A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, il calcio di provincia s’era impossessato di un fascino indescrivibile. Noi ci proveremo, ma la reale sensazione è che per capire, per capirlo fino in fondo, bisognerebbe tornare nel tempo. E che tempo, quello, per il calcio italiano. Che pullulava di fuoriclasse, dentro e fuori dal campo. Soprattutto tra quelli a gestire e ordinare le fila.
Chi ricorda Romeo Anconetani? Più di 40 anni dopo, è un nome che fa parte di un’eredità di personalità, ma i più giovani continuano a ignorare la sua storia.
Acquista il Pisa nel 1978, Anconetani. Lo lascia nel ’94, a suo discapito con un fallimento alle spalle. E il Pres. era tutto: polemico, forte, pronto sempre a illuminarsi e accendersi. Trattava gli allenatori come qualche vecchia conoscenza di oggi, era così scaramantico da non credergli. E i giocatori li amava, li amava alla follia.
La storia
Era toscano, ma la carta d’identità diceva Trieste. Nasce nel ’22; a 30 anni il Prato lo prende e lo rende segretario. Nel 1955, il primo scricchiolio del suo carattere da tuttofare: provò a cambiare le sorti di Poggibonsi–Pontassieve. Era corruzione e fu radiato a vita. Sembra finita, ma la storia è appena iniziata: riesce a trovare una licenza della camera di commercio di Pisa, da mediatore, creando da zero una professione che oggi fattura milioni, milioni e ancora milioni.
Del resto, cos’è il genio? Romeo Anconetani lo era, pure un bel po’. Al ‘Gallia’, sede delle trattative, aiuta l’arrivo di Selmosson a Roma, porta Claudio Sala a Torino. Guadagna il cinque percento da ogni affare, presto può costruire una casa dei suoi sogni a Pisa. E tante altre. Ma vivendo all’ombra della Torre, la proposta di Rota gli sembra funzionale anche per i giri del destino: acquistare la società nerazzurra, della quale sarà proprietario (ma non presidente) fino al 1982. Dopo la vittoria del Mondiale, c’è l’amnistia e torna a dirigere in prima persona il club.
Pisa sono io
Da padrone si fece padre, ma con una mano decisamente pesante. Ha cambiato, in 16 anni, 22 allenatori. Fu Boniek a “rubargli il cuore”: tre ore e mezzo dopo la firma, se n’era già andato. Raccontano anche i giornalisti che Anconetani non è mai stato gentile, nemmeno con loro.
Aveva la mania di controllare e il terrore di essere controllato. E coi giocatori, che dire? Un giorno era il loro migliore amico, quell’altro faceva sentire loro tutto il peso della sua ‘dittatura’. Bastone e carota, ma senza opzione di preavviso. Ogni giorno era una storia nuova.
Aveva una dote molto chiara, Anconetani. Sapeva riconoscere il talento calcistico. In pochi ricorderanno l’olandese di ferro, Kieft: ebbene, lo acquistò per 760 milioni e rivenduto a 5 miliardi. Ancora Berggreen, il grande colpo per la Serie A. Ma soprattutto Carlos Dunga, poi campione del mondo nel 1998. L’aveva preso per 600 milioni, la Fiorentina lo riprese per un miliardo. Anche Diego Simeone finì nella sua ragnatela, tanto per capirci.
Scaramanzia, ma non solo
C’è una parte della sua vita che è fatta di pura scaramanzia. Del tipo? Una volta portò tutto il gruppo alla Madonna di Montenero: volti scurissimi, solo Anconetani capì l’importanza di quel momento e di quella storia.
O anche una scena alla Oronzo Canà diventata realtà: e cioè lo spargimento di sale sull’erba dello stadio Garibaldi. Era dicembre del ’90, c’era una partita col Cesena con l’aria di essere tremendamente decisiva. 26 chili, alla fine, ed ebbe ragione perché il suo Pisa non diede scampo ai romagnoli. Anzi.
Pisa era lui, e lui soltanto. Da Anconetani passavano tutte le notizie, aveva la presunzione di correggere anche i giornalisti, di dar loro le imbeccate giuste così da conservare l’illusione di avere una stampa totalmente a favore. Una volta litigò pesantemente con il cuoco del club, andò in cucina e gli spiegò come cuocere un certo tipo di pasta. Ad alta voce.
L’eredità
I conti si fanno sempre alla fine, e Anconetani n’è sempre stato lieto. Quattro promozioni in Serie A, in totale, e poi la Mitropa Cup. Fino al 1994: il fallimento fu grosso, per certi versi pure grottesco. Arrivò a causa di un dissesto finanziario a cui nessuno riuscì a mettere una pezza. E Anconetani era un pezzo grosso del calcio, fatto di nemici ma soprattutto di amici. Genoa e Milan lo accolsero come consigliere, ma il carattere del Presidente fece il resto. E il calcio andava troppo, troppo veloce per un uomo ancorato a determinati ideali.
Se ne va cinque anni dopo la caduta. Nel 1999. In silenzio, totale, dopo una settimana di coma a seguito di un brutto male con cui provò a combattere. Pisa si chiuse nel suo dolore e nei ricordi, ma quella è una storia che ogni tanto rimbomba ancora, tra stradine, università e… il Garibaldi. Si vocifera che, nelle partite più importanti, qualche granello ancora lo lancino dagli spalti. Aveva ragione Romeo. Il Presidente.