Chi era Taribo West? Ecco, partiamo dalle domande difficili. E da una premessa: tra i tanti giocatori che hanno partecipato a un Mondiale, in pochi sono ricordati più per il proprio taglio di capelli che per quanto fatto vedere in campo. Taribo, sì, fa parte di questo piccolo gruppo. Anche la sola frangia, volta a coprire la testa di fatto calva del Fenomeno Ronaldo nel Mondiale del 2002, è rimasta imparagonabile alle trecce, due, verdi pappagallo della pelata di West. E a tutto quello che precedeva: una vasca di capelli intrecciati e un anticonformismo che sprizzava da tutti i pori.
Così sarà ricordato per sempre Taribo West. Con quest’immagine qui: quella di un tipo sui generis che alternava ore spese in un campo di calcio a una vita dedicata completamente al servizio di Dio. Il nigeriano arrivò in Europa grazie all’Auxerre, che lo prelevò direttamente dal suo paese d’origine nel 1993.
In Nigeria, Taribo ebbe difficoltà inimmaginabili. A nove anni, abbandonò la sua famiglia a Port Harcourt per andare a vivere nella periferia di Shomolu, nella città di Lagos. S’inserì immediatamente in una banda, non esattamente musicale, chiamata gli ‘Area Boys’. Se quell’esperienza durò decisamente poco, il trauma non lo abbandonò per tutta la vita. Fu proprio lui a raccontare di quando dovette assistere alla morte di un caro amico per mano di un altro compagno.
La medaglia d’oro e l’approdo all’Inter
Fu un momento determinante, per Taribo. Da lì tornò nella sua città natale e provò a lasciarsi tutto alle spalle. Come? Con un pallone, con il calcio: l’unico modo per trovare la salvezza, per lasciarsi alle spalle uno stile di vita con un senso troppo macabro. Una crescita netta, soprattutto profonda. Iniziò in Nigeria, quindi l’Auxerre. Poi? Poi lo sapete. Una carriera incredibile.
Dopo aver stupito tutti nel campionato francese con l’Auxerre, e soprattutto ai Giochi Olimpici di Atlanta nel 1996 (dove riuscì ad ottenere la medaglia d’oro con la sua nazionale), West passò all’Inter, non senza essere protagonista di un’altra incredibile storia: fece arrabbiare tutti, ma soprattutto il Betis di Siviglia. Il nigeriano aveva praticamente chiuso con la squadra andalusa, c’era un accordo verbale e tutti attendevano di incontrarsi per mettere nero su bianco la faticosa trattativa: alla fine, le carte del Betis, analizzate da West, risultarono con cifre ben inferiori a quanto pattuito dal giocatore. Non volle firmare, resistendo cinque ore rinchiuso in una stanza d’albergo prima di potersene andare, direzione Italia. Precisamente Milano.
Cattive vibrazioni
L’esperienza milanese non è priva di situazioni surreali. Pardon: paranormali. Dopo un po’ di tempo tra Pinetina e Duomo, Taribo riceve la visita di sua sorella Patience. La donna, appena entrata nell’abitazione, ha forti allucinazioni, quindi racconta al fratello di aver percepito cattive vibrazioni. Non solo: queste erano in tutta la casa, enorme, e serviva un esorcismo per liberare quelle stanze. Entrambi pregarono insieme per scacciarle, e secondo la loro versione “i cassetti della casa cominciarono ad aprirsi e a chiudersi”. Poi, la chiamata diretta per diventare pastore. Dall’altissimo.
Poco dopo, Taribo divenne effettivamente Ministro della Chiesa di Pentecose e fondò un tempio nella città italiana: alla base, l’idea chiara di aiutare i poveri e i più bisognosi. Allo stesso tempo, West continuava a giocare nell’Inter: fu la colonna portante, il giocatore chiave di una squadra fortissima. In grado di portare a casa la Coppa Uefa del 1998 e di battagliare contro la Juventus più forte di sempre e un Milan con giocatori assolutamente straordinari, al termine di un ciclo irripetibile. In Italia, come avrete capito, c’è stato un tempo per gli dei: da buon pastore, Taribo se ne stava lì in mezzo a dare lezioni.
Il suo stile di vita iniziò però a giocargli praticamente contro. Contro gli allenatori, innanzitutto. Celebre è lo scambio di battute con Lippi. Gli fa Taribo: ‘Mister, oggi Dio mi ha detto che devo giocare’; di risposta toscanaccia, dice il campione del mondo: ‘Strano: a me non ha detto nulla’. All’Inter capisce presto che l’antifona è cambiata, e arrivano offerte praticamente dappertutto: arrivò il Newcastle in Premier, così come il Liverpool; c’era l’opzione Juventus e in particolare la possibilità di rimanere a Milano, dove aveva fondato la chiesa e raccolto fedeli. Il Milan, insomma, andò a pesca dai cugini e gli permise di unire nuovamente la sua vita professionale con quella religiosa.
Dal Milan al Derby
Il passaggio in rossonero fu qualcosa d’inenarrabile. Iniziò male, terminò peggio. Emigrò subito in Inghilterra per unirsi alle fila del Derby County, luogo in cui si rifletteva la sua peculiare personalità. Promise di salvare la squadra e si convertì in un pezzo chiave del puzzle del club britannico. Quando ottenne la salvezza, tuttavia, scappò fuori dal paese senza giocare un po’ di partite. Ufficialmente, per concentrarsi sulle gare da affrontare con la sua Nigeria. Ufficiosamente, andò in viaggio di nozze prolungato con la moglie.
Ecco, a tutto questo vanno sommate le varie scappatelle a Milano, dove non mancò di partecipare e organizzare alle sue funzioni religiose. Poco dopo, si scoprì che esisteva un patto segreto tra lui e il suo allenatore dell’epoca, Jim Smith: le domeniche di allenamento, di fatto, le avrebbe saltate tutte per andare a pregare. Per questo rimase soltanto una stagione nella squadra inglese, e presto fece le valigie per affrontare nuove sfide con il Kaiserslautern.
Le leggende su Taribo: dalla sua età fino al cannibalismo
In Germania durò ancora meno: rescissione contrattuale decisa da entrambe le campane, arrivò dopo una sconfitta contro il Saint Pauli. Taribo se n’era tornato in Italia: voleva festeggiare il suo compleanno con l’intera congregazione. Il calcio, insomma, era passato ormai definitivamente in secondo piano.
Giocò un paio d’anni per il Partizan sotto la guida di Matthaus, quindi andò all’Al-Arabi del Qatar, infine al Plymouth Argyle. Non contento, né soddisfatto, firmò un contratto con il Paykan iraniano: non riuscì neanche a debuttarvi.
Oggi, di Taribo, non si conoscono età (in tanti dicono che sia più grande di quanto apparisse sui documenti, Ronaldo e Vieri hanno recentemente confermato in una diretta), residenza e stato. Ha amato tante donne, ne ha sposate più di qualcuna. Di sicuro, ha vissuto e vive a pieno la vita: il messaggio più bello, tra le parole del pastore. La curiosità è tanta che da anni non si fa che parlare della sua data di nascita. Si sa solo che è nato a marzo, molto probabilmente intorno agli anni Settanta. Per qualcuno, è addirittura un classe 1962. Va a punti di vista, insomma.
Punti di vista mai certificati da alcun pezzo di carta, che sia Lagos o altre zone di vita in cui Taribo ha mosso i primi passi. L’ultima versione è arrivata da Ronaldo, il Fenomeno:
L’altra grande leggenda sul suo conto, mai confermata ma che ci sentiamo di giudicare come falsa, è quella del suo presunto cannibalismo. Sicuramente frutto di suggestione per la provenienza e il difficile passato del colosso nigeriano, ma alimentata anche da un celebre coro della curva nord interista che recitava proprio «Taribo mangiali tutti!».
Di sicuro il carattere non era docile, come dimostrano alcune intemperanze sul rettangolo verde, come la volta in cui gettò la maglia in faccia a Lucescu reo di averlo sostituito. Ma da qui a spingersi fino al cannibalismo il passo è davvero troppo ardito.
Che fine ha fatto Taribo West?
Cosa fa oggi l’ex laterale? Fa del bene. Si è reso protagonista di una serie di iniziative per i bambini nigeriani in difficoltà: ha fondato la Taribo West Charity Foundation. Ha avviato una scuola calcio con l’amico ed ex Milan George Weah. Nel 2014, una nuova chiesa gli si è spalancata a Lagos, in Nigeria. Adesso gestisce a tempo pieno la struttura, dedicando interamente la sua vita a Dio.
“Dio mi ha concesso di conoscere gli oppressi. Poter entrare in contatto con gli oppressi è un dono, ti permette di avvicinarli al Vangelo e di renderti utile. Sono grato a Dio perché ha fatto di me il suo strumento per evangelizzare queste persone”, le sue parole. Ma il calcio gli manca, eccome.