A leggere certe cifre, oggi, viene da chiedersi se un solo giocatore – quindi un uomo soltanto – può cambiare il destino, e il corso, di un campionato. Fino a che punto, cioè, l’acquisto di un singolo calciatore è in grado di mutare la qualità di un intero collettivo?
Capita così di interrogarsi, con quella nostalgia tipica d’ogni vero calciofilo, sul prezzo di quei giocatori che nel passato furono pagati poco, pochissimo, addirittura nulla, pur valendo almeno qualcosa, moltissimo o molto. El Chino Alvaro Recoba, uruguagio classe ’76, arriva al Venezia a zero, in prestito dall’Inter di Gigi Simoni, che in lui non vede la luce – o piuttosto il lumicino, dato che Recoba, prima di approdare in Laguna, non gioca che una manciata di partite a Milano.
Trattasi di prestito, certo. Niente di definitivo, niente di irrimediabile. Se non fosse che Recoba, da gennaio a fine stagione, cambia da solo – o quasi – il volto del Venezia di Novellino, portandolo dall’acqua fonda della zona retrocessione al sole della salvezza, rischiando persino l’inserimento nell’ultimo posto valido per le Coppe Europee del nostro campionato. C’è dell’altro. La stessa Inter dovrà pentirsi amaramente di quel lascito indolore – forse uno come Recoba avrebbe fatto bene, di tanto in tanto.
L’Inter è pazza, e il suo presidente di più. Non però così pazzo. Recoba tornerà all’Inter l’anno dopo, farà numeri da grande giocatore senza tuttavia smentire la sua fama di fenomeno senza fame. Quell’indole negligente e pigra, insolente fino all’abbandono, che caratterizza l’uruguaiano, lo ritroviamo come tratto tipico (del calcio) degli anni Novanta. Un’epoca di sospensione; un’epoca epocale.
Il Venezia torna in Serie A
Ma andiamo con ordine. Corre l’anno 1998. Il Venezia è stato promosso dalla Serie B l’anno precedente, arrivando in pole insieme alla Salernitana. Il “Penzo”, la casa degli arancioneroverdi, rivede la Serie A dopo un trentennio di salite e discese – più queste che quelle. Zamparini presidente, Marotta dg. Basta già così. Ma in campo ci vanno i giocatori, non i patron, non i dg.
In attacco c’è un ragazzone dal capello lungo e dal sorriso contagioso. È il signor Stefan Schwoch da Bolzano, idolo incontrastato del “Penzo”, arrivato sul gradino più basso del podio dei cannonieri con diciassette reti l’anno della promozione. E dietro di lui?
Dal Milan arrivano il portiere Massimo Taibi e Filippo Maniero, dal Bologna Carnasciali e dal Vitoria Bahia il difensore Bilica. Il centrocampo viene rinforzato con due pedine fondamentali come Volpi e Valtolina, mentre la scommessa è l’attaccante brasiliano Moacir Bastos, detto Tuta. C’è tanto mestiere in questo Venezia, ma manca la stella.
Il campionato inizia malissimo con gli arancioneroverdi sconfitti all’esordio a Bari (1 a 0). Al debutto in casa arriva il Parma, partita nella quale i Leoni riescono a raccogliere il primo punto in classifica. Le seguenti giornate, però, sono tremende: arrivano tre sconfitte di fila contro Roma, Milan e Perugia, prima del pareggio con l’Udinese e di altri due ko contro Bologna e Fiorentina (4 a 1 senza storia a Firenze). Un bottino poverissimo. Il Venezia è dato dai molti come già in Serie B.
Poi, però, accade l’impensabile. Al Penzo arriva la Lazio dei campioni – quella che Ferguson saluterà come “la squadra più forte mai incontrata in carriera”, tanto per intenderci. Non è ancora l’anno dello Scudetto, è vero, ma i biancocelesti iniziano a fare le prove. Quella partita è fondamentale per il tecnico Novellino. Walter è in bilico e, conoscendo l’indole di Zamparini – indole che non cambierà ma anzi si acuirà col tempo –, ad un passo dall’esonero. E invece.
Accade che dopo 5’ la sblocca Pedone. Dopo un’altra buona mezz’ora arriva persino il 2-0 con Tuta. Non è uno scherzo. Per la Lazio è un incubo, per il Venezia è l’inizio del sereno. Tre punti così, contro una delle squadre più forti del nostro calcio (di sempre), in casa, danno una carica incredibile. Ma la realtà è durissima. Non arriva la svolta, tutt’altro. Il Venezia riprende a perdere, e a gennaio si alza la mattina sapendo di trovarsi nei bassifondi della classifica.
L’acquisto di Recoba
Qui entra in gioco Marotta, ma anche il ds Di Marzio e, ovviamente, Zamparini. I tre decidono per un colpo che, se fosse fatto a inizio anno, farebbe sognare i tifosi. Ma i tifosi, più che sognare, vogliono svegliarsi dall’incubo. Servono punti e servono adesso. Da questo punto di vista – col senno di oggi – Recoba non è affatto l’uomo adatto. Certo, è un fuoriclasse. Ma è ancora acerbo e vuole solo giocare a pallone. Vuole divertirsi.
Vincere non è nel suo sangue; giocare a calcio però lo è. Immaginatevi anche i tifosi del Venezia, immedesimatevi nei loro panni. Sei ad un passo dalla Serie B e, per risolvere i tuoi problemi, ti affidi ad un ragazzo uruguaiano dal viso di cinese. Chi non avrebbe quantomeno titubato? Specie se pensiamo che nello stesso momento in cui El Chino arriva, Il Bolzano se ne va.
Ricapitolando, e fuori di soprannomi, nella finestra di mercato di gennaio, dopo la pesantissima sconfitta contro l’Inter per 6 a 2, la dirigenza decide di intervenire andando a prelevare proprio dai nerazzurri un giovane uruguagio che si presenta a Venezia “solo” con le tre perle della stagione precedente (due delle quali all’esordio, nel giorno dell’attesissimo Ronaldo). Per far spazio a Recoba, viene sacrificato l’eroe della promozione: Schwoch firma per il Napoli.
La rimonta del Venezia
Restituire quel Venezia, dal prima al dopo Recoba, non è possibile farlo a parole. C’è senza dubbio un prima, e c’è senz’altro un dopo. I lagunari iniziano a fare punti. Recoba lo vedi spesso partire dalla trequarti con quella sua andatura indimenticabile; dentoni all’infuori come il collo del mancino a velare il pallone, poi svelato – spesso e volentieri – in rete.
Lo vedi partire e non tornare, spesso, se non per festeggiare coi compagni un altro gol. Assist, gol, poco importa. È una meraviglia. Quel mancino fa invidia al Signore, e ne è grazia al contempo. Quando calcia imprime nel pallone tutta la garra uruguagia; quando filtra per i compagni ha l’eleganza di un cigno bianco in uno stagno scuro. Ora, il cigno è El Chino, e lo stagno è il Penzo.
Ci sono almeno due partite che raccontano quella clamorosa rimonta del Venezia, ad un passo dalla B e, a fine anno, ad un passo dall’Europa. Entrambe in casa. Entrambe con una toscana, entrambe epiche.
A Venezia arriva l’Empoli di Arturo Di Napoli. Le speranze di salvezza passano da partite come questa, “abbordabili” almeno sulla carta. Ma la carta vola e il campo rimane. L’Empoli si porta subito avanti per 2 a 0. All’intervallo sembra già di poter mettere la parola fine sulle speranze di salvezza dei padroni di casa, ridotti in dieci uomini dall’espulsione di Bilica al minuto 37. È un inferno. Ma God created Football. E l’intervallo.
Nella ripresa, dunque, accade l’impensabile: Valtolina accorcia al 54’, riportando gli arancioneroverdi in partita. Recoba a quel punto monta il cavalletto e inizia a dipingere calcio. Con la classe che lo contraddistingue. Quando manca meno di un quarto d’ora al triplice fischio pareggia Maniero, prima dello show finale. All’86’, sul risultato di 2 a 2, Recoba scaglia un pallone a centro area per lo stesso Maniero, che si inventa un meraviglioso colpo di tacco che termina in rete.
È la rivincita di Pippo, dopo la grigia stagione al Milan. Qui però Maniero va addirittura oltre. Quel gol non solo è fondamentale per il destino dei Lagunari, ma è anche un capolavoro estetico. È il gol del vantaggio. È il gol che significa -1 dalla salvezza e che, soprattutto, dà la svolta al campionato dei Leoni.
Di lì in avanti, difatti, i lagunari macinano un punto dietro l’altro, battendo Bari (con puzza di combine sfiorata ma – casualmente?! – mancata), Roma, Perugia e Udinese, prima del match interno contro una Fiorentina che nutre ancora speranze di titolo. Siamo al secondo miracolo. Questa volta senza co-protagonisti. Questa è la partita che consacra Alvaro Recoba al calcio mondiale.
In un Penzo stracolmo per l’occasione va in scena un match memorabile. I viola sono forti, in porta c’è Toldo e davanti Batigol, ma in campo non c’è partita. Di fronte a Batistuta, uno dei giocatori più forti del pianeta terra, un alieno si rivela ai terrestri: il suo nome è Recoba. Undici il numero della maglietta, nere le scarpette, lungo metà stinco il calzettone, sorriso radioso e calcio miracoloso. Sono tre, quel giorno, i gol di Recoba. Due dei quali su calcio di punizione.
Clamoroso. Ma non troppo. Perché se è vero che Venezia è una città situata nel mondo occidentale, è altrettanto vero che la sua storia è una storia di orientali ortodossi fuggiti da Bisanzio per costretto amor d’avventura. E d’avvenire. È quindi anche e soprattutto la storia di un cinese che, icona rovesciata di Marco Polo, rimane grandiosamente uruguagio nel sangue. E veneziano di Spirito.