnica. Patrick Vieira aveva semplicemente tutto: e non a caso veniva chiamato “la pieuvre”, grazie alla sua capacità di sradicare palloni agli avversari. La prima squadra a notarlo fu il Milan: era il 1995 e fu preso come alter ego di Desailly, a cui non riuscì mai a rubare il posto. Appena due presenze, prima dell’epopea Arsenal con Wenger. L’Italia sembrava un capitolo chiuso, fino alla telefonata della Juventus nel 2005: una stagione di altissimo profilo, poi Calciopoli. Ne approfittò l’Inter, che lo tenne con sé fino al gennaio del 2010.
Centrocampista centrale: Deschamps
Un centrocampista sopraffino e un allenatore semplicemente straordinario. Prima di portare la sua Francia sul tetto del mondo da tecnico, Didi ce l’aveva fatta anche da giocatore, nel 1998. E in Italia? Grande storia d’amore con la Juventus, che lo acquistò nel 1994 e lo rese il perno di una squadra terribile (per gli avversari). Cinque stagioni di altissimo profilo: tante finali europee, una conquistata. Sotto il cielo di Roma, nel 1996.
Ala destra: Djorkaeff
Appena tre stagioni in Italia bastano a consegnarlo alla storia di questa particolare formazione. Polacco, cosacco e armeno, ma francese dentro. Parte da Grenoble e gira tutta la Francia: la passione vera, però, arrivò con l’Inter. Nasce nel 1996 e si esaurisce nel 1999: il Serpente (così veniva chiamato) aveva dribbling e tecnica, soprattutto talento. Un nove e mezzo, con l’eterno dubbio: giocando ovunque, era impossibile da collocare nello scacchiere tattico.
Trequartista: Platini
Preso per un tozzo di pane e trasformato in fois gras. Così, l’Avvocato Agnelli, parlò di Michel dopo le prime stagioni alla Juventus. Era un ragazzino del Nancy, talento smisurato e già sgrezzato al Saint-Etienne: in bianconero divenne semplicemente imbattibile. Nel 1982 convince la dirigenza juventina a puntare su di lui, scaricando Brady: vincerà tutto, compresa la maledetta Coppa dei Campioni dell’Heysel. Smetterà giovanissimo, ad appena 32 anni, lasciando un’eredità di giocate e gol, di eleganza e vittorie. Alla Juve, 68 reti in 147 partite lungo 5 stagioni.
Esterno sinistro: Zidane
Collocazione tattica un po’ ambigua, ma come si fa a rinunciare al talento di Zizou? Impossibile, ecco. Perché negli occhi c’è ancora lo stesso amore della Juventus che prelevò questo progetto di fuoriclasse dal Bordeaux: era il 1996 e i bianconeri avevano appena vinto la Coppa Campioni. Qualche mese d’adattamento, poi la magia. E i gol, e gli assist, e – purtroppo per lui – anche troppe finali europee perse. Con Del Piero, una coppia di fantasisti che facevano invidia al mondo intero. Nel 1998 una stagione spaziale: il Pallone d’Oro strameritato.
Centravanti: Trezeguet
Eleganza francese, ma il colpo era tutto argentino. David Trezeguet, che non a caso è un mix di queste due culture, alla Juventus era arrivato come scommessa: sembrava di passaggio, si ritrovò a far la storia dei bianconeri. Arrivato nel 2000 per sostituire Pippo Inzaghi, rimase a Torino 10 anni. Serie B compresa. Per i tifosi ancora oggi è un idolo: del resto, come si dimenticano 171 esultanze con la stessa maglia?
La panchina
Bonnefoi: storico terzo portiere della Juventus. Arriva nel 2001 dal Cannes e resta fino al 2003, quindi una brutta esperienza al Messina e altre due stagioni in bianconero. Zero presenze.
Blanc: a Napoli sembravano aver ritrovato l’oro: quel giovane riccio e forte dal Montpellier. Durò un anno, dal 1991 al 1992. Poi tanta Francia, un po’ di Barcellona e nel 1999 la chiamata dell’Inter di Lippi. Due stagioni di livello.
Zebina: un solo gol in carriera in centinaia e centinaia di presenze da professionista. Ma il mestiere di Zebina era un altro: era darle e cercare di non prenderle. Quattro anni alla Roma, sei alla Juve (con la quale rimase anche in Serie B), una buona stagione anche al Brescia nel 2010.
Karembeu: chi ha memoria della Samp degli anni Novanta, non può non ricordare il talento di Karembeu. Due anni alla Doria, a far impazzire i tifosi, a sognare insieme a loro. Solo la chiamata del Real Madrid poté rompere l’idillio.
Boghossian: a Napoli lo ricordano ancora con un certo rimpianto. Era arrivato per dare estro e fantasia, e in tre anni campò di fatto di guizzi. Nel 1997 lo prese la Samp, ma è a Parma che riuscirà a togliersi qualche soddisfazione: in quattro anni, Coppa Uefa, due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Peccato per gli infortuni.
Henry: un solo anno, assolutamente insufficiente, in Serie A vale la posizione in formazione? Sì, se ti chiami Thierry Henry e se hai combinato quel che hai combinato in carriera. Nel 1999 era la scommessa della Juventus: non si capì con Ancelotti e ne approfittò sul mercato l’Arsenal, che lo rese ciò che è stato. Un fuoriclasse.
Papin: nel 1991, il Pallone d’Oro. Nel 1992, la chiamata della squadra più forte del mondo: 14 miliardi di lire per la beffa più atroce del destino, perdere la finale di Coppa Campioni proprio contro il suo vecchio Marsiglia. Si rifece: a Milano riuscì comunque a vincere, in due stagioni, due scudetti e due Supercoppe, oltre alla Champions League del 1994.