Verrebbe da dire: come accadono ovunque. Verrebbe da correggersi: non è che proprio ovunque ci siano due giocatori che assomigliano a due lottatori, pronti al nuovo main event di Matchroom, manco fossimo davanti a Joshua contro Usyk.
Eppure, in quel pomeriggio di un magico 2010, Onyewu – a breve rispondiamo al ‘chi?!’ che avete urlato sotto voce – e Zlatan Ibrahimovic erano esattamente questo: fighters, boxeurs, lottatori.
Il motivo non era da rintracciare nei nuovi metodi di Max Allegri, all’epoca loro tecnico, ma in una lite da allenamento. Normale: si tratta pur sempre di un centrale difensivo e di un centravanti, chissà quante se ne danno. I rossoneri ebbero però la sfortuna di farlo davanti a tutti. E per ‘tutti’ intendiamo tutti: non solo un gruppetto di tifosi che dalle parti di Milanello sanno sempre dove infilarsi, ma anche giornalisti, telecamere, occhi discreti e indiscreti.
Ciò portò la notizia a emergere, i dettagli a fluire come un corso d’acqua sempre più grande. Il Milan a scusarsi. Nella persona di Adriano Galliani, plenipotenziario amministratore delegato, il club decise di fare un passo in avanti e provare a spiegarsi: “È stato uno scontro molto vivace ma nulla di drammatico, e per entrambi tutto si è risolto. Ho parlato con Ibra e Onyewu e ho la certezza che per entrambi l’incidente è chiuso”.
Galliani parlò addirittura di un episodio giusto. Di carica. Di una svolta – anzi: della svolta e non di una in generale – che attendeva Allegri dopo un periodo di appannamento. A fine anno, scudetto rossonero.
Cosa accadde?
Oh, ne sono uscite diverse di versioni. Tutte molto appassionanti, tutte molto concitate. Gazzetta mostrò un’immagine dei due (scattata da un tifoso) a terra, in preda ad accapigliarsi con i compagni intorno a dividerli.
A proposito: erano oltre 10 e non ci riuscivano, per qualcuno addirittura quindici. A riportarla in auge, dopo la febbre di quel pomeriggio, è stato proprio Ibra nel suo libro “Io, Ibra”: lo svedese racconta come Onyewu avesse pochi minuti e pochissimo talento, ma di personalità poteva tenere corsi universitari.
In particolare con Zlatan, il centrale non le mandava a dire. Dopo l’ennesimo battibecco, Ibrahimovic l’ha attirato nella sua trappola e n’è uscito a piedi uniti, con il vero tentativo di andare a troncare la giornata (e forse un paio di mesi) della carriera dell’americano. Il quale si alzò, preparò il pugno e glielo sferrò – dal racconto di Ibra – sulla spalla.
Come rispose lo svedese? Con una testata. Che generò il caos e quindi la rissa. Racconta Ibrahimovic nel suo libro: “Fu uno scontro durissimo, eravamo due ragazzi di più di novanta chili e rotolavamo tirandoci ginocchiate e pugni [..] eravamo furiosi, impazziti di rabbia”.
Impazziti di rabbia e con qualche costola rotta, dopo. O almeno è ancora questo il racconto di Ibra, anche se la storia racconta altro: lo svedese scese in campo pochi giorni dopo e a una settimana dal fattaccio decise anche un derby di Milano.
Ma tra tutte, l’elemento forse più particolare e inusuale fu la reazione del giocatore statunitense: nel racconto di Ibrahimovic, Onyewu si inginocchiò al termine della rissa e – ancora provato dallo scontro – invocò il suo Dio e pregò a mani giunte. Ma come? Dopo tutta quella violenza fisica? Ebbene sì: chiese perdono in zone alte, non di certo a Zlatan, ancora a terra e dolorante.
E in mezzo…
Ora: sappiamo benissimo il caratterino di Zlatan Ibrahimovic.
Ne ha dato dimostrazione anche nella passata stagione nel derby con Lukaku e in passato – ricordate alla Juventus con Zebina? -, in particolare da ragazzo, non è certamente stato quello in disparte.
È sempre andato forte e in aiuto dei compagni. Noncurante di niente e nessuno, nemmeno dei “danni collaterali” che avrebbe potuto provocare quando, infuriato, andava dritto contro l’avversario di turno.
Chiedere per credere a Massimo Ambrosini, che definì quella rissa come “uno dei momenti di maggior paura della mia vita. Vedere litigare due uomini di 100 chili non è il massimo”. Ambro ancora oggi racconta la sua versione della storia, e da protagonista: fu l’ex centrocampista il primo a provare a dividerli e il risultato inevitabilmente fu un colpo dritto in faccia e 25 minuti a terra insieme a loro, senza riuscire a dividerli.
Pirlo parlò di costole rotte, Amelia di quattro minuti “molto divertenti”, e ancora Ambrosini di un tentativo di forzare “il bagagliaio di una macchina chiusa“. Tre, quattro fiammate, in grado di bruciare tutto e tutti, soprattutto la speranza di chiudere anzitempo la questione.
Ad Allegri non rimase altro che sospendere la seduta, già verso la fine, e buttare tutto in caciara. Ad arbitrare la partitella, il vice Tassotti: “Arbitravo io quella partitella, a un certo punto me li ritrovai avvinghiati per terra. Fu una manciata di secondi interminabile, non ebbi la forza di metterci mano: mi sentivo un fuscello davanti a quella scena”.
Come dargli torto.