Una delle frasi più banali e al contempo vere che ci siano sul calcio recita: football is not a science, il calcio non è una scienza. È indubbio che non lo sia. Per quanti schemi vengano ideati, o tattiche studiate giorno e notte dai migliori allenatori del pianeta, coadiuvati da uno staff di collaboratori preparatissimi, specifici, quasi accademici – se non addirittura astrofisici, Manchester City docet –, per quanto infine chi studia davvero le singole e generali situazioni di una partita di pallone parta avvantaggiato, il grande segreto (del successo) del calcio risiede proprio nella sua imprevedibilità.
Dal fattore tifo a quello atmosferico, climatico, dalla variante infortuni a quella delle ammonizioni/espulsioni, ma anche dalla grande giocata del singolo che, appunto, sposta gli equilibri. Potremmo continuare all’infinito, come all’infinito potrebbero protrarsi – almeno teoricamente – i calci di rigore nella lotteria che decide l’esito finale di una partita. Per alcuni scienziati, però, quest’ultima circostanza è smentita dai calcoli relativi alle probabilità.
I numeri del calcio di rigore
Un campione così ampio come quello fornito dai calci di rigore – un evento particolarissimo nel contesto di gara (o fine gara) – ha suscitato infatti, fin dai primi anni 2000, la scintilla scientifica di alcuni esperti che hanno voluto calcolare tanto il rigore perfetto quanto il profilo del calciatore perfetto da mandare sul patibolo a 11 metri dal proprio destino.
Partiamo da una semplice constatazione di ordine psicologico. Chi si presenta dal dischetto ha su di sé una pressione che nessun altro evento all’interno della partita può eguagliare – né ad esso avvicinarsi. Il motivo è semplicissimo. Chi calcia un rigore sente di non poter sbagliare.
È l’unica circostanza di campo in cui, infatti, il pallone è fermo, il tiratore può pensare, e davanti a sé non ha alcun tipo di barriera. Se non, chiaramente, quelli rappresentati dai demoni del calciatore: il palo, il portiere, l’errore.
Uno studio condotto su nove anni dall’InStat, che ha preso a campione 100.000 rigori calciati, in 1017 differenti tornei provenienti da 201 paesi diversi, ha fornito ad oggi lo studio più dettagliato sul tiro dal dischetto.
Rigori segnati | 75,49 % |
Rigori parati | 17,57% |
Rigori deviati | 4,07% |
Rigori sul palo | 2,87% |
Partiamo dalla prima e più elementare statistica. Il 75,49% dei rigori calciati, di norma, finisce in rete. Il 17,57% viene parato, solo il 4,07% viene deviato ma non parato, mentre il 2,87% finisce sul palo.
E il tiro alle stelle, o a lato? L’InStat non fornisce in questo senso una statistica perché la probabilità di questo evento è troppo bassa per essere presa seriamente in considerazione. Eppure, stando al tiro di Bale ai gironi contro la Turchia, il rischio è evidentemente sempre dietro l’angolo.
Ma pensiamo anche a quello di Gerard Moreno, che ha preso il palo sbagliano l’ennesimo rigore della nazionale spagnola – che nella storia degli europei è la squadra che ne ha sbagliati di più, i 2/3 del totale.
Quest’ultima statistica non è casuale. Secondo lo studio di cui sopra, chi ha sbagliato ha una probabilità altissima – sopra il 70% di sbagliare di nuovo. Caso opposto per chi invece è abituato a segnare. Il fattore esperienza e fiducia sono in questo senso cruciali.
Ciro Immobile, che dal dischetto è quasi infallibile, dopo aver sbagliato il rigore di quest’anno col Bologna fuori casa, ha sbagliato nuovamente in due diverse circostanze, abbassando decisamente la propria media realizzativa.
La scienza del rigore perfetto
In generale, il rigore perfetto è quello che sta a metà tra la potenza inaudita e la calma piatta. La velocità perfetta si aggira intorno ai 90 km/h, ma ciò che fa davvero la differenza è l’impatto col pallone. Prenderlo pieno, ma dolcemente, quindi preferibilmente di interno, aumenta di parecchio le probabilità di andare in rete.
Il 28% dei tiri forti, sopra quindi i 90 km/h, ha esito negativo. Per quanto non celeberrimo, negli ultimi anni il rigore perfetto lo calciava in questo senso Diego Perotti. Anche per un altro motivo. Quest’ultimo, come Kessié, o Berardi, per citare volti noti nel nostro campionato, tendono a guardare il portiere prima di calciare a rete. Fino all’ultimo. E fanno bene.
Secondo lo studio condotto da InStat, infatti, chi guarda negli occhi il proprio avversario ha una probabilità di segnare del 75,96%, chi non lo fa riduce quest’ultima al 69,25%.
E la corsa? Anche questa, chiaramente, fa la sua parte. Tralasciando lo stile, che varia da quello deciso e inarrestabile a quello eccessivamente calmo introdotto da Didì e sviluppato da Pelè col nome di Paradinha – la bella versione, tanto per intenderci, della rincorsa di Zaza contro Neuer nel 2016 –, ciò che più conta è il numero di passi.
Chi ne fa 5 prima di calciare realizzerà il rigore al 77,63%. Esistono le eccezioni, chiaramente. Come Beppe Signori, che calciava da fermo. Quasi sempre con esito vincente.
Riguardo l’angolo di tiro, il discorso qui si fa insieme più scontato e incredibile. Se è infatti comprensibile che chi calcia angolato si prenda un rischio maggiore, chi calcia centralmente ha il 20,6% di possibilità di sbagliare (!) il calcio di rigore.
Il rigore perfetto, da questo punto di vista, è quello in alto a sinistra e in basso a destra (83,53% di reti). I mancini sono più propensi a segnare un rigore (0,36% in più), probabilmente perché costituendo il 15% dei calciatori traducono questa caratteristica naturale in un effetto a sorpresa per il portiere. A proposito dell’estremo difensore, una ricerca condotta su 361 calci di rigore battuti ai mondiali dal 1976 al 2012, ha dimostrato che la maggior parte dei portieri soffre della sindrome dello scommettitore: a fronte di una serie di rigori calciati sempre dalla stessa parte, il portiere tende a tuffarsi sul lato opposto della porta.
Questo spiega perché, nell’ultima entusiasmante lotteria tra Villarreal e Manchester United in finale di Europa League, si sia arrivati addirittura al tiro dal dischetto dei portieri. Per avere quindi una maggiore probabilità di segnare, conviene calciare nella stessa direzione del compagno che ha battuto il rigore in precedenza: nel 55% dei casi il portiere si tufferà nella direzione opposta.
Effetto sorpresa e altri fattori del rigore perfetto
C’è poi chiaramente l’effetto a sorpresa, che alza la percentuale tanto dell’errore quanto paradossalmente del successo per la propria squadra. Chi calcia con un cucchiaio, anche detto Panenka dal nome del suo inventore ceco, segnando darà grande fiducia ai propri compagni, sbagliando potrebbe affossarli. Il rigore più brutto ma più efficace sembra invece essere quello dell’1-2 (il tiratore finta di calciare e la passa al compagno; se sei Cruyff le cose vanno bene, se sei Pires potrebbero andare male).
Ma i fattori in gioco non finiscono qui. Un altro importantissimo dettaglio è rappresentato dal lancio della monetina. Se ci è favorevole e la nostra squadra decide di partire per prima, la percentuale di vittoria si alza del 20%. Ma conta anche il colore della divisa. Secondo uno studio condotto sul campionato inglese, si è scoperto che negli ultimi cinquant’anni le squadre che giocano in casa con le casacche color rosso – elemento che aumenterebbe l’agonismo – vincono più spesso degli altri, anche ai rigori.
Finiamo con Stephen Hawking, che ha analizzato e approvato uno studio condotto dall’Università John Moores di Liverpool del 2009. Secondo lo studio, il rigore perfetto è quello preceduto da una rincorsa di 5-6 passi, calciato con un arco di 20/30 gradi e che mira ad uno dei due angoli in alto della porta – per la precisione, a 50 cm dall’incrocio dei pali – e scagliato in porta ad una velocità vicina ai 100 km/h.
Esiste l’identikit di questo calcio di rigore? Probabilmente si tratta di semplice megalomania inglese, ma a quanto pare il rigore che risponde perfettamente a questo criterio è quello di Alan Shearer del 30 giugno 1998, nel corso di Inghilterra-Argentina.