E’ appena passato un anno, da quando Simone Pafundi diventò il più giovane esordiente nella storia della nazionale italiana maggiore. Era il 16 novembre 2022, sulla panchina dell’Italia c’era ancora Roberto Mancini il quale stravedeva per quel piccolo trequartista di proprietà dell’Udinese. Cosa è cambiato da allora? Il ragazzo ha 84 minuti in più di Serie A nelle gambe. A partita? No, in totale.
Come dobbiamo considerare il fatto che un evidente predestinato sia regolarmente lasciato a scaldare la panchina, pure in un club che non ha certo l’obbligo tassativo di vincere come l’Udinese? E gli altri club italiani fanno forse meglio? Ma soprattutto, come appare la nostra gestione dei giovani talenti, se paragonata a quella di altre realtà europee come Spagna, Francia Inghilterra eccetera?
Simone Pafundi all’Udinese: gestito, protetto o sprecato?
Si potrebbe parlare diffusamente di questo argomento attingendo a cliché contrapposti, ne uscirebbe un pezzo infinito che vi troverebbe ora pienamente d’accordo, ora in totale disaccordo, ma soprattutto non aggiungerebbe nulla di più alla vostra vita e a ciò che pensate su calcio, giovani ed esperienza. Allora, partiamo dall’utilizzo che sta facendo l’Udinese di questo giovanissimo talento, per fare una panoramica su ciò che accade nel resto del calcio che conta.
Mentre scriviamo, Simone Pafundi fa parte della rosa dell’Udinese dalla stagione 2021/22. Da allora ha totalizzato 10 presenze per un totale di 106 minuti in campo, in Serie A. In questo frangente, le partite giocate dall’Udinese sono state 106.
Nel 2021/22, Pafundi aveva giocato anche 14 partite nel campionato Primavera, con 6 gol e 7 assist. Nella stagione scorsa, il ragazzo ha giocato 8 spezzoni di gara in Serie A, oltre a 8 partite in Primavera 1 (2 gol e 3 assist) e 2 in Coppa Primavera (1 gol e 3 assist). Nella stagione attuale, il suo tabellino parla di una presenza per 7 minuti totali in Serie A, e una in Coppa Italia per 53 minuti totali.
Nel frattempo, l’Udinese è passato da Gabriele Cioffi ad Andrea Sottil, per poi tornare a Cioffi poche settimane fa. Non è cambiato gran che il tipo di schieramento dei bianconeri, che in genere si schierano con un 3-5-2 o con un 3-5-1-1.
In quest’ultimo caso, sarebbe uno schieramento abbastanza adatto per provare Simone Pafundi, come appoggio a una punta centrale, stante anche la perdurante assenza di Gerard Deulofeu per grave infortunio. Tuttavia, per ricoprire questo ruolo (ma anche altri, vista la nota versatilità), l’Udinese a settembre ha richiamato in tutta fretta Roberto Pereyra. Il tucumano era svincolato, ma evidentemente la società ha ritenuto affidarsi all’esperienza del trentaduenne argentino, piuttosto che rischiare il 17enne Pafundi.
Pereyra, che peraltro stravede per Pafundi e lo ha preso sotto la sua ala, non è il solo calciatore di esperienza che ha tolto potenziali minuti al ragazzo. C’è Florian Thauvin, trentenne campione del mondo nel 2018 che era arrivato lo scorso gennaio dopo qualche anno trascorso in Messico. Il primo anno dell’ex Olympique Marsiglia non era stato esaltante: 16 presenze, 0 gol, 0 assist. Quest’anno è arrivato il primo gol, su rigore e alla nona presenza. In totale, da quando è all’Udinese, l’ex nazionale francese ha totalizzato 27 presenze in Serie A, con 1 gol su rigore. Evidentemente, questo rendimento non certo esaltante non è bastato, perché la società decidesse di concedere qualche occasione in più a Simone Pafundi.
EDIT: mentre usciva questo articolo, Simone Pafundi ha giocato in nazionale Under 19 Svezia-Italia. Il match è terminato 2-2, risultato che qualifica i nostri ragazzi alla fase Élite. I due gol portano entrambi la firma di Pafundi, il primo dei quali PARTICOLARMENTE BRUTTO.
Il rapporto del calcio europeo con i giovanissimi
Alcune analisi del CIES (Centro Internazionale di Studi sullo Sport) hanno recentemente mostrato dati davvero interessanti, sull’utilizzo che il calcio professionistico fa dei giovanissimi. Ce ne interessano in particolare due, uno che misura l’età media dei giocatori effettivamente scesi in campo, l’altra che mostra la bontà del lavoro dei vivai, misurando cioè la presenza dei giovani allevati dai club nelle principali competizioni nazionali e internazionali.
Analisi dei minuti in campo per fasce di età: il Chelsea è dei “pischelli”, l’Inter la più anziana
Il CIES ha calcolato, in percentuale, i minuti concessi dai club ai loro giocatori per fasce di età: 21 anni o meno, 22-25, 26-29 e 30 e oltre. Viene fuori un quadro in cui emergono abbastanza chiaramente scelte e strategie dei diversi club.
La recente forte difficoltà del Chelsea si spiega con il fatto di essere la squadra in assoluto più giovane. I Blues concedono il 28% dei minuti ai 21enni o meno, e il 50,5% a calciatori tra i 22 e 25 anni. In totale, quasi il 60% dei minuti di impiego di questa stagione è stato occupato da giocatori sotto i 26 anni. Tra le big, il Chelsea è ovviamente anche quella con l’età media in campo più bassa (24,9).
Il Barcellona, di cui parleremo tra poco, è in top 10 per apporto dei giovanissimi (24,9%), al 20% circa per le due fasce intermedie e al 35,3% per gli ultra trentenni.
Andiamo a vedere come distribuiscono i minuti le squadre italiane. Come era abbastanza prevedibile, le squadre che attingono maggiormente ai giovanissimi sono le piccole. Il Cagliari concede il 23,3% dei minuti totali ai minori di 22 anni, l’Empoli il 20,1, il Verona il 19,2.
Tra le big, l’Atalanta è quella che dà più spazio agli under 22 (18,1% dei minuti), seguita a debita distanza dalla Juventus (5,1%), Milan (4,3%), mentre Inter e Napoli sono in fondo rispettivamente con lo 0,9% e con lo 0%.
Per contro, i partenopei campioni d’Italia danno il 40% di spazio ai giocatori tra i 22 e i 25 anni, anche se Milan (56,5%) e Juventus (48,7%) fanno nettamente meglio.
Tra le big, quella relativamente più anziana è proprio la capolista e favorita numero uno per lo scudetto: l’Inter di Inzaghi, ultima per età media in campo (29,48) e prima per spazio concesso ai giocatori da 26 anni in su con il 79,3%. I nerazzurri sono primi anche per minuti concessi agli over 30 con il 39,5%.
Le squadre B servono?
Mentre in altri paesi calcisticamente avanzati le seconde squadre sono una realtà consolidata, in Italia sembra che quest’usanza fatichi molto a diffondersi. Solo quest’anno, dopo diverse stagioni, un club di Serie A si è aggiunto alla Juventus e alla sua Juve Next Gen militante nel girone B della Serie C. Si tratta dell’Atalanta, la cui U23 è iscritta da quest’anno al Girone A, sempre della terza serie professionistica italiana.
Che utilizzo fa la Juve della sua “Next Gen”? Nel 2021/22, vi aveva mosso i primi passi in Italia Matías Soulé, poi aggregato alla prima squadra nella scorsa stagione, seppur trovando pochissimo spazio. Il sudamericano ne sta invece trovando – e parecchio – in prestito al Frosinone, dove è letteralmente esploso. In precedenza, c’erano stati i casi di Nicolò Fagioli, Fabio Miretti e Koni De Winter. Tutti e tre hanno fatto l’intera trafila delle giovanili e uno o due anni in Next Gen. Fagioli e Miretti sono poi stati aggregati stabilmente ai titolari, anche se il loro utilizzo è sembrato più legato alla contingenza che a una reale programmazione di graduale inserimento. De Winter è invece finito in prestito al Genoa.
Quest’anno, dalla squadra B la Juve preleva ogni tanto due elementi: il trequartista Kenan Yildiz e il difensore Dean Huijsen, entrambi 18enni e che hanno già esordito in prima squadra.
I vivai e il caso del Barcellona
Voglio infine trovare una risposta alla domanda del titolo, seppur retorica. La risposta è che probabilmente sì, Simone Pafundi giocherebbe nel Barcellona, o almeno troverebbe più spazio. Senza fare confronti tra talenti, che già è scomodo di suo e risulta ancora più inopportuno tra giovanissimi, a fare la differenza è la strategia che si prefigge un club.
Il Barcellona, per esempio, ha sempre puntato molto sulla sua Cantera, il suo vivaio. Da qualche tempo, forse anche per le forti difficoltà economiche del club, è tornata a investire tanto e bene sui suoi settori giovanili. Il risultato è che i Blaugrana sono tra le squadre migliori nel secondo studio del CIES di cui vi accennavo. Si tratta di una analisi su quanti, dei calciatori allevati da un club, poi trovano spazio sia nello stesso club che in altri tornei e competizioni nazionali e internazionali.
I tre club con il miglior Training Index, il valore che evidenzia la bontà dei prodotti del vivaio negli anni, sono Ajax (108,1), Benfica (105,9) e Barcellona (104,8). La cosa è abbastanza strabiliante, se si pensa che Ajax e Benfica, nonostante le forti difficoltà dei lancieri in questa strana stagione, sono squadre che solitamente costruiscono le proprie fortune vincendo in patria, allevando talenti e vendendoli a peso d’oro alle big europee. Il Barcellona è invece un altro profilo di club, una di quelle big che i talenti a peso d’oro solitamente li compra. Ma in tutta evidenza li alleva anche, e bene.
Pensiamo a Gavi, ora gravemente infortunato ma che è diventato titolare inamovibile del club già a 17 anni. Gavi è un fenomeno, direte voi. Sì, ma la cosa si sta ripetendo con altri elementi. Il caso del sedicenne Lamine Yamal è eclatante, ok, ma anche il Alejandro Balde è diventato titolare della fascia sinistra di difesa a nemmeno 20 anni. E il 19enne Astralaga è ormai pronto a prendere il posto di ter Stegen in porta.
Ma anche pensando a domani e dopodomani, dal Barcellona B stanno venendo fuori altri talenti che molto presto vedremo in prima squadra. Parliamo del trequartista tedesco Noah Darvich (17 anni), del centrale Mika Faye (19 anni), il difensore centrale Pau Cubarsì (16 anni), il mediano Bernal (16 anni). Un vero tesoro, che il Barcellona non rischierà di disperdere per dare spazio a qualche mestierante di turno.