In questo periodo, il nome di Maurizio Sarri è accostato a vari club: Torino, Milan ma anche Siviglia, che potrebbe puntare su di lui per la ricostruzione dopo la peggior stagione degli ultimi vent’anni. Dunque il tecnico toscano ha ancora un notevole appeal sul mercato, anche se la sua idea di calcio non gode più di una narrazione entusiastica come qualche anno fa e forse anche l’età inizia a giocargli contro, oltre a una certa componente utopica del suo sistema.
Abbiamo provato a immaginare se e dove il “Sarrismo” possa ancora trovare una dimora adeguata. Cosa che, come vedremo, è intrinsecamente difficile.
Sarri e i suoi detrattori, zittiti dai loro stessi argomenti
Massimiliano Allegri non è mai stato un detrattore di Maurizio Sarri, per ovvie ragioni di etichetta. Tuttavia, le parole di una sua famosa conferenza stampa sintetizzano bene il pensiero tipico dei cosiddetti anti-sarriani. Ecco cosa aveva detto: ” […] Nella vita ci sono le categorie: ci sono i giocatori che vincono e che perdono, dirigenti che vincono e no, allenatori che vincono e allenatori che non vincono mai. Cazzo, se non vincono mai ci sarà un motivo, Dio santo Dio! Nel gabbione a Livorno, lo dico perché io i tornei li vincevo tutti, ne ho perso solo uno. Ci sarà un motivo. C’erano altri ragazzi come me che vincevano sempre i tornei, e altri mai. Ci sarà un motivo se qualcuno vinceva sempre e altri no.” Poi aveva diabolicamente chiuso dicendo “Ora vi farei un esempio, ma non ve lo faccio sennò viene giù tutto.”
L’allusione a Sarri era quasi tangibile, visto che Allegri aveva appena vinto l’ennesimo scudetto con la Juve, davanti ancora una volta al Napoli. Che al timone aveva Ancelotti mentre Sarri era ormai al Chelsea, ma il tecnico livornese si era voluto comunque togliere un sassolino dai tempi del cosiddetto “scudetto perso in albergo”. Era il 17 maggio 2019 e, a quella data, l’unica vittoria di Maurizio Sarri da allenatore era la Coppa Italia di Serie D con il Sansovino, nel 2002/2003.
Si dà il caso, però, che il Chelsea di Sarri fosse in finale di Europa League, trofeo che avrebbe poi vinto il 29 maggio. Dodici giorni dopo quelle parole, già Max Allegri era stato smentito. E una seconda smentita sarebbe arrivata l’anno seguente, quello in cui Sarri si laureava per la prima volta campione d’Italia con la Juventus, proprio da successore di Allegri.
Dunque, se si analizza l’esperienza di Maurizio Sarri nelle big, scopriamo che i suoi detrattori cadono sotto il proprio stesso argomento principe: quello dei risultati. Due trofei in altrettante stagioni, dunque tutti zitti e buoni? No, perché la domanda successiva è: come mai, pur vincendo, a Londra e Torino Maurizio Sarri è durato solo un anno?
Il “Sarrismo” non è adatto alle Big?
Nella risposta a questa domanda, si cela forse il cuore del problema. Per comprendere meglio, prendiamo ad esempio la stagione più iconica nella carriera di allenatore di Maurizio Sarri: quella del Napoli 2017/18, dei 91 punti e del famoso scudetto “perso in albergo”. Una squadra offensivamente letale e molto gradevole da guardar giocare, forse quella che più di ogni altra ha incarnato il “sarrismo“, termine che lo stesso allenatore ha dichiarato di odiare, ma che ha inevitabilmente fatto la sua fortuna.
Quello che va sottolineato di quella squadra, è il dato sull’utilizzo dei giocatori. Tra tutte le competizioni (50 partite totali in stagione), il Napoli 2017/18 utilizzò solo 11 giocatori per più di 2000 minuti, 14 se prendiamo i 1000 minuti come soglia. In quello stesso anno, la Juventus aveva 16 oltre i 2000 minuti e 20 oltre i 1000. Perché questo dato è importante? Perché fotografa la comfort zone di Maurizio Sarri che, se potesse, giocherebbe quasi sempre con gli stessi.
Questo non si sposa però molto bene con società più ambiziose, che in genere sono abituate a dover gestire l’organico su più competizioni con l’idea di arrivare in fondo possibilmente in tutte. L’anno dopo, al Chelsea, Maurizio Sarri ha utilizzato 15 giocatori per più di 2000 minuti e 20 per almeno 1000 minuti, su un totale di 63 match stagionali. I risultati sono stati notevoli, perché al terzo posto in Premier League (con la terza rosa per valore globale) si è accompagnato il trionfo in Europa League, il primo per il club e anche il primo successo da professionista per l’allenatore toscano.
Arrivato alla Juventus l’anno seguente, Maurizio Sarri ha vissuto una stagione travagliata e non solo per via del Covid. Ad ogni modo, in 52 match stagionali, erano stati 13 i giocatori con più di 2000 minuti nelle gambe e 18 quelli con più di 1000. Risultati: scudetto (ad oggi l’ultimo conquistato dalla Juve) e una brutta uscita agli ottavi di Champions contro il Lione.
La obiettiva difficoltà a trovare o modellare gli interpreti perfetti per esprimere le sue idee di calcio, è forse la causa principale del ridotto uso degli effettivi a disposizione, da parte del tecnico toscano. Questo però non va molto d’accordo con club come Juventus e Chelsea, che hanno sempre in qualche modo “obbligati” a vincere o a giocare per vincere in tutte le competizioni a cui partecipano. In tal senso, Maurizio Sarri ha mostrato qualche problema nella gestione di spogliatoi grandi e “ingombranti”.
Secondo quanto emerso da varie biografie, interviste a anche una serie TV (quella di Netflix incentrata sulla Juve), Maurizio Sarri non aveva avuto il più indimenticabile degli impatti sullo spogliatoio bianconero. Le colpe non sono quasi mai soltanto da una parte e la rosa era certo appagata, oltre che abituata a idee opposte o quasi. Inoltre, Sarri non può certo dire di essere stato ben supportato dalla società, per usare un eufemismo. Ciò non toglie, tuttavia, che il tecnico abbia mostrato una certa difficoltà a gestire uno spogliatoio come quello e tante personalità forti.
Qualcosa di simile era avvenuto l’anno prima al Chelsea, dove per la prima volta erano emersi problemi legati all’intransigenza tattica di Sarri e alle sue difficoltà di comunicazione con buona parte della squadra. E non certo per problemi di lingua, ma più di empatia con i singoli che scatta o non scatta.
Maurizio Sarri, il bisogno di essere “antisistema” e il vizio del lamento
Al di là degli aspetti tattici e legati in generale al campo, c’è anche qualcos’altro, che Maurizio Sarri non ha potuto portare dal Napoli a Chelsea e Juve. Nel suo periodo partenopeo il tecnico era idolatrato come una sorta di nuovo Masaniello, una sorta di “Comandante” (così lo chiamavano i tifosi) per portare la rivoluzione nel calcio. La rivoluzione è qualcosa di anti-sistema per definizione, dunque il gioco delle parti non era in alcun modo traslabile in realtà più identificabili con l’establishment calcistico.
Alla Juve o al Chelsea non puoi lamentarti perché si gioca ogni tre giorni, men che meno puoi agitare alibi da complottisti. Questo, invece, è un vizio che Sarri non ha mai abbandonato, e infatti è tornato puntuale nella sua ultima esperienza da allenatore: quella alla Lazio. La società biancoceleste non può certo dirsi estranea all’establishment, con il quale il presidente Lotito ha un rapporto simile a quello di Jep Gambardella con le feste.
Infatti, da subito, il matrimonio di Sarri con la Lazio non era sembrato dei più naturali, diciamo. A Roma, tuttavia, Sarri ha ripreso le vecchie abitudini: il 2022/23, nettamente il suo migliore anno alla Lazio, lo ha concluso utilizzando 14 giocatori per più di 2000 minuti e appena 15 per almeno 1000 minuti. Non sorprende affatto, dunque, che con una rosa anche numericamente non proprio rinforzata, l’attuale stagione sia stata una sorta di mezzo calvario, fino alle dimissioni. Un gesto, quest’ultimo, estremamente raro e che comunque dice molto, sulla dignità della persona Maurizio Sarri. Che rimane un anti-sistema nel midollo, ma sempre per conto suo, senza intenzioni di trasformarsi in capo-popolo.
Torino nuova dimora del “Sarrismo”?
Tra il Torino, il Milan e il Siviglia, il futuro di Maurizio Sarri potrebbe essere nuovamente in panchina. Per quanto riguarda i rossoneri, il profilo di Sarri sembra quello più affascinante, ma rimarrebbero da risolvere le questioni di personalità e carattere del tecnico, la cui indole si è finora dimostrata poco adatta a contesti dalle grandi aspettative come le big. In tal senso, molto dipenderà da quanto eventualmente il management lo scelga in maniera convinta, appoggiandolo in un programma almeno triennale come non gli è stato concesso altrove.
Il Siviglia è un’altra sfida intrigante, che permetterebbe al tecnico di mettersi alla prova in un terzo grande campionato. Anche in questo caso, dipende molto da quanto il management vorrà investire su di lui per provare a rivivere un’era come quella di Unai Emery.
Alla fine, forse, la realtà più su misura per Maurizio Sarri potrebbe essere il Torino. Lì troverebbe una proprietà con una buona capacità di spending, delle ambizioni europee ancora tutte da costruire e una ottima base di partenza da un punto di vista dell’organico. Poi il tempo dirà se Sarri cadrà nuovamente nel “loop” che si è visto alla Lazio: ovvero fare di tutto per qualificarsi alle competizioni europee, per poi lamentarsi l’anno seguente dei troppi impegni.