Nemmeno la più imponente crisi economica e sanitaria dal Dopoguerra ad oggi è riuscita a placare gli animi – e i portafogli – dei presidenti delle società di calcio.
Il calciomercato ha nuovamente bussato alla porta del pallone, e il pallone gli ha aperto un portone. Anche perché in un momento storico in cui i sogni appaiono ai più come il ricordo di un felice tempo passato, il solletico suscitato dalle star del mercato, tra scambi impossibili, nomi d’antologia e ritorni di fiamma, tiene viva la passione di milioni di calciofili.
È in una finestra di mercato come altre, in una stagione come le altre (quella del 2004), che Fabio Cannavaro passò alla Juventus degli Agnelli, di Giraudo e di Moggi, per una cifra che – comprensiva di uno scambio ai limiti dell’assurdo – ci appare oggi – come allora – assolutamente ridicola.
Uno scambio che corre sulla linea telefonica
Estate 2004 insomma e la Juve ha già movimentato il mercato con l’ingaggio di mister Capello dalla Roma che ha già fatto versare fiumi d’inchiostro sui giornali.
Serve un centrale difensivo, ma come sempre il diktat per Moggi e Giraudo è quello dell’indipendenza economica, che tradotto significa mettere sul tavolo idee e metodi diversi dalla volgare pecunia per arrivare agli obiettivi.
Si individua Cannavaro, che gioca però in una diretta concorrente e non si vuole rafforzarla con denaro fresco o scambi pericolosi.
Si individua quindi una strategia precisa: mettere l’Inter con le spalle al muro, facendo leva sul calciatore e il suo procuratore, magari facendosi aiutare anche da altri addetti ai lavori, come quel Raiola che sta portando Ibrahimovic dall’Ajax e che nella sua scuderia ha molti giocatori interessanti e quindi argomenti per convincere l’Inter ad ammorbidirsi.
Per confezionare il delitto perfetto viene individuato in Fabian Carini l’esubero da impacchettare verso Milano.
Partono le febbrili telefonate. Moggi chiede al giocatore di forzare la mano, di lamentare condizioni fisiche precarie. La società per un po’ prova a resistere, con Branca che mette il veto sul passaggio proprio alla Juve. Se Cannavaro vuole andare si accomodi pure, ma verso altri lidi.
A questo punto si passa all’attacco decisivo. La Juve abbozza un interessamento, ma è Cannavaro con il suo procuratore a mettere l’Inter davanti al fatto compiuto sotto l’abile regia di Moggi. I colloqui con Facchetti e Moratti sono perentori: Cannavaro non giocherà più con l’Inter e ha già un accordo con la Juve.
Trovandosi non più un centrale difensivo, ma un problema da risolvere, l’Inter è costretta a sedersi al tavolo delle trattative con la dirigenza juventina in posizione di svantaggio.
Viene così imbastito lo scambio Cannavaro-Carini, che pareva già sballato in quell’estate del 2004, ma che la storia s’incaricherà di rendere ridicolo.
La versione di Cannavaro
Beninteso, quello non era il Fabio Cannavaro che avremmo poi conosciuto e ammirato. Il Fabio Cannavaro dell’Inter arrivò alla Pinetina nel 2002, dal grande Parma dei fenomeni, per 23 milioni di euro. Una cifra non indifferente per le casse comunque ricche della famiglia Moratti.
La storia di Cannavaro all’Inter, come ricorderete, non ebbe però un felice seguito rispetto alla cifra spesa per assicurarsene il cartellino.
In due stagioni in maglia nerazzurra, Cannavaro prima non riuscirà ad incantare con le prestazioni, poi sarà costretto a diversi forfait, che rischiarono di comprometterne la carriera, tutti dovuti essenzialmente alla tibia, vero e proprio tallone d’Achille del difensore napoletano.
Nel frattempo, mentre Cannavaro cioè passava interi pomeriggi e sedute d’allenamento nelle mani dei fisioterapisti della Pinetina, Cordoba e Materazzi lo superavano nelle gerarchie, prendendogli quella titolarità che, a dirla tutta, egli non aveva mai meritato fino in fondo.
Eppure Cannavaro all’Inter voleva rimanere: «A Milano mi trovavo benissimo. Compagni, staff, tecnico, dal massaggiatore al cuoco. Era un ambiente perfetto in cui giocare serenamente e ad alti livelli». Cosa accadde allora?
Un oscuro secondo portiere
Due parole su Carini, l’oggetto della misteriosa contesa. Carini era un portiere uruguaiano classe 1979 che arrivò alla Juventus nel 2000. I bianconeri lo strapparono alla concorrenza agguerrita di Sergio Cragnotti, patron laziale, per la modica cifra di 18 miliardi di lire. Egli era un vero prospetto. Arrivare alla Juventus, però, per Carini, non significava – contrariamente ai piani di Moggi e società – prendere il posto titolare dell’uscente Edwin Van der Saar, bensì giocarsela partita dopo partita (crescendo di volta in volta) per una maglia in compagnia di un giovane promettente e proveniente dal Parma: tale Gianluigi Buffon.
La storia con Carini fu assai più severa: non solo egli non giocò quasi mai, ma Buffon ne oscurò anche la più flebile luce di speranza.
Carini così andò in Belgio, allo Standard Liegi, uscendo quasi subito dai radar del calcio europeo. Tra Coppa Italia e Champions League, Carini, con la Juventus, giocò appena otto partite. Zero in campionato.
Per questa ragione, lo scambio tra l’estremo difensore uruguagio e Cannavaro (10 milioni per 10 milioni), nonostante anche per la Juventus non ci fosse la certezza di prendere un difensore pronto al 100% fisicamente e mentalmente, risultò fin da subito assai curiosa per i tifosi nerazzurri. Rispetto alla versione raccontata da Cannavaro, ce ne è un’altra, altrettanto curiosa e degna di nota: quella di Fabio Capello.
Versione dunque differente e assai più dura di quella di Cannavaro. Si badi bene, Capello allenava la Juventus in quegli anni. Senza stare qui a congetturare chissà cosa, rimane però un fatto evidente.
Il dopo scambio
Le carriere di Cannavaro e Carini presero una piega totalmente differente. Quella del portiere uruguaiano continuò sull’onda lunga (o breve, che dir si voglia) delle stagioni appena trascorse.
Egli finirà in prestito a Cagliari prima di dare un inglorioso addio all’Italia, nel 2007, a parametro zero. Si trasferirà in Sudamerica, dove giocherà a livelli assai modesti, prima di ritirarsi nel 2017, a 38 anni.
Tutt’altro si deve dire di Cannavaro, che, nonostante le tristi vicende legate a Calciopoli che gli tolsero la gioia dello Scudetto con la Juventus regalandogli la retrocessione in Serie B, vincerà il Mondiale con l’Italia, da capitano, il Pallone d’Oro (uno dei soli 4 italiani a riuscirci) prima del trasferimento al Real Madrid.
Fino a un certo punto, almeno. Ma non è forse questa l’essenza del calciomercato?