Il Milan e gli olandesi, un connubio che parte dal 1987.
Gli ultimi 35 anni di storia rossonera parlano in maniera chiara la lingua orange. Dal trio, Gullit, Van Basten, Rijkaard, per arrivare a Seedorf, senza dimenticare giocatori come Davids o Kluivert che un ricordo positivo non lo hanno lasciato.
Il bilancio però è positivo alla fine, considerando l’importanza dei giocatori orange nei trionfi del Milan e di come questo club abbia cambiato la cultura del calcio italiano, sempre grazie ai suoi assi olandesi.
Vediamo allora tra top e flop, i giocatori dei Paesi Bassi che sono passati dal Milan in questi anni.
Il trio Olandese
In principio furono Van Basten e Gullit nel 1987: il cigno di Utrecht preso per un solo miliardo di lire dall’Ajax e il tulipano pagato la bellezza di 13.5 miliardi di lire dal PSV. Gullit vince il pallone d’oro e fa la differenza nella rincorsa al Napoli. Van Basten a lungo ai box per i problemi alla caviglia, torna in tempo per schiantare Maradona e soci nello scontro diretto dell’1 maggio 1988. Milan primo e scudetto vinto due settimane dopo a Como.
L’estate consegna il titolo europeo all’Olanda, con Marco e Gullit mattatori, ma soprattutto porta in dote il terzo olandese a Sacchi; ecco Frank Rijkaard dal Saragozza. Il trio è completo e il Milan va a dominare in Europa, con gli olandesi decisivi: due Coppe Campioni di fila, due Coppe Intercontinentali e due Supercoppe Europee disegnano l’epopea Sacchi.
Van Basten e Gullit demoliscono da soli lo Steaua Bucarest nella finale del 1989, mentre un anno dopo ci pensa Frank a stendere il Benfica. Quest’ultimo sale in cattedra anche a Tokyo, con una doppietta nel 3-0 all’Olimpia.
Nell’estate del 1991, Sacchi saluta e Capello cambia pelle al Milan: non per gli olandesi, ancora una volta decisivi per i due scudetti di fila. Nel 1993 Rijkaard dopo 201 gare e 26 reti torna all’Ajax, mentre Gullit si separa dal Milan per una sola stagione. 12 mesi dopo tornerà a vestire rossonero, ma solo fino a dicembre, per poi riprendere la strada di Marassi: 140 gettoni e 41 reti.
Il capitolo Marco Van Basten è sicuramente il più doloroso: il Cigno nel 1992 torna sotto i ferri per operarsi alla caviglia malandata. Qualcosa va però storto e solo a fine stagione torna in campo: preciso per festeggiare lo scudetto del ‘93 e giocare sottotono la finale di Monaco di Baviera contro il Marsiglia, poi persa dal Milan 1-0. Nell’ultimo turno del 1993-94, Van Basten segna ad Ancona, ma non sa che si tratta dell’ultima rete con il Diavolo e della sua carriera.
In estate infatti si opera di nuovo, ma questa volta non rivedrà più il campo. Altri due anni di illusioni e speranze andate in fumo, fino all’agosto del 1995, quando a soli 30 anni dice basta con il calcio. E pensare che la sua ultima gara l’aveva giocata a 28 anni.
Come disse Maradona quel giorno, “Si vede che Dio non voleva altri gol così belli, anche se a me spiace tanto”.
Un poker di flop
Nel 1996 il Milan saluta Capello e spera con Tabarez di aprire un nuovo ciclo olandese. Arrivano dall’Ajax vice-campione d’Europa Davids e Reiziger. Il primo fra infortuni e un carattere non facile si vede poco in campo, ma ottiene la fiducia anche per la stagione seguente. Il difensore invece si rivela una sorta di meteora nella galassia rossonera e dopo 10 presenze, viene ceduto il maggio successivo. Il Milan chiude decimo, dopo una stagione a dir poco travagliata, con Sacchi subentrato in corsa.
Nel 1997-98 torna Capello e allo stesso Davids si aggiungono il difensore dell’Ajax Bogarde e il killer dei rossoneri nella finale di Coppa Campioni del 1995: Kluivert, sempre dai lancerei. Ma nemmeno questi due giocatori, uniti a Capello riusciranno a risollevare il Milan. Il diavolo chiuderà addirittura undicesimo.
Davids nella sessione di mercato invernale passa alla Juventus in cui rinascerà come giocatore e lo stesso vale per Bogarde che mette assieme appena tre disastrose presenze e passa al Barcellona. L’unico che rimane fino alla fine è Kluivert, ma anche per lui la musica non è delle migliori: 27 gettoni conditi da appena 6 gol, prima di decollare a sua volta verso Barcellona.
Seedorf, un professore nella scala del calcio
Clarence Seedorf riporta in auge il tulipano in casa Milan.
Merito di Galliani che nell’estate del 2002 lo prende dall’Inter e diventerà uno dei pilastri del Diavolo per i 10 anni seguenti. Dopo un paio di stagioni non facili sulla sponda nerazzurra di Milano, l’Olandese si carica subito il Milan sulle spalle, con Ancelotti che lo schiera mezz’ala sinistra in un centrocampo di altissima qualità.
È subito vittoria in Champions League, a Manchester contro la Juventus, con la Coppa Italia vinta 72 ore dopo contro la Roma. Clarence diventa l’uomo dell’ultimo passaggio, della giocata più difficile, con una personalità fuori dal comune anche quando una parte di San Siro lo fischia per qualche palla persa di troppo.
Decisivo anche nella stagione successiva, quando Ancelotti mette al petto il tricolore, mentre è davvero l’uomo in più con Kaka e Inzaghi nella cavalcata del 2006-07 che porta alla seconda champions dell’era Ancelotti. Affonda il Bayern con un missile e lo stesso fa con il Manchester United in semifinale.
Ad Atene congela le due reti di Inzaghi e vince la quarta coppa dei campioni con tre squadre diverse: dopo quella del 2003, quella del 1998 con il Real e quella del 1995 con l’Ajax sempre contro il Milan.
Con i rossoneri alza anche la Supercoppa a Montecarlo e il Mondiale per club contro il Boca, per poi vincere uno scudetto e una supercoppa Italia con Allegri in panchina. Saluta i rossoneri nel 2012, dopo 300 presenze e 47 reti.
Olanda e Milan, per un connubio a dir poco vincente.
Gli olandesi più recenti: da Stam fino ai mastini Van Bommel e De Jong
L’epoca di Clarence Seedorf che insegna calcio alla platea di San Siro coincide con il fortunato Milan ancelottiano, che ha in un altro olandese uno dei punti di forza.
Parliamo ovviamente di Jaap Stam, arrivato dalla dissestata Lazio post-Cragnotti nel 2004 e colonna difensiva per due stagione. Colonna è proprio la parola più adatta per un giocatore dall’aspetto truce e dai modi piuttosto spicci, che faceva del fisico e della potenza la sua arma principale.
Dal ciclo di Ancelotti passiamo poi all’epoca più recente, con l’ultimo Milan vincente, quello del 2011 targato Allegri.
Dopo l’esperienza Leonardo con una altro tulipano davanti, quell’Huntelaar che deluderà in maglia rossonera, si passa ad Allegri, con molti brasiliani nell’attacco (Pato e Robinho su tutti) e un Cassano scintillante.
Una squadra con tante frecce all’arco offensivo, ma che doveva trovare un equilibrio. E per farlo viene chiamato Mark Van Bommel, che nel Gennaio 2011 viene lasciato libero dal Bayern. L’olandese diventa l’uomo d’ordine del centrocampo rossonero e pedina fondamentale per lo scudetto.
Lascia un buon ricordo Van Bommel, tanto che per sostituirlo viene provata un’operazione simile con il compagno di nazionale Frankie De Jong, prelevato dal Manchester City. Un giocatore simile come posizione in campo a Van Bommel ma con qualche punto di classe in meno. Più portato alla lotta che al pallone, si segnala soprattutto per un gioco molto maschio, ai limiti della violenza (chi non ricorda il colpo di kung-fu ai danni di Xabi Alonso nella finale del Mondiale 2010?).
In quel periodo è da segnalare anche qualche sporadica apparizione di Urby Emanuelson, arrivato con Allegri per prendersi la fascia sinistra e spostato poi addirittura come trequartista, sempre con gli stessi risultati: pessimi.