Il 9 novembre scorso, José Mourinho puntava il dito contro un giornalista, tale Marco Juric, per una domanda dai toni polemici sui primi sei mesi dell’allenatore giallorosso a Roma: «Tu vieni qui praticamente sempre, però o sei molto intelligente e vuoi far passare l’immagine di chi non lo è, non lo sei o non sei intelligente. Io voglio pensare che tu sia intelligente e che ti piace fare quello che fai».
Qualche anno prima con parole pressoché identiche (ma seguite da diverse testate sul tavolo) Luciano Spalletti commentava l’ennesima provocazione nei suoi confronti. In entrambi i casi, il giornalista era un inviato delle radio romane.
Allenare una squadra di Roma significa innanzitutto fare i conti con una città che va alla messa per diletto e ascolta la radio come fosse il Vangelo. Se n’è accorto anche Maurizio Sarri, che alla prima conferenza stampa da allenatore della Lazio ha commentato – più o meno sarcasticamente – l’amore dei tifosi nei suoi confronti: «Io non ho i social, per me i tifosi sono quelli che mi parlano faccia a faccia durante la settimana». Nessuno lo aveva ancora istruito a sufficienza sul modus operandi del tifoso laziale – ma in parte anche di quello romanista: sfogarsi in radio, commentare h24 voci, rumors, polemiche montate ad arte e analisi più o meno serie (a seconda del palinsesto) sulla squadra del cuore.
Come spiegare le radio romane
Come si spiega, da un punto di vista storico, questo fenomeno? Partiamo da una constatazione di carattere sociologico sulla città di Roma. Roma è una città provinciale a cui è stato imposto di essere metropoli. Non è possibile parlare di questa città come si fa con Milano, Londra, Parigi. Roma è il Vaticano, però è anche il Senato, le Camere e il Parlamento della nostra nazione. Roma è il Papa, ma è anche forza Roma e forza Lazio. Insomma, è più cittadine, cittadelle, nella stessa città. È antichità nella modernità, è Sapienza nell’accento romano.
Da un punto di vista cronologico, invece, le radio romane hanno anticipato – certo, nella misura in cui Roma significa il mondo intero – il fenomeno dei social media.
Attraverso le radio i tifosi della Lazio hanno riunito 6000 persone per impedire il trasferimento di Signori al Parma. Attraverso le frequenze dell’etere, Galeazzi ha abbandonato la postazione di commentatore del tennis per andare a festeggiare lo scudetto del 2000. E così la voce della rottura tra Spalletti e Totti, prima che essere ufficiale, è arrivata alle radio romane e romaniste (che per inciso sono più di cinque).
Chi popola le radio romane? Partiamo dagli ascoltatori: personaggi leggendari, esistenti nello spazio fiabesco della frequenza radio per soli tre minuti a settimana; vere e proprie icone del chiacchiericcio pallonaro della capitale.
Guai a contraddirli, potrebbero saltare delle teste. Dai dirigenti ai giocatori, dal presidente all’allenatore: per Roma ci si deve necessariamente confrontare con le radio che ne monopolizzano il dibattito calcistico. Nel bene e (spesso) nel male.
Aldo Fabrizi, romanista fino al midollo, chissà cosa avrebbe detto delle radio romane. Non ne abbiamo diretta testimonianza, ma i suoi versi ce ne fanno intuire l’opinione.
Viene quasi da immaginarselo, Fabrizi, insieme alla sorella Elena, la celeberrima Sora Lella, lazialissima, a discutere animatamente di Roma e Lazio davanti a un piatto di tonnarelli. D’altra parte, tra i due non correva buon sangue – si racconta che Aldo disse un giorno a Carlo Verdone: «Ma tu che ci trovi in mia sorella? Quella è buona solo a cucinare» (hai detto poco aldaré, ndr).
Il campanilismo via etere
L’astio tra laziali e romanisti, certo, non è sminuito dalle radio, che anzi ne alimentano i rancori reciproci, tra battutine costanti e interventi in casa degli altri.
Non è raro sentire laziali chiamare (il più delle volte, ascoltare) radio romaniste, come non è raro il contrario. Quello delle radio romane è un potere che aleggia sulla città come lo Spirito Santo, invisibile ma sempre presente.
Non porta pace come quest’ultimo, ma guerra, ansia, sfottò costante, derby tutto l’anno, provincialismo gretto e maniacale. Che Lazio e Roma rimangano due provinciali non può che favorire il chiacchiericcio delle radio romane. Forse è per questo che gli arrivi sulle due panchine di Mourinho e Sarri, oltre ad aver smosso qualcosa a livello ambientale, hanno anche confuso le acque.
Perché sono qui? Cosa vogliono? Come comunicano? Le radio romane, all’arrivo dei due allenatori, hanno sgranato gli occhi sfregandosi le mani per benino: un intero anno di ascolti era già garantito dai due nomi.
Il folklore delle radio romane, splendido dall’esterno, lo è meno per chi lavora dall’interno. Fabio Capello, nel luglio del 2020, consigliava a Paulo Fonseca di non ascoltarle mai, neanche per scherzo, le radio romane: «Io parlavo solo con quelle nazionali. Devi stare fuori da quelle cose lì». Lui che ha vinto a Roma, certo, un segreto doveva pur averlo. E che Mourinho abbia subito messo in chiaro le cose rispondendo in quel modo al giornalista di TeleRadioStereo dovrebbe far riflettere.
Le radio, a Roma, sono come lo specchio della sua gente (e dei suoi tifosi): «A Roma è così: quando vai bene ti esaltano, quando vai male cadi nell’inferno». Capello parla di Roma, in generale, ma chi è dentro la città sa bene che tra giallorossi e biancocelesti la pressione è sensibilmente differente. Per ragioni storiche e numeriche.
Basti pensare che, al di là della celebre trasmissione “Te la do io Tokyo”, condotta da “Marione”, Mario Corsi, in onda dal 1998, per Radio Incontro, al momento sei radio ospitano palinsesti dedicati alla squadra giallorossa: Roma Radio, Rete Sport (dedicata esclusivamente alla Roma), Centro Suono Sport, Elle Radio, Tele Radio Stereo, Radio Radio.
«I giocatori non devono essere influenzati. Tutti gli allenatori che hanno allenato a Roma dicono che le radio sono un problema». Figuriamoci adesso, poi. Se il coronafootball sta affossando il calcio, al contempo sta rialzando gli ascolti delle radio.
A beneficio delle stesse e a detrimento degli addetti ai lavori di Roma e Lazio. Nonostante il monito di Capello, infatti, è indubbio che i giocatori e gli allenatori di Roma e Lazio ascoltino le radio romane. Questo è un segreto di Pulcinella (a proposito di un’altra città, Napoli, che rivive in parte lo stesso fenomeno, certo in scala ridotta rispetto a Roma).
L’ultimo presidente americano della Roma, James Pallotta, che tra le altre cose aveva costretto due radio romane alla bancarotta, aveva detto: «Ora ne rimangono solo nove (sic!). Con il supporto e il beneplacito della Curva Sud, che non lo ha mai amato ma che sul tema si esprimeva piuttosto eloquentemente qualche tempo fa: «RADIO ROMANE TUTTE P******». Questo è un fatto curioso, se ci pensate. Chi grida alla rivoluzione fa parte del sistema.
È un paradosso solo se non si conosce il romano e la città di Roma, inferno che anela al paradiso. Anche il compianto Gianni Di Marzio, elogiando Simone Inzaghi – per la gestione della pressione ambientale – ha parlato di Roma come di una piazza «che ti assilla con le radio». Se vedete più rilassato Inzaghino, all’Inter, non è mica solo per la qualità della squadra che allena. Roma ti prosciuga.
Tra gli anni Novanta e i primi Duemila, le radio romane si sono imposte sulla scena calcistica della città come un vero e proprio fenomeno mediatico, anticipando – con centinaia di migliaia di ascoltatori al giorno – il folklore delle discussioni social che oggi arricchiscono il dibattito calcistico pubblico – tanto partecipato quanto sempre più lontano dall’azione delle tifoserie (quell’azione che, come abbiamo detto, esplodeva in un batter d’occhio attraverso la voce pubblica delle radio).
Tanto Pallotta quanto Lotito hanno provato a fondare una radio ufficiale del club, ma con scarsissimo successo. Comunque sia, le radio romane sono e rimarranno sempre un luogo imprescindibile per i tifosi di Roma e Lazio, difficili da capire, lontani anni luce gli uni dagli altri, ma assimilabili nella tradizione orale delle radio, vero e proprio tratto identitario della città eterna.