Il 25 aprile del 2010 Roma si ferma di nuovo. Il Colosseo, risorto dalle ceneri neroniane, svetta attento l’orizzonte giallorosso. La Lupa e Romolo, nell’attesa, sembra quasi che escano dall’impalcatura marmorea, vestito regale di una città a capo del mondo (caput mundi).
Il 25 aprile del 2010 la Roma di Claudio Ranieri, figlio anch’egli dell’eterna città, è ad un passo da un titolo che manca da 9 anni. Per vincere a Roma devi o fregartene di tutto (Nils Liedholm con la sua Roma di Falcao) o essere un mercenario (Fabio Capello e la sua Roma scudettata del 2001). Se una battaglia, o peggio una guerra, la combatti con un esercito di indigeni, una volta su cento la vinci. Il più delle volte, non solo la perdi, ma ne esci ad ossa rotte.
Quella sera l’Olimpico si prepara ad una partita che, nuova e insperata giovinezza per il popolo biancoceleste, per la sponda laziale del Tevere, rappresenterà, al termine dei novanta minuti, quasi una morte per il popolo giallorosso, per la sponda romanista del Tevere.
Immaginatevi per un secondo quel clima così contrastante, rarefatto e magari addensato, ma separato da una linea invisibile: da una parte l’euforia giallorossa, pronta ad esplodere in una festa senza confini; dall’altra la depressione biancoceleste, pronta a sfociare in un suicidio di massa. La Lazio quell’anno gioca per salvarsi da una retrocessione che avrebbe del clamoroso – Reja la salverà dall’ecatombe.
La Roma lotta testa a testa contro l’Inter di José Mourinho, la stessa che a fine anno potrà dirsi tra le poche squadre di ogni tempo a vincere il Triplete (Campionato, Coppa e Champions).
Roma d’assalto
Protagonista inaspettata – e non invitata – del dramma è la Sampdoria che se la lotta per un posto in Champions League – lo otterrà, salvo poi retrocedere la stagione successiva, mutila dei due fenomeni Cassano e Pazzini, autentici Bruto e Cassio di quella serata giallorossa. Quoque tu, Cassano, figlio mio. E il Pazzo sta lì, mica a volere la luna, come il romano Caligola, ma a prendersela proprio, scippandola al cospetto degli dèi romani.
Decimo minuto di gioco. Totti, l’ultimo gladiatore di Roma, difende un pallone spalle alla porta sul limite corto dell’area di rigore; la gira senza guardare alle sue spalle imbeccando Jeremy Menez. Il francese calcia forte in mezzo, come viene. Storari agguanta quel pallone, e la difesa blucerchiata fa il resto, mettendola in angolo. Primo brivido sulla schiena dei tifosi doriani (e laziali, e interisti).
Dal corner successivo, schema sensazionale dei giallorossi: scarico al limite dell’area di rigore, cross eccezionale di Menez in mezzo, sale male la difesa della Sampdoria: Juan gira in rovesciata, sfiorando il palo alla destra di Storari. L’Olimpico ci crede, perché la Roma ha fede e gli dèi sembrano dalla sua.
Minuto 13, la Roma preme. De Rossi scambia con Pizarro a centrocampo, sulla palla di ritorno del cileno DDR sponda di testa con grande intelligenza, trovando al limite il rimorchio di Perrotta, che di destro, in mezza rovesciata, tenta la gran botta: il tiro esce forte ma centrale, blocca Storari. Siamo fermi sullo 0-0.
Minuto 14, è un assedio. Vucinic imbecca Totti che imbecca Vucinic. Scambio tra fuoriclasse, col montenegrino che si presenta al limite dell’area di rigore, pronto a puntare il proprio marcatore. Palla a rimorchio, invece, dove Totti, di sinistro, sopraggiunge e calcia di prima intenzione, di sinistro, trafiggendo Storari, dichiarato cuore giallorosso. Anche se inconsciamente, c’è anche il suo battito ad accompagnarsi a quello dei milioni di romanisti a palla nel sacco: la Roma è in vantaggio, ha segnato il Capitano.
Ventesimo. La Roma ha fame di leoni da squartare, ma di fronte ha mere parvenze leonine; piuttosto, si direbbe che di fronte ha delle pecore impaurite. Cassetti in mezzo, bucano tutti, Vucinic raccoglie al limite, imbucata da maestro per Totti, che calcia di sinistro e prende il palo (e Storari, che inizia lì la sua grande serata).
La Samp prova a rispondere, più per orgoglio personale che per un prestabilito piano di gioco. Zauri dalla destra la mette in mezzo alla come capita, imbeccando Pazzini, chiuso da Juan, ma il pallone rimane lì; ci si fionda Cassano, che calcia a botta sicura, ma Burdisso gli si sdraia dinnanzi, respingendo il pallone e la paura dell’Olimpico, che sospira dopo questa clamorosa occasione. Si rimane dunque sul punteggio di 1-0 per i giallorossi.
Trentesimo. Pizzarro alla battuta di una pericolosa punizione dalla trequarti campo. Palla che spiove nel mezzo, batti e ribatti, arriva Menez che pulisce la sfera con la consueta classe, calcia dritto verso la porta avversaria, Storari respinge come può, Totti al volo; fuori di un soffio. Incredibile doppia palla gol per la Roma, che inizia a mangiarsi una discreta quantità di occasioni. La pagherà carissimo.
Quarantatreesimo. Da un rinvio sbagliato e superficiale della difesa doriana, il pallone che capita sui piedi di Pizarro diventa – come spesso accade – un assist al bacio per Vucinic, che si avventa verso la porta avversaria e calcia dai 14 metri, in diagonale; Storari tocca con la punta delle dita, mettendo in corner. Altra ghiotta palla gol per la Roma.
Accade l’imponderabile
La ripresa inizia senza cambi, ma tutto cambia.
Passano appena sette minuti e la Roma, nonostante il relativo controllo, subisce il gol del pareggio. Cassetti arriva tardi su un pallone che viene spizzato di testa in direzione di Cassano. Fantantonio punta l’avversario dal limite dell’area di rigore, rientra sul destro, ne ha tre addosso, allora va sul sinistro e la mette in mezzo; Pazzini svetta di testa dopo essersi divorato John Arne Riise, tutt’altro che argine in quella situazione; niente da fare per Julio Sergio.
La Roma è stata appena ferita dalla coppia più forte del campionato – per reti segnate. L’esultanza del Pazzo è una memoria che rimarrà per sempre nel cuore dei tifosi laziali, interisti e romanisti. 1-1. Magia di Cassano e rete di Pazzini. Il campionato è riaperto.
Minuto 20. Menez e Totti se la scambiano al limite, provando ad inventarsi uno spazio dove neanche la polvere riuscirebbe a penetrare; ma Menez penetra e calcia di destro. Questa volta era davvero impossibile; esterno della rete e forte ma fugace illusione del gol per i 70.000 dell’Olimpico.
Ventitreesimo. Pizarro la butta in mezzo, sul secondo palo arriva l’appena subentrato Toni, l’eroe di quel Roma-Inter che aveva ridato speranza ai giallorossi; il colpo di testa del Luca campione del mondo non è preciso, Storari la tocca quanto basta per poi riprenderla, bloccando in due tempi una sfera più scivolosa del solito.
Al 31’ Vucinic decide di diventare un cavallo furioso. Gli aurighi sono i tifosi della Roma, che lo spingono in una cavalcata davvero epica. Il serbo ne salta tre, tutti provano – senza riuscirci – a stenderlo; ma quando arriva davanti a Storari, Vucinic fa appena in tempo ad allungare il gambone, provando a spaventare l’impavido portiere blucerchiato, che blocca in due tempi in uscita bassa. Si rimane sull’1-1.
Minuto 36′. L’epos qui raggiunge una vetta difficilmente reversibile. Siamo vicini alla bandierina, lato destro del campo, sotto Curva Sud. Taddei manovra con cura la sfera, affidandola alla sapienza calcistica di Totti; il capitano giallorosso la difende spalle alla porta, scaricandola a sua volta sull’accorrente John Arne Riise, che ha qualcosa da farsi perdonare. Il mancino del norvegese è un missile terra-aria da letteratura nordica, ma Storari è un campione; il suo volo è insieme plastico e per i fotografi, efficace e divino. Basta un tocco delle dita per deviare quanto basta un pallone che sembrava indirizzato sotto la traversa del portiere blucerchiato. Miracolo vero.
Quarantesimo. Con la Roma tutta avanti, alla ricerca del 2-1, la Samp può approfittare degli spazi ora generosi. Mannini riceve dunque un pallone sulla sinistra, è un tre contro tre. Palla in mezzo di Mannini col sinistro, simile a quello di Cassano in occasione del pareggio, ma questa volta rasoterra: tanto basta a Pazzini per buttarsi con una stirata alla Paolo Rossi sul pallone vagante. Palla alle spalle di Julio Sergio, ora quasi in lacrime come il compagno di squadra Menez. Mano sugli occhi per il Pazzo, che ha bussato due volte alla porta giallorossa, trafiggendola in entrambe le occasioni.
Cala il sipario sullo Scudetto della Roma, che da quel giorno cesserà di poter anche solo sperare un traguardo simile.