Il 4 dicembre del 2011 ci lasciava Socrates, il calciatore dottore celebre in campo e fuori per la sua spiccata leadership.
La storia di oggi è una storia più unica che rara. L’impatto che ha lasciato Socrates nel calcio è andato oltre ai suoi meriti sul campo, coinvolgendo i suoi compagni in un esperimento rivoluzionario all’interno di una squadra. Ma andiamo con ordine, partendo dal 19 febbraio 1954, quando viene al mondo Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira. Siamo a Belem, una delle città più grandi della sconfinata Amazzonia. Il padre del giocatore, nonostante le sue origini umili, si era formato da autodidatta ed amava la cultura, a tal punto da chiamare suo figlio come uno dei più celebri filosofi dell’Antica Grecia. Socrates, fratello del già celebre Raì, protagonista ai Mondiali del 1970, crebbe terminando gli studi e frequentando anche l’Università, laureandosi in medicina. Il futuro centrocampista visse in un periodo difficile per il Brasile, dal ’64, infatti, il Paese era in dittatura, dovuta al colpo di stato effettuato dai militari. Essere cresciuto nel contesto di un regime che censurava le opinioni contrarie e opprimeva gli oppositori, ha influito sulla coscienza di Socrates, profondamente contro ciò che succedeva nel suo Paese e a favore della democrazia. Intanto, nonostante la laurea, Socrates aveva iniziato la sua carriera da calciatore, giocando inizialmente con la maglia del Botafogo, squadra dello Stato di San Paolo. In quegli anni si impose come centrocampista centrale, spiccando in campo per la sua altezza sopra la media, era alto più di un metro e novanta, e per la sua visione di gioco, con il quale smistava palloni ai compagni e trovava varchi in cui inserirsi. Nel 1977 passò al Corinthians, dove vinse il campionato statale due anni dopo. Il suo spiccato ascendente sui compagni crebbe a tal punto che fu nominato capitano durante l’avventura brasiliana ai Mondiali del 1982, dove giocò tutte le partite e segnò anche nel quarto di finale contro l’Italia, nel quale gli Azzurri, grazie a una tripletta di Paolo Rossi, elimarono i verdeoro volando verso la vittoria.
Sempre in quegli anni all’interno del Corinthians, nacque la democrazia corinthiana, in cui de facto Socrates era il leader, insieme ai compagni Wladimir e Casagrande. In sostanza i giocatori autogestiscono il club, votando di volta in volta su ogni provvedimento, compresa la formazione con cui scendere in campo, senza distinzione di gerarchia tra calciatori e dirigenza. L’esperimento funziona: non solo il Corinthians vince il Campionato Paulista nel 1982 e nel 1983, ma i componenti della squadra usano il calcio per veicolare, tramite magliette, messaggi propagandistici contro la dittatura. Un’esperimento che si rivelerà profetico, visto che nell’85 il Brasile tornerà alla democrazia, mettendo fine alla dittatura militare. Nella stagione 84-85 però, avviene il trasferimento in Italia di Socrates, accolto dalla Fiorentina con grandi aspettative, visti anche i 5 miliardi di Lire investiti su di lui. Rimase solo un anno nel Belpaese, non riuscendo mai ad ambientarsi veramente e a condurre i viola al successo, venendo accusato di essere troppo lento, troppo sudamericano per i ritmi più alti che già allora caratterizzavano i massimi campionati europei. Decise quindi di tornare in Brasile già dalla stagione successiva, nonostante avesse ancora 2 anni di contratto, andando a giocare nello stato di Rio de Janeiro, più precisamente nel Flamengo, prima di chiudere la sua carriera nel 1989 al Santos. Dopo il ritiro ha esercitato la professione da medico, oltre a molte altre cose. Nel 2004 è stato inserita nel FIFA 100, la lista dei migliori calciatori stilata da Pelè. Dedito all’utilizzo di alcool, iniziò ad avere problemi all’apparato digerente e al fegato. La sera del 3 dicembre 2011 fu ricoverato in ospedale per un’infezione intestinale, morendo il giorno successivo a causa di uno shock settico. Coincidenza del destino, morì il giorno in cui il Corinthians divenne campione nazionale, esattamente come Socrates disse circa vent’anni prima, quando affermò che avrebbe voluto morire di domenica, nel giorno in cui la squadra vincesse il titolo. Unico, inimitabile Socrates.