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Forse perché posto all’inizio dell’anno, così come il capo è posto all’inizio del corpo, il dio Giano – cui i romani rendevano culto al principio del nuovo anno – è rappresentato come Bifronte – dai due volti. Il dio può guardare al futuro e pure al passato. Gli manca però una dimensione temporale: quella propria degli uomini, il presente.

È curioso notare la somiglianza di Gianluca Scamacca col dio Giano. Come quest’ultimo, Scamacca è nato – se ci è lecito distruggere gli idoli romani, utilizzando questo verbo per parlare di un dio – il 1° gennaio. Al capo dell’anno. E come Giano, Scamacca è bifronte. Ha un passato insieme illustre e ricco d’aspettative deluse, ma ha anche un futuro ancora luminoso davanti a sé. Noi lo vediamo nel presente, ma dove vive Scamacca?

Spalletti, la Playstation e Scamacca

Spalletti, quando a marzo la nazionale s’era riunita per due gare nell’arco di una settimana, aveva detto – senza fare nomi: «Alcuni giocatori devono aver creduto che Spalletti abbaia e poi non ha i dentini, invece si sbagliano e ora ci sono delle cose che vanno messe in chiaro».

E poi, ancora: «da qui in avanti le Playstation le lasciano a casa e non le portano più. Glielo invento io un giochino a cui pensare per distrarsi la notte. Vengono da me e gli do i compiti da fare la sera se non sono bastati quelli di giorno. Perché in Nazionale si sta sul pezzo, concentrati, non si cazzeggia».

Pochi giorni dopo il Corriere di Bergamo invitava i suoi lettori a fare due più due, descrivendo Scamacca come un “patito della Playstation”, un giocatore “apatico, indisponibile alla lotta, per niente incline al sacrificio”. Ma come, davvero? Be, prima di segnare contro il Napoli il 30 marzo, proprio al ritorno dalla pausa nazionali, Scamacca non segnava dal 27 gennaio contro l’Udinese. Due mesi di digiuno, senza siglare neanche un assist nel mezzo. Sembrava il solito gianesco Scamacca, tutto liquefatto tra un futuro incerto (e per questo felice) e un passato scritto (quindi doloroso).

Scamacca due la vendetta

Dopo il gol al San Paolo, però, Scamacca segnerà di fila contro Cagliari e Verona, siglando nel mezzo una straordinaria doppietta ad Anfield – vera chiave di volta della stagione dell’Atalanta. Scamacca finora ha segnato 10 gol e 5 assist in Serie A, in Europa League è a 6 reti. In Coppa Italia – dove ha saltato la finale per squalifica – si è fermato ad una rete. In totale significa 17 reti con ancora quattro partite da giocare. Non saranno numeri ronaldiani, ma ridurre Scamacca ai gol è quantomeno ingeneroso.

Il suo gioco da qualche tempo è cambiato. Gasp gli ha chiesto più lavoro per i compagni, gli ha dato più minutaggio – a detrimento di Lookman – e fiducia. Lui l’ha acquisita con qualche gol – alcuni bellissimi, tipo l’ultimo all’Hellas Verona in casa – e una trasformazione evidente sul piano della proposta offensiva. Scamacca anziché isolarsi viene a prendersi il pallone, se necessario, pure a centrocampo. Da lì o dialoga con De Katelaere – spesso – o – più raramente – allarga a destra e sinistra per gli accorrenti quinti. Un tipo di gioco che permette alla Dea di salire più velocemente con tutti gli effettivi, e a lui di ‘rifiatare’ dal peso di dover segnare un gol a partita – cosa che gli si chiede quasi come obbligo imposto dall’alto.

Così Spalletti è arrivato ad affermare, due giorni fa, che «se Scamacca è questo, diventa difficile non convocarlo». Di giocatori come l’ex West Ham, Sassuolo, Genoa, PSV, Roma, parliamoci chiaramente, non ne esistono in Italia. Scamacca ha tutto: tecnica sopraffina, capacità balistiche uniche, fisico imponente – un aspetto, questo, che ne ha condizionato la crescita a negativo quando in Primavera già a 15 anni era il più grosso di tutti.

Così Dario Saltari su Ultimo Uomo di lui ha scritto: «Di Gianluca Scamacca si parla sin da quando, nelle giovanili della Roma, abbatteva come birilli ragazzini alti la metà di lui. I ragazzi cresciuti troppo in fretta che dominano nelle Primavere dividono sempre: c’è chi li attende come messia nel calcio professionistico e chi li aspetta al varco del momento in cui il vantaggio fisico sarà sparito. Con Scamacca c’era un ulteriore di livello di discussione, però, e cioè cosa il suo talento prometteva.

Non solo un attaccante di un metro e 95 capace di bullizzare le difese avversarie, ma anche un giocatore con un fisico da numero nove e una sensibilità tecnica, una visione di gioco e una capacità balistica da numero dieci. Con i colpi di tacco sulla trequarti, i filtranti no-look e le bombe sotto la traversa, Scamacca prometteva di portarci il sacro Graal del talento offensivo, l’unione dei due ruoli più decisivi del gioco del calcio. Di conseguenza, la discussione intorno a lui si è polarizzata per tutto il resto della sua carriera, tra chi ha continuato a credere a questa promessa e chi pensava fosse una truffa» (corsivo nostro). Un termine forse esagerato, ma calzante per descrivere questo incredibile attaccante.

In Serie A, solo Jovic tra le punte di ruolo ha un tasso di conversione dei tiri in gol migliore di quella di Scamacca. Magari vuol dire poco, forse vuol dire tutto. Scamacca è un giocatore unico perché è in grado di giocare per i compagni e di essere forte e determinante – e d’altronde chi ha segnato all’Inghilterra a ottobre? Spalletti sembra averlo dimenticato troppo presto. E in fondo Retegui i suoi gol li ha fatti. Ma davvero non vedete la differenza tra i due? Uno è un attaccante già formato, coi suoi difetti e i suoi pregi. L’altro è come il dio Giano, appunto: in attesa di capire cosa sia il presente. Ma da un plasmatore di dèi e talenti come Spalletti, convocare Scamacca è un dovere morale.