Il calcio dà e il calcio toglie. Anche a livello lessicale, strettamente legato ai vocaboli. Non può sorprendere come, nel corso degli anni, numerosi termini siano arrivati proprio da quel mondo lì: del resto, quale miglior metafora della vita se non un pallone che rotola e il fattore sorte a determinare buona parte del suo tragitto? Ecco, ci siamo capiti.
E tutto questo era necessario preambolo per raccontare una verità anche un pochino scomoda: il calcio influenza il nostro quotidiano più di quanto possiate immaginare. Nella storia che stiamo per raccontare, ha influenzato tanti uomini e i loro sogni.
Tutti gli appassionati di calcio sanno che la parola ‘Pichichi‘ fa riferimento al giocatore che segna più gol durante il campionato spagnolo, cioè La Liga. È il titolo di capocannoniere, che è il numero uno dei ‘cannonieri’, cioè di chi fa gol. Il termine italiano fa un sinistro riferimento alla guerra: era il soldato che manovra e spara i cannoni, e non è un caso che sia arrivato in epoca fascista. Tant’è: in Spagna hanno tutt’altra fantasia. E molto più rispetto per la storia di un uomo. Rafael Moreno Aranzadi.
La storia e i gol di Pichichi
Rafael Moreno Aranzadi, non dimenticate questo nome. Per tutti, il Pichichi.
Nasce a Bilbao il 23 maggio del 1892 ed è stato uno dei primi grandi attaccanti del calcio spagnolo: la leggenda era così grande, così viva, che quando disputò i Giochi Olimpici di Anversa era la stella più lucente di tutta la spedizione. Fece parte del primo undici della storia della nazionale spagnola e fu uno dei pochi giocatori a disputare tutte le partite del torneo olimpico.
Pichichi è nel cuore soprattutto dei baschi: vestì, per tutta la carriera, la maglia dell’Athletic di Bilbao. Vi arrivò nel 1910, 3 anni più tardi era già il giocatore più forte del campionato. I primi gol? Marchio della storia: in una semifinale di Copa del Rey (ai tempi c’era Alfonso XIII) abbatté senza pietà il Real Madrid, già casa blanca in ogni senso. In finale, Pichichi tornò a segnare contro il Racing Club di Irùn: non vinse, ma la gloria delle sue azioni riecheggiò nel paese intero.
Insomma: Rafael era già diventato più grande dello stesso Athletic. Che provava a rincorrere, a imporsi, a crescere. Come? Primo step uguale per tutti, nonostante cambino i tempi: il nuovo stadio.
Il 21 agosto del 1913, l’inaugurazione di un meraviglioso impianto, proprio contro la Real Union de Irun. Pichichi tagliò il nastro, e a cinque minuti dall’inizio della gara inaugurò con un suo gol la storia del San Mamés. L’attaccante bilbaino era già leggenda, e quanti gol erano ancora da fare… Ah, giusto un numero: 89 partite e 83 gol segnati, per 4 Coppe e 5 campionati regionali.
Dall’altra parte
Ad Anversa, quei Giochi Olimpici, riuscì a vincerli. E nella finale contro l’Olanda, segnò il suo primo e unico gol in nazionale. Come, solo uno? Ve l’abbiamo detto: altri tempi. Pichichi era già il più vecchio di quel gruppo, e aveva comunque 28 anni. L’anno successivo, nel ’21, scarpette al muro e fischietto in bocca: divenne arbitro. Il suo debutto? Proprio al San Mamés, lo stadio che per sempre conserverò il ricordo del primo gol, delle opere prime e uniche del Pichichi. Un idolo totale. Incontrastato e incontrastabile.
Ecco perché fece così male, la notizia della sua morte. Il primo marzo del 1922, a soli 30 anni. Per salmonella. Per carità: non era il massimo della salute, la vita che conduceva.
Però era così giovane, così invincibile, nel pieno dei regali e del talento che la vita aveva saputo donargli. A Bilbao, bandiere a mezz’asta lasciavano presagire un umore duro da spiegare, chiuso in un lutto così profondo da lasciare spazio solo ai sospiri. E ai ricordi. Pichichi, il primo idolo dell’Athletic, aveva lasciato un ricordo incancellabile per le strade e per i cuori della sua città natale. L’eredità era un dolore difficile da sciogliere, se non con il tempo e altri affetti.
Il presidente del club rojiblanco, quello dell’epoca e perciò Ricardo de Irezabal, propose di ergere un monumento in memoria di Pichichi: nessuno osò opporsi. Il busto di quell’attaccante così geniale fu realizzato da Quintin de Torre Berastegui, pagato in parte dal club e in parte dagli stessi tifosi.
Nel dicembre del 1926, nel bel mezzo dell’ingresso di San Mamés, l’immagine per sempre di Rafael. La tradizione oggi vuole che quando una squadra capiti per la prima volta in trasferta a Bilbao, debba porre i suoi omaggi al Pichichi. Il capitano della squadra ospite, accompagnato dal capitano dell’Athletic, deposita un mazzo di fuori vicino al busto di Aranzadi. Ed è sempre toccante.
Perché Pichichi?
Ma da dove nasce il soprannome ‘Pichichi‘?
Racconta Alberto Lopez Echevarieta nella sua opera ‘Pichichi: Storia e Leggenda di un mito’: “Quando era piccolo, le squadre degli amici lo contendevano fino alla fine. Qualcuno lo chiamò ‘Pichichi‘ forse in derivazione da ‘Pichon‘, ‘pichin‘… insomma, qualcuno di bassa statura“.
Pichichi era solito giocare con un fazzoletto bianco annodato alla testa, una particolarità che divenne l’icona dei giocatori baschi di quell’epoca.
Nella sua città, la strada in cui è cresciuto (per nulla distante dallo stadio) oggi porta il suo nome.
E in Spagna ancora oggi lo associano ai migliori della propria storia. Dal 1928, il quotidiano Marca ha incoronato il goleador più proficuo del campionato denominando il premio proprio con quel nomignolo affettuoso, che fa tanto bambino, ingenuità, sogni.
Ed è come se quella meravigliosa storia continuasse ancora oggi: la ‘ilusiòn‘ dei primi calci, in fondo, non ci lascerà mai.