Era il 3 ottobre 1909, quando in una domenica uggiosa un gruppo di ragazzi intenti a bere qualcosa insieme alla birreria Ronzani decisero di dare vita a un team calcistico che avrebbe scritto un pezzo di storia dello sport italiano.
Si chiamavano Emilio Arnstein (l’ideatore), Louis Rauch (che fu anche il primo presidente), i fratelli Gradi e anche un nutrito gruppo di studenti del Collegio di Spagna, tra cui Antonio Bernabeu, fratello del più celebre Santiago che fece poi le fortune del Real Madrid.
Furono loro i primi a indossare la gloriosa maglia del Bologna F.C. che proprio in questo periodo si appresta a festeggiare il suo 110° compleanno.
Le prime vittorie degli anni venti: la lunga sfida con il grifone
Un paio di lustri dopo è già tempo di segnare sulle maglie il primo scudetto rossoblu. E’ il 1924 e in campo sono Schiavio e Della Valle a trascinare i felsinei fino alla finale della Lega Nord contro il Genoa reduce da due scudetti consecutivi (l’ultimo ottenuto proprio l’anno prima in una finale molto discussa proprio contro il Bologna).
Una finale che verrà giocata ben cinque volte tra polemiche e rivendicazioni che persistono ancora oggi (è recente la richiesta dei grifoni di revoca). I motivi sono tanti e la cronaca sportiva in quei giorni si interseca con quella di cronaca nera (spari e aggressioni tanto da far coniare dai titoli dell’epoca l’espressione di “scudetto delle pistole”) e politica (con i gruppi di camice nere che entrano nelle curve dei tifosi).
Quel che resta è il primo titolo del Bologna che verrà poi bissato prima del finire del decennio e porrà le basi per gli anni trenta, il miglio periodo della storia rosso blu.
Gli anni trenta: lo squadrone che tremare il mondo fa
Renato Dall’Ara inizia nel 1934 la sua presidenza che lo terrà per oltre trent’anni alla guida del Bologna. Lo stadio Littorale è il fiore all’occhiello per innovazione e architettura sportiva. Ma soprattutto la squadra comincia a vincere e convincere sia in Italia (dove conquista quattro scudetti in un decennio) sia in Europa (dove si aggiudica alcuni trofei per la prima volta assegnati a una squadra italiana come la Mitropa Cup e il Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi, in cui batterono niente meno che i fuoriclasse inglesi del Chelsea).
E’ anche il Bologna degli oriundi, con Sansone e Fedullo a dar man forte ai bolognesi Schiavio (che poi chiuderà la carriera con un record di 242 segnati in maglia rosso blu) e Biavati (protagonisti anche nelle vittorie mondiali dell’Italia rispettivamente nel 1934 e nel 1938). Una squadra che ha incantato l’europa con il suo gioco e con la sua tecnica, tanto da coniare quel motto popolare che ne evoca la gloria: “lo squadrone che tremare il mondo fa”. Peccato che di lì a poco il mondo tremerà realmente a per ben altre ragioni, che di fatto chiuderanno un ciclo irripetibile per i felsinei.
Il settimo scudetto: lo spareggio storico con l’Inter
Il dopo guerra è un momento di alti e bassi per il Bologna, che tocca il punto più basso fino a quel momento con un 16° posto in campionato, per poi assestarsi spesso su stagioni da quinta-sesta posizione.
Poi sulla panchina arriva un certo Fulvio Bernardini, reduce dallo scudetto alla Fiorentina e con tutte le intenzioni di bissare l’impresa con i felsinei. Ci vollero due anni prima di mettere tutte le caselle al loro posto e conquistare il settimo (e ultimo) scudetto rosso blu.
E anche in questo caso la storia è epica per diversi motivi. Intanto per i record che quella squadra portò a casa, come quello del numero di dieci vittorie consecutive. Poi quel “caso-doping” che sconvolse la classifica per un certo periodo con i tre punti di penalizzazione dati (e poi tolti) al Bologna. E un finale come non si è mai più visto, nello spareggio scudetto di Roma contro l’inarrestabile Inter di Herrera. Che quella volta però venne invece fermata dai gol di Facchetti e Nielsen. Unico rammarico, la scomparsa di Renato Dall’Ara proprio tre giorni prima di quell’incontro, che gli impedirono di vedere l’ultimo scudetto cucito sulle maglie del suo Bologna.
Retrocessione e fallimento: gli anni bui del Bologna
Dopo le glorie dello scudetto, per il Bologna solo qualche gioia in Coppa Italia (due vittorie) che mettono in mostra il cuore del suo capitano Giacomo Bulgarelli. Poi più niente, anzi, l’inizio dell’oblio.
Nella primavera del 1982, il Bologna conosce l’onta della sua prima retrocessione (era rimasta l’unica squadra insieme a Inter e Juve ad aver sempre giocato in Serie A fino a quel momento), nonostante l’esordio di un giovanissimo Roberto Mancini autore di 9 reti su 30 partite disputate.
Ma fu solo l’inizio del crollo. La stagione successiva invece di una risalita agevole, la squadra finì retrocessa in Serie C e il presidente Fabbretti concluse l’opera smantellando totalmente la squadra prima di venderla al miglior offerente.
L’arrivo di Corioni alla presidenza regala un fuoco di nuova passione a cavallo degli anni ottanta-novanta. Il ritorno in serie A con Gigi Maifredi, poi l’ottima stagione del 1990 che vale addirittura la Coppa UEFA che sembra sancire il ritono ai piani alti dei rosso blu.
Purtroppo proprio quella presenza euopea sarà devastante. Il doppio impegno stravolge una squadra non attrezzata che infatti finisce nuovamente retrocessa e due anni dopo torna in Serie C con l’aggravante del fallimento societario che scrisse la parola fine alla gloriosa società del BFC.
L’araba fenice: la rinascita del Bologna 1909
Ci volle l’impegno di Giuseppe Gazzoni Frascara per rimettere in sesto il nuovo Bologna 1909, costruendo pian piano una formazione in grado prima di risalire in serie A, poi di piazzarsi ai piani alti della classifica fino alla nuova conquista dell’Europa.
Sono gli anni di bel calcio e grandi campioni, come Roberto Baggio e Beppe Signori che vestono in anni diversi la maglia rosso blu. Ma anche del duo Kennet Andersson e Kolyvanov in avanti, Marocchi a gestire il centrocampo e Paramatti e De Marchi in difesa. Una squadra che guidata da Carletto Mazzone, nel 1999 riesce persino a sfiorare l’impresa europea, quella di arrivare in finale in Coppa Uefa, fermata (imbattuta) dal Marsiglia di Ravanelli.
La nuova stagione americana: l’arrivo di Saputo
Ancora una volta, quando le cose sembravano andare finalmente al meglio, arrivano anni di grande incertezza societaria con la squadra che vede di nuovo l’onta della retrocessione e della mancanza di aspettative. Fino agli anni più recenti almeno, quando nel 2015 la società viene rilevata da uno degli uomini più ricchi del mondo, Joey Saputo, che però vede nel Bologna la possibilità di una crescita dai piccoli passi, senza investimenti folli ma con la volontà di costruire qualcosa pian piano.
E infatti alla sua prima stagione riesce a tornare nella massima serie, pur con un gap ormai quasi incolmabile con le grandi del campionato. Le stagioni targate Saputo sono state fin qua sulla scia della sofferenza per la lotta retrocessione (prima con tre stagioni relativamente tranquille con Donadoni e poi con Inzaghi esonerato), evitata lo scorso anno solo dal miracolo di Sinisa Mihajlovic che prende la squadra dagli ultimi posti e a suon di vittorie la riporta fino alla decima posizione finale.
Tanti nuovi giovani, guidati dall’esperienza del mister, che però deve subire l’amaro destino che lo costringe ai box in questo avvio di stagione per curarsi dalla leucemia. La storia del Bologna è ancora una volta piena di sofferenza, ma anche di grandi ambizioni e di speranze, come quelle che oggi tutto il mondo sportivo rivolge all’allenatore serbo, e come quelle che tutti i tifosi felisinei rivolgono verso futuro, dopo 110 anni vissuti tra gioie, dolori, sorrisi e amarezze. Ma scrivendo comunque un lungo capitolo della storia del calcio italiano, non ancora chiuso.