Non c’è storia d’Italia senza storie di pallone. L’abbiamo scoperto, ahinoi, col passare del tempo e dell’esperienza: troppo forte il connubio tra lo sport nazionale e la nazione stessa.
Troppo profondo, il legame tra il gioco e la terra d’appartenenza. E allora non sorprende che anche in tempi di Guerra, di Seconda Guerra Mondiale, qualcuno a La Spezia continui a volgere lo sguardo – e il cuore – verso lo stadio. Il Picco, quello del comune ligure: ai tempi del gran trionfo, inagibile per chiari motivi. Gli aquilotti si trasferirono sì a Rapallo, ma quella vittoria fu la resurrezione della città dei miracoli. E Italiano ne sa qualcosa.
Sì, perché neanche La Spezia era sopravvissuta alla tragedia, alla distruzione, alla paura di un conflitto che sottraeva anime e persone da un’Italia in procinto di crollare, sulle ginocchia e pronta a insorgere sulle fondamenta del proprio orgoglio. In quel 1944, con il campionato che stentava a decollare, si provava a infrangere il dominio del Grande Torino.
A La Spezia arrivarono Castigliano e Carapallese. Sulla panchina, Ottavio Barbieri. Che a Genova consideravano un mago.
Uno spirito diverso
L’Italia era profondamente divisa. In lotta costante con se stessa e con tutto il mondo. La Federazione spostò la sede a Milano e provò a distrarre il popolo arrabattando un campionato: venne su una divisione nazionale mista. Le regole erano chiaramente le stesse, ma con i viaggi così complicati si crearono gironi di zona: tre fasi diverse e per ogni vincitore del raggruppamento sarebbe arrivato l’approdo in finale. Nel gruppo D, quello emiliano, figurò anche lo Spezia: però era ancora tutto da ricostruire, metaforicamente e non. Il presidente, infatti, era stato catturato e mandato in un campo di concentramento. Non vi era una squadra, vi erano giocatori qui e lì, un unico gruppo su cui contare: quello dei pompieri.
Il comandante dei Vigili del Fuoco, l’ingegner Gandino, fu incaricato di allestire una squadra. E l’idea, furba, fu quella di mettere sotto contratto i calciatori dello Spezia, così da sottrarli dall’obbligo di leva. VV.F. Spezia: ecco il nome del gruppo, sotto la guida di mister Barbieri. Ecco una grande storia, che mette in fila: un’autobotte (mezzo di fortuna con cui si spostavano i calciatori), cipolle e polenta (pranzo ‘societario’, coi giocatori rinchiusi in caserma) e allenamenti tra un allarme bomba e un altro.
Non era semplice. Ma quei ragazzotti salvati dalla Guerra erano così riconoscenti da non lasciarsi abbattere da nulla. I ‘Vigili’ non ebbero problemi a vincere il proprio gruppo: batterono il Carpi, il Suzzara, il Modena. E con Lucchese e Montecatini fuori dai gioco, prima della finale di Milano c’era solo… l’impresa. Davanti agli spezzini il temibile Bologna: l’andata è in Emilia, ed è tirata, cattiva, con il pubblico inferocito. Al 79’ segna Rostagno, ma i tifosi felsinei non ci stanno e invadono il campo: sarà 2-0 a tavolino per i bianconeri. Il ritorno, impossibile da giocare nella città bombardata, si svolge al neutro di Carpi: ma i bolognesi non si presenteranno mai, per protesta, lasciando la fase finale ai liguri.
Come lo Spezia vinse lo scudetto
Tre squadre per tre partite: avrebbe vinto la squadra con più punti. Solo tre squadre a giocarsi uno scudetto difficile, miracolosamente arrivato alla sua assegnazione. Oltre allo Spezia, c’era il Venezia e soprattutto il Torino. Già grande. Grandissimo. La prima partita è sanguinosa e tirata per i capelli: contro i veneti, Tori regala il vantaggio ma nella ripresa Astorri recupera e sigla l’1-1 veneziano. Quindi, i granata. Una sfida senza precedenti. Anche per tutta la letteratura raccolta attorno.
Quella del Toro era infatti una ‘selezione’, a mo’ di nazionale Vittorio Pozzo aveva integrato alcuni giocatori italiani nel fortissimo gruppo granata. Prima della partita, l’ex commissario tecnico si avvicinò agli spogliatoi spezzini: “Bravi, ragazzi. Complimenti per il risultato, cercheremo di non infierire troppo”. Il virgolettato gli fu attribuito, non senza ironia, dai quotidiani dell’indomani. Quelle parole però colpirono immediatamente quella squadra di pompieri e sognatori: sarebbe stato difficile, ma erano mica lì per partecipare.
Bani, Persia, Borrini, Amenta, Gramaglia, Scarpato, Rostagno, Tommaseo, Angelini, Tori, Costa: questa, la formazione che fece la storia. Di Angelini il vantaggio ligure, di Piola il pari immediato. Ancora di Angelini il 2-1 che sancì il primo tempo sul filo di sirena. Nella ripresa, Valentino Mazzola fu a un passo dalla gloria: una traversa clamorosa lasciò intatto il risultato. E consegnò lo Spezia a un passo dal trionfo.
L’epilogo
Non era finita. E il destino tifava… Toro. Granata. Sì, perché se il Torino avesse superato il Venezia nella terza partita, i pompieri avrebbero vinto lo scudetto. Accadde tutto ciò: Pozzo silurò il Venezia per 5-2, e sulla strada del ritorno lo Spezia fu campione d’Italia. O meglio: campione della Coppa Federale del campionato di guerra. Non era dunque il regolare titolo, ad ammetterlo un comunicato della FIGC stranamente apparso dopo la vittoria dei Vigili del Fuoco. Seguito da un altro, arrivato 20 giorni dopo la fine del campionato, in cui si dichiarava che il titolo di campione d’Italia sarebbe rimasto al Torino.
Ovviamente, fu caos. C’era chi malignava sul potere in federazione del Toro, chi ne faceva una questione di nord e centro e sud, chi provava a far di tutto per cambiare una decisione a lungo irrazionale. Ancora oggi. Anni di lotte e di lettere, che trovarono un parziale riscatto il 22 gennaio del 2002: la FIGC accolse infatti le istanze dello Spezia, assegnando un titolo sportivo onorifico per la vittoria di quel campionato. Non fu uno scudetto riconosciuto, fu semplice via di mezzo. Che non ha mai accontentato nessuno.
Quest’anno, grazie all’impresa firmata Vincenzo Italiano, lo Spezia vedrà per la prima volta la Serie A. E mostrerà un distintivo speciale in ricordo di quell’impresa: lo scudetto cancellato, nel bel mezzo della Guerra più atroce di sempre. Chissà se passando per Milano, zona Arena, lo stesso spirito dei pompieri attraverserà pure i bianconeri. Di sicuro ha aiutato in B, di sicuro non sarà smarrito, di sicuro non avranno paura. Come in quel pomeriggio, caldissimo, di luglio…