Parlano la stessa lingua dei grandi campioni brasiliani che hanno calcato i campi della nostra Serie A, ma i portoghesi che hanno lasciato davvero il segno nel nostro campionato, non sono stati poi così tanti.
Dietro la grandezza dell’ultimo Cristiano Ronaldo, c’è sicuramente il ricordo del talento di Rui Costa, del piede magico di Figo, della velocità di Rui Barros e di tanti altri che nel bene e nel male, hanno contribuito alle gioie (e ai dolori) di molti club italiani. Vediamo insieme i lusitani protagonisti (o meno) del massimo campionato italiano.
La prima volta di Rui Barros
C’è stata un’origine per quanto riguarda i portoghesi nella nostra Serie A, più precisamente quando nel 1961 l’Inter portò in maglia nero azzurra l’attaccante Jorge Humberto Raggi. Una presenza dimenticabile dal punto di vista tecnico, ma storica per quanto riguarda la statistica visto che è stato lui il primo in assoluto.
In tempi più recenti, c’è una prima volta anche per quanto riguarda Rui Barros, primo portoghese a raggiungere l’Italia dopo la riapertura a tre stranieri per squadra del 1988. Arriva alla Juventus per formare un’inedita coppia con l’altro neo acquisto Alessandro Altobelli, superandolo però come miglior marcatore in campionato chiudendo a quota 12 reti nella sua stagione d’esordio.
Tanti alti e bassi per lui, che è riuscito però non solo a realizzare alcuni gol sensazionali (frutto della sua velocità estrema), ma anche a mettersi in bacheca una Coppa Uefa (in una storica finale contro i rivali della Fiorentina) e una Coppa Italia al suo secondo e ultimo anno con la Juventus (chiudendo con 60 presenze e 14 reti totali).
Gli anni novanta, da Rui Costa a Conceicao
Bisogna aspettare fino agli inizi degli anni novanta per vedere qualche altro portoghese in Serie A. Un ritorno per la verità non esaltante, con Paulo Futre che arriva a giocare con la maglia della Reggiana nel 1993, presentandosi con un gol all’esordio salvo poi essere tormentato da continui infortuni tanto da chiudere l’esperienza in Emilia con appena 13 presenze (e 5 reti). Anche il Milan di Capello prova a puntare su di lui, ma di nuovo, i suoi muscoli di cristallo lo fermano dopo appena una presenza in rosso nero.
In quegli stessi anni però, arrivano in Italia altri lusitani interessanti. Su tutti spicca il talento cristallino di Rui Costa, portato a Firenze a suon di miliardi (11) dal Benfica ripagando tifosi e società dall’alto delle sue 277 presenze condite con 50 reti e 22 assist. Il Milan punta proprio su di lui (versando nelle casse viola oltre 85 miliardi di vecchie lire) nel 2001, tornando a vincere una Champions, uno scudetto e due supercoppe (una italiana e una europea). In tutto fanno 192 presenze con 11 reti e qualcosa come 47 assist.
Meno classe, ma decisamente più “garra” per Fernando Couto, approdato nelle fila del Parma nel 1994, giusto in tempo per portarsi a casa una storica Coppa UEFA con gli emiliani, per poi tentare di spiccare il volo con il Barcellona e tornare ad accasarsi in Italia questa volta con la maglia della Lazio. Interventi al limite, carattere aggressivo (almeno in campo) e un fisico eccezionale e fortissimo di testa. In biancoceleste chiuderà a quota 145 presenze (e 9 reti) mettendo in bacheca lo scudetto del 2000 oltre a una doppia Coppa Italia, due Supercoppe e una Coppa delle Coppe.
In quella stessa Lazio guidata da Eriksson, un altro portoghese si era messo in luce in quel frangente: Sergio Conceiçao. Anche lui proveniente dal Porto, velocità e tecnica lo resero un’ala a volte imprendibile, tanto da collezionare 13 gol e 8 assist in 137 presenze in Serie A tra Lazio, Parma e Inter.
I lusitani dei primi anni duemila
Nei primi anni duemila, quando ormai la sentenza Bosman aveva aperto le frontiere del calcio, molti altri nomi portoghesi andarono a rinfoltire le rose delle squadre di Serie A. Non tutti, va detto, con pari successo.
Nel 2000 arriva per esempio a Firenze un Fernando “Nuno” Gomes che doveva sostituire in tutto e per tutto Re Batistuta. Un compito arduo, malgrado l’attaccante avesse appena segnato qualcosa come 60 gol in 100 partite con il Benfica. E in effetti l’avvio fu valido, vincendo la Coppa Italia in Viola alla sua prima stagione. Poi però proprio i problemi societari del club toscano frenarono la corsa italiana di Gomes, che chiuse l’esperienza con 53 presenze e 14 reti, prima di tornare a casa al Benfica dove continuò a segnare con costanza.
Non fortunato nemmeno il percorso di Josè Luis Vidigal, arrivato a Napoli dallo Sporting Lisbona per tenere in piedi il centrocampo, ma purtroppo frenato da problemi fisici e poi da un Napoli in serie cadetta per tre stagioni. Riuscirà comunque a mettere insieme 92 presenze (e 5 reti) in Serie A, con le maglie di Livorno e Udinese.
Se Rui Costa è il giocatore più rappresentativo tra i portoghesi degli anni novanta, non c’è dubbio però su quale sia il nome che ha caratterizzato i lusitani nella prima decade degli anni duemila nel campionato di Serie A: Luis Figo. Parliamo di uno dei giocatori migliori mai scesi in campo per il Portogallo (in nazionale metterà insieme 127 presenze e 32 reti), capace per dieci anni (equamente divisi) di fare le fortune prima del Barcellona e poi del Real Madrid tanto da vincere un Pallone d’Oro.
Per questo lo sbarco a Milano in maglia nerazzurra fu un vero e proprio colpaccio di mercato, e, pur se nel 2005 fosse già nella sua fase finale della carriera, contribuì con i suoi colpi di classe a mettere in bacheca 4 scudetti e 1 Coppa Italia (105 presenze, 9 gol e 25 assist in Serie A).
I tempi recenti: non solo CR7
Anche negli ultimi non sono mancati portoghesi di grande interesse nel nostro campionato, ma è inutile negare che la luce abbagliante dell’arrivo di Cristiano Ronaldo offusca un po’ tutto il resto.
Su CR7 è inutile spendere più di qualche parola, visto che parliamo probabilmente di uno dei calciatori più forti del mondo di tutte le epoche. Anche in questo caso arriva in Italia nella sua parabola discendente, tuttavia dal 2018 al 2021 con la maglia della Juventus mette a segno la bellezza di 101 reti e 22 assist in sole 134 partite. Un fenomeno vero.
Impossibile quindi fare paragoni con gli altri arrivati nel mentre, anche se tra i più giovani c’è un Rafael Leao che nel Milan sembra prendersi sempre più la scena, stagione dopo stagione. A soli 22 anni ha già giocato 26 partite segnando 8 gol e 4 assist in Serie A, ma l’impressione è che la sua storia sia ancora tutta da scrivere, in Italia così come in nazionale (dove ha giocato solo 3 partite).
Pensare che solo qualche anno prima, era il 2017, un altro giovane portoghese aveva vestito quella stessa maglia, senza però entusiasmare. Lui è Andrè Silva, quello stesso capace di segnare 45 reti in 71 partite nel Francoforte in queste ultime stagioni, ma che con il Milan non era riuscito a far vedere le sue qualità se non a sprazzi. In rossonero chiuderà con 41 partite e 10 gol, troppo pochi per non farlo partire in direzione Siviglia (stesso score) e poi finalmente la Bundesliga.
Ci sono state (e ci sono) poi delle solide presenze di giocatori come Miguel Veloso (esordio in Serie A nel 2010 e da allora 190 presenze, 8 gol e 20 assist all’attivo), Mario Rui (ben 200 presenze nella massima serie con tanto di 3 gol e 17 assist, che per un difensore non è niente male), Bruno Alves (storico difensore del Porto che sembrava venuto a svernare oltre il fine carriera e invece ha messo insieme 121 presenze in Serie A con tanto di 6 gol e 1 assist) o Joao Mario (che con l’Inter ha giocato 64 partite con 4 gol).
Ma al momento non c’è dubbio che la squadra più “portoghese” di tutte non può che essere la Roma di Josè “specialOne” Mourinho. Non solo per la sua presenza in panchina, ma anche per due pilastri della formazione come Rui Patricio in porta (titolare della nazionale dal 2010 oltre a bandiera dello Sporting Lisbona) e Sergio Oliveira a centrocampo (cresciuto nel Porto ma poi girovago in vari campionati europei fino a quesa sua prima stagione in giallo rosso).
Bidoni in salsa portoghese
Fin qua abbiamo citato solo grandissimi campioni o comunque giocatori di spessore che hanno dato il loro buon contributo alla causa. Ma possibile che dal Portogallo siano arrivati praticamente solo buoni acquisti? No, e infatti non è andata così.
Solo che ovviamente è più facile ricordarsi di chi ha scritto il suo nome negli annali, o quanto meno in qualche tabellino domenicale, di chi invece non si vede l’ora di dimenticare.
Se vi dico, per esempio, Rolando, molti potrebbero semplicemente pensare che ho sbagliato a scrivere il nome di CR7. Ma invece si tratta proprio di Rolando Jorge Pires da Fonseca, “Rolando” per gli amici. E non ne ha avuti molti in Italia, visto che le sue due stagioni in prestito dal Porto prima a Napoli e poi all’Inter, non furono proprio eccelse (eufemismo).
Discorso simile per Pelè, ovvero Vítor Hugo Gomes Passos, che arriva all’Inter giovanissimo nel 2008, troppo presto probabilmente, bruciando la sua occasione nel grande calcio (a dire il vero non farà grandi cose nemmeno più avanti però). Dimenticabili anche le presenze di Rui Sampaio (solo 6 presenze a Cagliari nel 2011), o più indietro nel tempo quelle di Dimas Teixeira (nel 1996, 39 presenze con la Juventus), Abel Xavier (per lui prima il Bari nel 1995 e poi la Roma nel 2004, 10 presenze tra tutte e due le apparizioni italiane) o il flop di Thiago (detto “la lavatrice” per la sua caratteristica di ripulire il gioco a centrocampo) e Jorge Andrade sempre alla Juve nel 2007, che lo porta a Torino a suon di milioni (10, pagati al Deportivo) ma subito bloccato per una serie di brutti infortuni (solo 4 presenze alla fine).
Discorso a parte magari merita Ricardo Quaresma, che per ben due volte prova l’esperienza con l’Inter in Serie A, ma non riesce mai a incidere (13 presenze nel 2008, 11 nel 2009), al contrario di quanto poi riuscirà a fare nel Besiktas o nel Porto (prima e dopo), dimostrando di avere i numeri, ma forse non la testa per il nostro campionato.