Che nessuno si azzardi a definire in termini amorosi Barcellona vs PSG del 14 febbraio 2017.
L’associazione con la festa di San Valentino è troppo semplice, ma la realtà dell’evento troppo distante. Altro che amore, altro che romanticismo. Barcellona contro PSG è stato un massacro, una partita di una violenza inaudita. Certo, l’amore può essere violento e Cupido, scagliando le sue frecce in direzione del di-lì-a-poco innamorato, lo trafigge. E ancora, è vero che Eros e Thanatos (morte) sono come gemelli, diversi nell’uguaglianza. Ma, di nuovo, alla festa del Santo è associato l’amore agapico, non di certo quello erotico. E lo stesso Luis Enrique, allenatore di quel Barcellona, aveva chiesto nei giorni che avevano preceduto la partita un Camp Nou ‘bollente’. Andò meglio, all’allenatore spagnolo, perché lo stadio più che bollire quella sera ha ‘ribollito’.
Di più ancora: ha creduto. Credere nel calcio non è un elemento secondario. Negli altri sport credere può essere persino nocivo. Crede, infatti, colui che non ha voglia di migliorarsi, o quell’atleta che affida al destino e alla buona sorte, più che alle proprie capacità, la causa dei propri (in)successi. Nel calcio non funziona così. Il calcio infatti è perlopiù uno sport di popolo. E non a caso Luis Enrique ha tanto battuto sul fatto che la possibilità di una remuntada (apparentemente impossibile) passasse necessariamente per la fede del suo popolo. Di rimonte, il Barcellona ne aveva conosciute. Ma mai nessuno prima di quella sera, nella storia di questo incredibile sport, era riuscito a ribaltare un 4-0 rimediato all’andata di una fase a eliminazione diretta della Champions League.
«1% di possibilità… 99% di fede».
Neymar Junior, 15.2.2017
Luis Enrique, comunque, qualcosa a livello tattico – e quindi meramente sportivo – lo aveva cambiato rispetto alla gara d’andata, quando al Parc des Princes un PSG prossimo alla perfezione si era imposto col risultato di 4-0 demolendo non solo il Barcellona ma quella idea di Barcellona, definitivamente tramontata al triplice fischio. O, perlomeno, così sembrava a chiunque. Forse anche ai giocatori del Paris, alcuni dei quali rivivranno lo stesso incubo cinque anni dopo contro il Real Madrid.
Luis Enrique, il colpo di coda del Barcellona di Guardiola, aveva scelto il 3-4-3 con ter Stegen tra i pali, Mascherano, Piqué e Umtiti dietro con Rakitic, Busquets, Iniesta e Rafinha a centrocampo. Davanti, la MSN: MessiSuarezNeymar. Li uniamo come fossero un’unica essenza, sorta di trinità pallonara, questi tre fenomeni. Ma ognuno di loro risulterà decisivo a sé in questa partita. E uno su tutti, Neymar Junior, brillerà quel giorno di una luce d’elezione. Come la mano di Dio si stende sul capo dei profeti, così quella sera la lunga mano di Eupalla poserà le sue dita sul nome del calciatore brasiliano potenzialmente più forte della storia verdeoro. Per una sola notte, per una singola prestazione, Neymar è stato il calciatore più forte di ogni tempo.
I primi 45 minuti: il Barcellona parte forte, il PSG si difende come può
Che potesse essere una serata leggendaria, lo si è capito subito. Dopo 3’, un batti e ribatti in area di rigore fa carambolare il pallone sulla testa di Luis Suarez, lesto dall’area piccola a scavalcare Kevin Trapp in uscita. 1-0, con 87’ davanti e tre gol da rimontare, certo, ma anche con un Camp Nou già in preda ad un’estasi collettiva.
Per altri 37’, tuttavia, il PSG regge l’urto dei padroni di casa blaugrana. Almeno fino al 40’, appunto, quando su un pallone filtrante di Suarez imprendibile per chiunque, Iniesta anticipa Marquinhos per poi rimettere al centro dell’area un pallone pericolosissimo grazie ad un colpo di tacco volante eseguito grazie ad una piroetta inspiegabile. Un gesto tecnico geniale, quello di Don Andres, che la svirgolata imberbe di Kurzawa faceva rocambolare in fondo al sacco per il 2-0 del Barcellona.
Mancano ancora due reti, ma mancano anche più di 45’ alla fine dell’incontro. Unai Emery si gira verso la panchina e chiama a scaldarsi Angel Di Maria, che all’andata aveva incantato. El Fideo entrerà al 55’ al posto di Lucas Moura, cinque minuti dopo il gol di Lionel Messi dal dischetto, che aveva portato l’incontro sul 3-0 tra lo stupore generale.
Gli ultimi 30 minuti: il PSG la chiude, il Barcellona la riapre
A questo punto l’impresa si trasforma da impossibile a possibilissima, anche perché il PSG sembra vittima di un tracollo nervoso. Poi, però, al 62’, i giochi si richiudono. Edinson Cavani detto El Matador, che aveva colpito il palo qualche secondo prima, sfrutta una splendida sponda di Kurzawa all’indietro per l’uruguagio, che calcia di collo esterno come viene, spaccando la porta e mandando a casa le enormi speranze di remuntada blaugrana. Sul Camp Nou scende un silenzio sfocato unicamente dal vociare costante e tambureggiante dei tifosi parigini, tornati improvvisamente a respirare dopo 62’ in apnea mista a pianto. Luis Enrique si siede in panchina, disperato. La panchina del PSG, al contrario, entra tutta in campo, in un valzer di movimenti contrapposti che fotografa i sentimenti delle due squadre in quel momento. La partita procede così, senza squilli di trombe ma con una parata miracolosa di Ter Stegen su Cavani, di piede, fino al minuto 88. Ne mancano due al termine, ne mancano sette in totale considerando il recupero. Nel frattempo, nel Barcellona sono entrati André Gomes, Arda Turan e Sergi Roberto.
Prima, però, torniamo al minuto 88. I teologi di Eupalla lo indicano come ‘il numero di Neymar Jr’, quello nel quale il fuoriclasse brasiliano ha deciso di mostrare al mondo perché il Calcio lo ha scelto. Siamo appena fuori dal limite dell’area di rigore, ma molto spostati sulla sinistra. Trapp, che eccede in hybris, ne posiziona appena 3 in barriera. Neymar con una naturalezza sconvolgente li supera e piazza il pallone sotto l’incrocio dei pali. Il portiere tedesco neanche si muove, ma accenna a cadere sulle ginocchia. Sembra un sintomo di resa, ed è strano, perché il PSG sul 4-1 ha ancora due reti di vantaggio da custodire.
Gli ultimi 4 minuti: il miracolo
Ma il tempo sembra fermarsi in quell’istante. Il Camp Nou riprende coraggio, che diventa fragore quando sempre Neymar, due minuti più tardi, realizza un calcio di rigore per fallo su Suarez. Mancano 4’ alla fine, e il Barcellona è sul 5-1.
Minuto 95. Neymar calcia nel mucchio un pallone al di qua della metà campo blaugrana. Tutti nel mucchio, anche ter Stegen, ma la palla la prende Rabiot. La sfera capita nuovamente sui piedi di O Ney. Verratti esce su di lui, ma con pochissima convinzione. Neymar lo supera con un dribbling rientrando sul mancino, che non è il suo piede preferito. Ma non conta. Il pallone scodellato dal brasiliano in mezzo è un cioccolatino che va solo scartato. La palla è dentro. Chi ha segnato? Messi? Suarez? Iniesta è uscito. Piqué? No, Sergi Roberto, che esulta come il bimbo che è dentro ognuno di noi per partite come questa. Che non si possono neanche sognare, perché non esistono. Una partita così non esiste, e forse non esisterà mai più nella storia del calcio. 6-1.
«È una notte difficile da spiegare a parole», dirà Luis Enrique dopo la partita. «È stato un film horror, non un film drammatico, con un Camp Nou come lo avevo visto poche volte da giocatore o da allenatore». Altro che San Valentino.