Non l’avreste mai detto: ma la storia della “zona Cesarini” è innanzitutto un racconto di umanità.
E di un personaggio fuori oltre schema, a partire dai novanta minuti che i suoi gol non rispettavano quasi mai. Ma chi era Renato Cesarini, detto ‘Cé’, incredibile centrocampista con la “G” trascinata e tradita dalla sua provenienza argentina?
Il gol più importante della sua carriera lo segna con l’Italia del 1931, all’epoca allenata da Vittorio Pozzo. È il Filadelfia di Torino, città della sua vita, ed è la gara che decide la Coppa Internazionale.
Gli azzurri affrontavano la temibile Ungheria: il 2-2 sembrava un risultato scritto. Poi Cesarini aggiunse una pagina alla storia che ci accompagna ancora oggi.
Minuto 89, i secondi poco più di 50, palla in porta. Aveva 25 anni, era alla Juventus, il mondo in mano e un vizietto niente male: decidere le partite allo scadere.
I precedenti
Sì, perché il gol di Cesarini non fu certo un episodio isolato. Macché: era diventata una regola non scritta di Juve e Nazionale. Poco prima, sempre in azzurro, aveva firmato all’ottantacinquesimo il pareggio contro la Svizzera, nella fredda Berna; in campionato si era invece divertito a segnare all’ultimo minuto il 3-0 con cui i bianconeri liquidarono l’Alessandria nel derby.
Tanti casi. Troppi per non stuzzicare la fantasia di un giornalista differente come Eugenio Danese. Nel 1937, nella prima trasmissione radiofonica dedicata interamente al massimo campionato italiano, parlò effettivamente di “Zona Cesarini”.
Non si riferiva direttamente a Renato, che nel ’37 si congedava dal calcio giocato portando a casa pure 7 reti al River Plate, ma a un gol di Visentin, giocatore dell’Inter che purgava la Roma all’ultimo secondo. Fece doppietta. Vinsero i nerazzurri. Fu l’inizio di un nuovo racconto delle marcature in extra time.
Una volta, due volte, tre volte. Divenne pian piano parte del gergo comune: era simpatica, portava alla memoria dolci ricordi, perché Cesarini era stato un giocatore totale e tutti gli volevano bene per quanto aveva dato anche alla Nazionale. Detto questo: non è che avesse inventato chissà che cosa.
In totale, Renato aveva collezionato 5 reti nel recupero. E per capirci, uno il 20 novembre del 1932 a Roma con la Lazio; un altro il 19 gennaio contro il Genoa (doppietta). Aveva sì la fama di segnare “allo scoccar del tempo”. I giornali impazzivano per questo ragazzo tanto differente quanto istrionico: era materiale succulente, un giovane dalla bella vita e dalla storia calcistica tutta particolare. Del resto, El Tano, come lo chiamavano in Argentina per le sue origini si era presentato con una giacca aderente e dei pantaloni che stavano su senza stare a badare le leggi di gravità.
Aveva una camicia rosa, una cravatta arcobaleno, le scarpe lucide e una sciarpa di seta: uno spettacolo, un divo del cinema quando il cinema doveva ancora diventare lo sfarzo da anni Sessanta. La Juve aveva seguito il consiglio di Mumo Orsi: e Cè arriva a Torino con quarantamila Lire di ingaggio e quattromila Lire di stipendio. Carisma devastante: mister Aitken, tecnico della Juve, lo adora sin dal primo allenamento. Era manna per quel gruppo troppo serioso, ma anche in campo sapeva brillare con un destro niente male.
L’extra Cesarini
Ecco: nelle prime 16 partite, mette insieme 10 gol.
In Serie A, il debutto è a Napoli, dove è subito decisivo. In realtà lo sarà sempre, e lo sarà nel periodo più florido della storia per nulla recente della Juventus: parliamo degli scudetti dal 1930 al 1935.
Del Quinquennio d’Oro. Della grande squadra di Carlo Carcano. I numeri non mentono: 147 partite e 53 gol tra Serie A e competizioni europei. Una meraviglia. Anche se non sempre fa felice la dirigenza con i suoi comportamenti. Sì, perché Cesarini ha la frenesia della vita, vuole viverla al massimo. Ed è sordo ai richiami addirittura del presidente Edoardo Agnelli.
Il ritorno in Argentina sembra inevitabile. Non per gli atteggiamenti, ma per la durezza del regime fascista: sono anni difficili in Italia, Renato non si piega. E decide di tornare in Sudamerica, prima va al Chacarita e poi chiude al River Plate, ad appena 31 anni. E in Nazionale? Altra grande storia, formata da 11 presenze e soprattutto da un rapporto alla base che non è mai decollato: quello con il commissario tecnico Vittorio Pozzo, il quale mal tollera gli eccessi dell’italo-argentino.
Luigi Bertolini, compagno di squadra di Cesarini, racconta l’aneddoto forse definitivo sul carattere e la testa matta di Cè: Pozzo, durante una tournée in Spagna, diede mandato a Renato di seguire Cirri, il miglior giocatore degli iberici. Fu una partita di sacrificio memorabile, a tal punto che Cirri, annullato, decise di lasciare il terreno di gioco in maniera volontaria.
Cosa fece Cesarini? Lo seguì. Anche nel suo uscire dal campo. Pozzo era una furia, ma alla spiegazione Cè ebbe la risposta che nessuno s’aspettava: “Una sentinella ha una consegna? Una sentinella deve rispettarla fino in fondo”. Zona Cesarini è solo il recupero di una vita di tanto, tantissimo altro.