Una squadra fortissima. Questo è il primo pensiero che arriva al solo stilare la formazione. Chiaro: stavolta siamo andati sul velluto, sul bel calcio, sull’oceano che ha portato in dote non solo così tanto talento, ma anche un modo opposto di vedere il calcio. Meno difensivo, più improntato sull’attacco.
Gli italiani non lo direbbero mai, neanche sotto tortura: ma la realtà è che tra Argentina e Brasile, la Serie A si è rimpolpata di spettacolo. Lo ha fatto da sempre, o meglio: da quando è stato possibile andare a pescare fuoriclasse laggiù, tra storie maledette e benedizioni delle divinità del pallone.
E’ stata dura, comunque. Mettere in campo una formazione (con annessa panchina) e per forza di cose costringersi a privazioni incredibili. Così, su due piedi, quant’era bravo quel genio di Leonardo? Eppure non c’è. Non è nei primi venti, dove invece figurano Falcao ed Emerson: generazioni diverse che s’incontrano e che a loro modo hanno cambiato le ambizioni delle loro squadre. Altro piccolo spoiler: c’è tanto Milan. C’è un po’ di Roma. Poca Juve e lampi importantissimi di Inter. Pronti? Partiamo.
Portiere: Julio Cesar
Ha segnato un’era. E si è reso magnifico protagonista di una squadra come nessuna. Nell’Inter del Triplete, e in quella immediatamente precedente, si è dimostrato l’arma in più nelle notti che contavano. Difficile scegliere tra lui e Dida, che di Champions ne ha vinte addirittura due. Per peso specifico all’interno del gruppo e delle vittorie, comunque, vince Julio. Felino e prototipo del nuovo portiere: quante volte ha fatto partire il Moutore.
Esterno destro: Cafù
Pendolino. Gomma da masticare. Due lampi di puri ricordi, sin dai tempi di Roma e poi verso Milano, anche lui parte fondamentale di un gruppo che resterà per sempre nella storia del calcio. Corsa e difesa, ma soprattutto costanza: palla in banca, con Cafù. Che sin da giovane ha sempre mostrato una dote particolare: sapeva essere saggio.
Centrale: Thiago Silva
Capitano di mille avventure, e pure di qualche sventura. Ha mancato per un pelo il Milan degli irresistibili di Ancelotti, piazzandosi come promessa mantenuta di solidità e talento. Il dolore dei rossoneri, al suo addio forzato per motivi ovviamente economici, racconta tutta l’eredità che ha lasciato Thiago. Chi oggi guida quella difesa, con tanto di fascia al braccio, subisce un paragone quasi doloroso: tra Silva e Nesta, quel Milan era un muro insormontabile.
Centrale: Lucio
Cavallo pazzo. Si dice che al Bayern Monaco avesse facilità di multa: non per problemi fuori dal campo, semmai per questioni legate al centro…campo. Ogni volta che superava palla al piede, il suo allenatore dell’epoca s’infuriava e sbraitava. Ma non lo toglieva mai, perché Lucio era grinta e perseveranza. E corsa, sì. A perdifiato. Un triplete con l’Inter in Italia, poi sei mesi alla Juve di cui si è immediatamente pentito.
Esterno sinistro: R. Carlos
Non ditelo agli interisti, parecchie ferite potrebbero riaprirsi in un istante. Roberto Carlos è stato semplicemente il terzino più forte degli ultimi trent’anni. Corsa e costanza, ma soprattutto quel mancino potente e raffinato allo stesso tempo. Una meraviglia. Coi nerazzurri? Una stagione sola, la 95/96, piena di sprint velocissimi e missili scagliati verso i portieri avversari. All’inizio con Ottavio Bianchi tutto bene, poi arriva Hodgson per cui il brasiliano è troppo “attaccante” e troppo poco difensore. Clamorosa topica di mercato dell’Inter che su indicazione del tecnico britannico (che gli preferisce Pistone!!) lo spedisce al Real Madrid nell’affare che porta Zamorano in nerazzurro. Insomma esperienza non felicissima ma nella nostra Top XI c’è: ma per talento.
Regista: Falcao
A un certo punto, la città di Xanxeré apparse sulla mappa degli italiani. Dal profondo Brasile era arrivato Paulo Roberto Falcao: uno dei centrocampisti più forti e completi di tutti i tempi. Cresce nell’Internacional e si consacra alla Roma, dove i tifosi perdono completamente la testa per lui: lo chiamano l’Ottavo Re di Roma, come prima di lui Amedeo Amadei, subito dopo Francesco Totti. Basta questo, no?
Centrale centrocampo: Emerson
Fabio Capello se ne innamorò perdutamente. Lo volle alla Roma, lo pretese alla Juventus. Il motivo? Emerson sapeva cambiare drasticamente il volto alle squadre in cui giocava. L’ha fatto anche al Real Madrid, successivamente al Milan. Una carriera stellare per un giocatore sì di qualità, ma soprattutto di sostanza. Non mancava mai, se non per cause di forza maggiore.
Trequartista sinistro: Ronaldinho
Alt: siamo davanti a uno dei migliori di sempre. Pallone d’Oro, Champions, il cielo con un dito. Pardon: con un dribbling. El Gaucho è stato semplicemente un calciatore differente. Giocate differenti, pensieri differenti, ambizione differente. Ha tenuto duro, mentalmente, finché ha potuto: al suo arrivo a Milano, va detto che il viale del tramonto era già ben imboccato. Eppure Berlusconi non si preoccupò più di tanto: l’aveva inseguito a lungo, riuscì a goderselo finché Dinho ne ebbe.
Trequartista centrale: Zico
O Galinho. Il galletto. Una storia incredibile con il Flamengo, ma un pezzo di storia italiana con l’Udinese. Un giocatore totale da 750 partite ufficiali e 516 gol nel carretto. 826 reti se invece contiamo anche le partite non ufficiali. Un paio di stagioni in bianconero, dal 1983 al 1985: riuscì a stupire, eccome. 39 gettoni e 22 gol. Tanta roba.
Trequartista destro: Kaka
Per capire il mito ancor prima del genio: è un inverno freddo a Milano, e il carico di milioni in arrivo dal Manchester City potrebbe garantire a Silvio Berlusconi un ingresso economico decisivo per la “sopravvivenza” dei rossoneri. Cosa impedì un affare già fatto? L’affetto spropositato dei tifosi, che si organizzarono con un sit in “di protesta”, al suono di ‘Kakà non si vende’. Un mare di gente e un fiume di ammirazione, per quel brasiliano arrivato giovanissimo in una squadra di campioni e che pian piano ne era diventato il leader tecnico ed emotivo. Dopo l’addio necessario (andò al Real Madrid nello stesso anno di Benzema e CR7), il ritorno di cuore. Pochi scampoli del vero Kakà bastarono a far rivivere il mito.
Centravanti: Ronaldo
Il Fenomeno. Quello vero. Probabilmente il più forte attaccante di sempre, di certo della sua generazione (di altri fenomeni). Arriva in Europa grazie al PSV, poi al Barcellona, quindi all’Inter per la consacrazione definitiva, con una prima stagione da marziano. Arrivò solo una Coppa Uefa in cinque stagioni, ma il numero di giocate, di gol, di emozioni è stato semplicemente incalcolabile. Un dolore, la cessione al Real. Ancor più forte, quello dei continui infortuni che l’hanno persino limitato nella sua grandezza.
In panchina
Come accennato la qualità non manca nemmeno in panchina dove troviamo tutti campionissimi che hanno giocato da titolari nelle loro squadre:
- Dida: che ogni tanto si prendeva una pausa ma rimane pur sempre uno dei portieri più forti della sua generazione;
- Maicon e Serginho: due frecce che in epoche leggermente diverse hanno solcato le corsie laterali di San Siro,
- “Pluto” Aldair: la classe e l’eleganza fino a diventare simbolo della Roma
- Socrates: il “dottore” il cui genio calcistico doveva erudire la già colta Firenze, ma che alla fine ha deluso le aspettative;
- Rivaldo: un funambolo arrivato troppo tardi nel nostro campionato ma che nel corso della carriera ha regalato perle di rara bellezza;
- Marcio Amoroso: un “mini-Ronaldo” che per un paio di stagioni ha terrorizzato le difese della Serie A.