Le parole di Dusan Vlahovic dopo Salernitana–Juve sono state attente, pacate, un po’ affannose, ma solo per lo sforzo fisico. Non certo per il concetto. DV9 è stato di una chiarezza unica, portando nel suo discorso il massimo esempio, cioè quello del campo.
“Non molliamo nulla – ha spiegato -, qui mi aiutano tutti”. Un titolo che vale un urlo. E poi una duplice considerazione: la Juve, che pure sembrava non possedere il pedigree della pretendente al titolo, è lì grazie a una forza che pare più umana e non esclusivamente calcistica. Da una parte c’è il gruppo, la sostanza, quell’esserci l’uno per l’altro; dall’altra c’è un atteggiamento caratteriale che la Juventus ha sempre avuto. Serviva ricostruirlo. E ricostruire non è mai semplice.
Salernitana-Juve: Allegri, Danilo e la ricostruzione del DNA
Anche qui vengono in soccorso alcune dichiarazioni, di un altro personaggio tutt’altro che banale. Danilo, il capitano, ha citato Allegri e non l’ha fatto certo per tenersi il posto: ha voluto rimarcare il concetto di tempo, pazienza, di processo. Che altrove e negli altri sport è sicuramente più utilizzato (e abusato), che nel calcio sembra non trovare posto. Tutto e subito, ma perché?
“Il mister ha detto qualcosa di molto importante sulla ricostruzione – ha spiegato Danilo -: non si fa così e in poco tempo, ci vogliono mesi, anni per ricostruire una mentalità vincente e importante. Ora le cose andranno un po’ meglio, i ragazzi avranno più fiducia”. Vincere aiuta a vincere. Ma a vincere aiutano pure gli atteggiamenti. E in questo senso sembra davvero che Allegri abbia dato una raddrizzata clamorosa. Pensate alle partite frustranti dello stesso Vlahovic, a come sembra trasformata la sua attitudine in campo. Pensate all’incidenza dei cambi: a Salerno, senza Chiesa e Cambiaso (più Locatelli), i migliori della precedente sfida di Coppa Italia, la Juve è riuscita ugualmente a portarla a casa. Con una determinazione unica, che si fa terreno fertilissimo pure per la crescita dei giovani.
In questo senso, aver trovato un Yildiz con una dimensione – già – da prima squadra, dovrebbe far sorridere e non poco Massimiliano Allegri. Bravissimi a scovarlo, bravo il tecnico a lanciarlo nel momento giusto, ma è stato come trovare un regalo sotto l’albero: un anno e mezzo per scartarlo con cautela, poi è esploso in tutto il suo valore. E in tutto il suo lavoro. Preziosissimo. Con un elemento così forte, e così di disturbo sulle difese avversarie, la Juve si è ritrovata il giocatore di cui aveva bisogno. E l’ha fatto senza dover passare dal mercato. Ha cercato Berardi, ha ri-pensato a Bernardeschi, ha fatto un paio di conti su Sancho. Alla fine, l’ha spuntata il talento della Next Gen: 18 anni, contratto fisso fino al 2027, futuro che canta.
Salernitana-Juve: perché le vittorie sono state così diverse?
Non ha incantato come altre volte – ha trovato molta meno continuità all’interno della gara, ecco perché -, ma Yildiz resta un elemento ormai determinante di questa squadra. Dribbling, corsa, giocate. Giocate-chiave, poi. Pronti, via e a Salerno quasi gli riusciva la stessa giocata del match di Coppa. Uno slalom da sinistra, pur defilato, che stava per valere almeno un calcio di rigore. Poi non concesso. Decisioni arbitrali a parte, è il gesto che conta. Ed è la sfacciataggine con la quale questo giocatore si sta prendendo responsabilità, impegni e minuti. Alla Juventus.
In tanti, certo, immaginavano un finale diverso all’Arechi. Il 6-1 dello Stadium aveva evidenziato valori troppo differenti, stracciato quasi ogni chance alla Salernitana. Pippo Inzaghi, punito nell’orgoglio e reduce dalle mani sul volto al fischio finale di Torino, stavolta l’ha studiata bene e ha voluto affrontare il suo vecchio allenatore (mai amato) con armi molto simili: stretti a difendere, orgoglio smisurato, proviamo la giocata. E la giocata era riuscita a Maggiore, che poi ha compiuto l’ingenuità più grave di tutte: ha peccato di generosità andando a fermare Rabiot. Il francese non aspettava altro, e quella giocata lì, che ha cambiato la partita, ha voluto condividerla persino sui social. Valore: oltre il gol, ben oltre. E’ stata la molla decisiva, ha fatto scattare il carattere della Juve.
Juve che fino a quel momento non aveva mai trovato gli stessi spazi raccolti a Torino, quando le distanze tra i calciatori bianconeri erano sembrati corridoi di un aeroporto: vastissimi, facilissimi da raggiungere. Senza la spinta sugli esterni (male Kostic, non benissimo Weah), la squadra si era rintanata in un giropalla lento e senza sbocchi. Yildiz, l’unica corrente alternata, era spesso marcato a vista: oltre due incursioni non è riuscito ad andare. Quindi il gol altrui, la beffa e… l’occasione del destino. Che c’è sempre, e c’è poco da fare. In questa stagione sembrano contare più i fattori esterni rispetto alle vittorie, ai punti fatti, alle sensazioni del campo. Lo scudetto sarà una lunga corsa e le squadre in testa sembrano aver parecchia paura di scivolare sul più bello.