“E’ un peccato che questi ragazzi si siano fermati in finale”. La frase, pronunciata dall’allora Re Juan Carlos, raccontava il grande gesto dei giovani giocatori del Castilla, squadra B del Real Madrid, con cui gli stessi blancos avevano giocato l’epilogo della Coppa di Spagna.
Una partita unica nella storia del calcio iberico, che i ‘cachorros blancos’, cioè i cuccioli della Primavera, avevano raggiunto dopo aver superato sette eliminatorie con squadre dure e pericolose.
Partendo dall’Extremadura e l’Alcorcòn, poi il Racing e quattro proprie della Liga: l’Hercules, l’Athletic di Bilbao, la Real Sociedad e lo Sporting – in quest’ordine – guadagnandosi il soprannome di ‘Matagigantes’, cioè ammazza grandi.
Le ultime tre, prima del finale
Ancora oggi, ai protagonisti di quella corsa vengono gli occhi lucidi. Giustamente. La prima volta in cui capirono che la storia si stava spalancando sotto i loro occhi fu alla prima, grande vittoria contro l’Herculés, ai tempi peso massimo della Liga. 4-1, netto e diretto. Soprattutto, bello da vedere.
Dopo aver superato gli alicantini, il sorteggio non fu benevolo: arrivò l’Athletic.
Al Bernabeu, i rojiblancos portarono a casa uno 0-0 decisamente benevolo. Al ritorno, Pineda bucò il San Mamés con due gol memorabili. Raccontò in seguito: “Vincere in quello stadio, farlo per 1-2… beh, non ci salutò nessun calciatore avversario. Nessuno ci diede la mano, ma il pubblico ci trattenne in campo e ci applaudì. Quello fu davvero indimenticabile”. Se non lo sapete, recuperate presto: uscire tra gli applausi dal tempio di Bilbao, se non si è baschi, è dato soltanto ai veri eroi.
Una grande esperienza, messa subito da parte perché la storia non aspetta. Arriva come occasione, e va colta all’istante. Poco dopo, altra chance di brillare e ancora contro una big: c’è la Real Sociedad, eliminata senza dover ricorrere all’aiuto divino, solo per la legge del più forte. In semifinale, lo Sporting di Gijon.
Il percorso
Pazzesco davvero. Sociedad battuta con una prova maiuscola: un 4-0 netto al Bernabeu dopo aver perso 2-0 a El Molinòn. Una squadra pronta a tutto, che giocava con la spensieratezza di chi non aveva nulla da perdere, ma il mondo da guadagnare. Qual era il loro segreto? Probabilmente, parlando di pura qualità, quel Castilla non è stata la versione più forte delle riserve del Madrid: ma era una squadra, era unita. E a quell’unità sapeva accompagnare tutto ciò che si può apprendere e sognare (sin da bambini) in un ambiente come quello del Real.
La finale. La finale era contro i fratelli maggiori. E ne parlava tutto il mondo. Si può parlare di sfortuna in questo caso? Per i protagonisti dell’epoca, senza dubbio: “Doveva esserci l’Atletico, avremmo sicuramente vinto”, le parole di Castaneda, capitano di quel Castilla. Del resto, fu celebre una frase di Luis Aragonés, fresco allenatore dell’Atletico, prima del sorteggio delle semifinali: disse di preferire la versione A del Real da affrontare subito e quasi indolore. Vedeva qualcosa di molto pericoloso in quei tremendi ragazzi a un passo dalla storia.
La finale
La finale si giocò il 4 giugno del 1980 in un affollatissimo Bernabeu. Il pubblico aveva il cuore diviso: da un lato volevano vincesse il Real A per avere semplicemente un titolo in più, ma dall’altro si percepiva quanto questi ragazzi avessero fatto breccia nei tifosi. In tanti, insomma, erano anche lì per vedere il Castilla giocare. Ovviamente, i grandi blancos non persero di vista ciò che importava: sin dal tunnel degli spogliatoi, facce concentrate e sensazioni da partita vera.
Quella che poteva essere una partita tra amici – del resto, molti giocatori del Castilla venivano prestati alla prima squadra per gli allenamenti – divenne una gara vera, combattuta, sentita. Il Real A andò in campo con determinazione anche perché la stampa aveva iniziato a mettere parecchia tensione, specialmente dopo quanto mostrato dal Castilla. Ipoteticamente, i blancos si chiedevano: se vincono i giovani, poi cosa succede? Passerebbero avanti? Dunque, in campo non erano intenzionati a fare particolari sconti: ovviamente, la differenza tra le squadre era netta e si fece sentire tutta.
Ci fu tempo anche per le polemiche, ben prima che l’arbitro decretasse la vittoria del Real Madrid, con un risultato senza storie come quel 6-1 fissato su tutti i tabellini. Racconta Agustìn: “Sono stato l’unico a non fare la foto di famiglia. Mi diede fastidio che i dirigenti entrarono nelle scelte dell’allenatore, decisero che avremmo giocato con tranquillità, che era una festa, mentre gli altri giocarono con il coltello tra i denti. Ruppi una porta e mandai tutti a quel paese. Non abbiamo mai giocato come avremmo potuto e dovuto”. Effettivamente, tra emozione e sorpresa, il Castilla giocò davvero male: blandi e apparentemente bloccati, dopo i primi 15 minuti di sfogo d’adrenalina, il Madrid venne fuori con qualità. Con grande qualità. Ponendo la parola fine a una storia che ancora oggi, tra i Davide e i Golia, raccontano ben volentieri.