Sembra una di quelle storie composte dalle deviazioni della vita, come fossero mondi paralleli che a un certo punto s’intersecano. Ma è tutto vero. O meglio: sarebbe stato tutto vero se solo… Se solo Silvio Berlusconi avesse avuto l’opportunità di andare fino in fondo. Raro, ecco, che non gli sia capitato. Rarissimo, sì, che non abbia spinto poi così tanto.
Però tra il pallino per il calcio e l’ambizione di contendere (anche pubblicamente) un pezzo d’Italia con la Famiglia Agnelli tramite un pallone, Silvio aveva posto la base per un futuro da vincitore sul rettangolo verde e non solo dietro una scrivania. Non l’avrebbe fatto tuttavia con la sciarpa rossonera attorno al collo, non avrebbe – probabilmente – costruito l’epopea di Sacchi e quella degli Olandesi: l’obiettivo era acquistare l’Inter e renderla al pari, forse oltre, l’epopea di Moratti senior. Non ci riuscì.
Ma questa non è una storia esclusivamente imprenditoriale: non ci sono bolli, carte, assegni da firmare. E’ una storia prevalentemente di sentimenti, come quelli che popolavano la nazione intera nel 1982, anno del Mundial spagnolo, delle tv che spopolavano (in tanti ne avevano acquistate di nuove, a colori, per vedere la Coppa del Mondo e le gesta di Paolo Rossi) e di un guizzo apparentemente elementare eppure ancora tutto da costruire.
Se il calcio attirava così tanto, allora costituiva automaticamente un bacino di pubblico fondamentale per gli schermi. Berlusconi immaginò la combo: entrare in un mondo, dopo aver stravolto pure l’altro.
L’idea di acquistare l’Inter
Dunque, 1982. Silvio Berlusconi si guardava attorno, fiutando l’odore dell’affare e cercando un modo di massimizzare quell’intuizione. Naturalmente, la prima musica che uno ascolta è quella del cuore. E il cuore diceva Milan. E il Milan diceva tutto, praticamente un sogno. Perché, allora, Silvio finì quasi per acquistare l’Inter, o almeno coltivarne l’intenzione? Qui subentrano altri sentimenti, di diversa natura.
La leggenda, mica tanto leggenda, narra che al seguito di Berlusconi c’era un chiaroveggente, di nome Moro. Moro gli aveva sconsigliato di acquistare il club rossonero: il motivo era tanto semplice quanto incredibile, praticamente gli avrebbe portato “sfortuna”. Berlusconi aveva seguito il consiglio e di conseguenza aveva desistito, non perseguendo l’acquisto, naturalmente con enorme dispiacere.
Sì, perché Berlusconi è sempre stato milanista. Ultra milanista. Aveva dichiarato, poco dopo, di avere sangue rossonero nelle vene e che le tante vittorie per lui rappresentavano la chiusura di un cerchio. Quello della passione. Dal Diavolo però non passò al Biscione, non in un attimo. Conoscendo la situazione di Fraizzoli, all’epoca patron nerazzurro reduce da 2 scudetto in 15 anni, si presentò con l’avvocato Vittorio Dotti negli uffici interisti di via Carducci.
Fraizzoli – racconta Dotti ne “L’avvocato del diavolo”, libro di memorie con B. protagonista – lo accolse con una certa curiosità. Berlusconi gli parlò del progetto di rendere grandissima l’Inter; d’altronde, le disponibilità economiche erano alte, avrebbe ben pagato l’acquisto della squadra. Tutto sembrava combaciare, tranne una questione d’onore: Berlusconi aveva già spifferato di essere tifoso milanista, parecchio tempo prima. Per Fraizzoli, anche questa, fu una storia di sentimenti.
Il passaggio al Milan
Per capire quanto contarono quei sentimenti, ecco, basti pensare alla celerità del passaggio di consegne che arrivò poco dopo: l’Inter fu sì ceduta, ma a Ernesto Pellegrini.
E Silvio? Avrebbe pagato di più, però Fraizzoli disse di no. Anzi, gli consigliò: “Perché non compera il suo Milan?”.
Consiglio che si rivelò prezioso, che dovette però attendere 4 anni prima di concretizzarsi. Berlusconi acquistò i rossoneri salvandoli dal fallimento, vincendo tutto, 29 trofei in totale, ben 26 nei 20 anni da presidente e 3 negli 11 anni di vice presidenza vicaria di Adriano Galliani.
A proposito del Geometra dalla cravatta gialla: in tanti conoscono la sua vecchia passione per la Juventus, poiché da buon brianzolo e tifoso del suo Monza non osava tifare per le cugine d’altissima borghesia. Eppure, davanti alla chiamata del Presidente, non riuscì a esitare: subito dentro i piani del Milan.
Lo stesso Dotti rivela che Michele Persechini, il cuoco di fiducia di Silvio, era nerazzurro fin dall’infanzia e fece le fortune anche dei rossoneri. Infine, Paolo Berlusconi, il fratello e uomo d’affari importantissimo nella grande Milano: nerazzurro pure lui.
Il cambio di casacca non tardò ad arrivare, ma si può dire che Berlusconi, pur nell’incoerenza di partenza, ha superato tutti gli ostacoli del cuore per vincere tantissimo. E in pace con se stesso.
Prendendo il Milan Berlusconi non ha solo rivoluzionato la sua idea di partenza: ha rivoluzionato il calcio portando una concezione nuova, che fino a quel momento non si era mai vista applicata ad una squadra di pallone.
Lui che del pallone era un amante, legato sempre al concetto di bel giuoco, come amava dire, ha esportato con il suo Milan una doppia rivoluzione, legata anche ad una diversa concezione del calcio italiano, diventato in Europa sinonimo anche di spettacolo, per la prima volta.
Una delle tante sliding doors di questo sport, ma anche di una vita romanzesca, che Berlusconi ha vissuto fino all’ultimo secondo.