In testa a sorpresa nel Gruppo E di Euro 2020, davanti a squadre come Spagna e Polonia, la Svezia di Janne Andersson è forse la squadra meno bella da vedere dell’Europeo ma contro ogni pronostico ha già ipotecato il passaggio del turno e un po’ tutte le altre squadre stanno iniziando a temere questa squadra molto ostica da affrontare.
Con la leggenda Zlatan Ibrahimovic escluso per infortunio e il giovane talento Dejan Kulusevski finora fuori causa per Covid, la Svezia non ha accusato il colpo e ha continuato a proporre il suo gioco, brutto da vedere ma tremendamente efficace.
Schierata con un 4-4-2 compatto, che lascia pochissimo spazio alle iniziative avversarie, la Svezia è una squadra operaia e concreta che ricorda, per certi versi, la Grecia di Otto Rehhagel, vincitrice dell’Europeo 2004 nonostante i bookmakers alla vigilia la piazzassero in penultima posizione.
Come la Grecia vinse un Europeo giocando “male”
L’impresa della Grecia nel 2004 rimane una delle imprese sportive più clamorose di sempre per quanto riguarda una nazionale di calcio. Vittoriosi all’esordio nel girone contro il Portogallo padrone di casa con un clamoroso 2-1, i greci poi pareggiano con la Spagna (esattamente come la Svezia all’esordio di Euro 2020) per 1-1 e poi, perdendo contro la Russia già eliminata per 2-1, passano il turno grazie alla sconfitta della Spagna contro il Portogallo e la miglior differenza reti nel confronto delle Furie Rosse.
Una volta passato il turno, la squadra greca blinda la porta, e grazie alla straordinaria applicazione difensiva di tutta la squadra riesce ad arrivare in finale, nuovamente contro i padroni di casa portoghesi, eliminando prima la Francia campione uscente e quindi la Repubblica Ceca. Quarti di finale, semifinale e finale sono vinte tutte con lo stesso punteggio, 1-0, ai tempi supplementari nel caso della partita con i cechi.
L’eroe della spedizione ellenica è Angelos Charisteas, massiccio centravanti del Werder Brema, dai piedi non troppo educati ma incredibile catalizzatore di tutte le palle alte. Grazie al suo lavoro sporco nel ruolo di falso 9, con il compito di fare sponde per la punta veloce Vryzas, e ai suoi 3 gol tra cui quello in finale che lo incoronano capocannoniere del torneo, Charisteas è diventato il simbolo del successo ellenico. Successo che in realtà nasceva dall’enorme spirito di sacrificio dimostrato da tutta la squadra, in grado di mettere in campo un’organizzazione difensiva pressoché impeccabile.
Svezia 2020 e Grecia 2004: similitudini e differenze
Lo spirito della Grecia 2004 ricorda molto quello della Svezia attuale: un collettivo compatto e unito, una punta fisica e in grado di far salire la squadra (Charisteas per i greci di allora, il giovane Isak per gli svedesi di oggi), una disposizione tattica che non lascia molto spazio alla creatività. A fronte di un materiale calcistico non certo eccellente, Otto Rehhagel aveva impostato la squadra in maniera da esaltare al meglio le caratteristiche di ognuno dei suoi interpreti, puntando tutto sull’organizzazione difensiva e sull’opposizione al gioco altrui, piuttosto che sull’iniziativa dei pochi giocatori greci in grado di costruire gioco come Karagounis, Giannakopoulos o Zagorakis.
Nonostante le similitudini nell’atteggiamento, le due squadre presentano anche alcune differenze. La Grecia di Rehhagel attendeva principalmente l’avversario schierata nella propria metà campo, formando due linee compattissime in cui gli avversari faticavano a trovare spazio a causa di asfissianti marcature a uomo e, una volta recuperata palla, rilanciando lungo per le sponde di Charisteas e gli scatti di Vryzas e Giannakopoulos.
La Svezia di Janne Andersson parte da concetti simili, ma li applica in maniera più raffinata.
Lo schieramento svedese non è così bloccato come quello greco: in fase di non possesso i giocatori svedesi scivolano agilmente da un lato all’altro del campo, portando sempre una maggiore densità nella zona del portatore di palla avversario.
La squadra avversaria è così spesso costretta, anche grazie al lavoro di pressing degli attaccanti, a cercare di sviluppare l’azione lanciando sulla fascia opposta. Bravi ad intercettare queste palle alte, gli svedesi cercano poi la ripartenza sulle fasce grazie alla qualità e alla gamba di giocatori come Forsberg e Kulusevski.
Se invece gli avversari arrivano nella metà campo svedese, la linea difensiva si compatta al centro, con i centrocampisti che arretrano ad aumentare ancora la densità. Una volta recuperata palla, in questi casi la si lancia lunga per il centravanti Isak, che ad un fisico imponente e adatto a proteggere palla unisce anche un bruciante scatto in velocità, unendo così le caratteristiche che erano di Charisteas e di Vryzas in un solo profilo.
La Svezia può puntare al titolo grazie all’applicazione difensiva?
Dopo la vittoria della Grecia a Euro 2004 si aprì un dibattito interminabile sull’estetica del gioco e su come l’atteggiamento puramente difensivo greco avesse dato luogo a partite oggettivamente brutte da vedere e vinte in maniera immeritata (in particolare la semifinale contro la Repubblica Ceca).
Eppure tutti questi discorsi non intaccarono minimamente la felicità del popolo greco che vide un gruppo di “underdogs” sconfiggere le stelle del calcio mondiale e vincere contro chi faceva del bel gioco il proprio manifesto grazie a sudore e sacrificio.
Questa Svezia può ambire ad un traguardo del genere? Per definizione exploit del genere sono irripetibili, ma come abbiamo visto per quanto anche la Svezia sviluppi il proprio gioco dando la priorità a bloccare le iniziative avversarie, alle spalle c’è comunque un atteggiamento tattico che prevede soluzioni più elaborate e la possibilità di sfruttare giocatori dal tasso tecnico e dall’esperienza internazionale più elevata.
Detto questo, molte delle squadre più forti di questo Europeo sono già incappate in risultati a sorpresa che faranno in modo che nei prossimi impegni mettano in campo maggiore umiltà e attenzione, per cui appare difficile che la Svezia possa sorprendere gli avversari fino alla finale come fece la Grecia nel 2004.